A vent'anni dalla legge che impone un certo numero di assunzioni, per chi ha una disabilità trovare un impiego resta un miraggio. Quasi un’azienda su due non è in regola con le "quote di riserva". E, a partire dalle aule scolastiche, si fa troppo poco per favorire l'integrazione

«Se non ci conosciamo, quando mi incontri per strada non accarezzarmi», Mario. «Al ristorante chiedi prima a me - e non al mio accompagnatore - cosa voglio mangiare», Matteo. «La bella ragazza che spinge la mia carrozzina non è la mia badante, è la mia fidanzata», Franco. Queste sono testimonianze che durante la giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità l’associazione Ledha ha raccolto tra i suoi iscritti.

In Italia sono tre milioni i cittadini considerati non normodotati. Nascono in una società che li giudica, troppo spesso, un peso. Chiedono un lavoro, una vita dignitosa. Esiste una legge, quella sul collocamento mirato, che dovrebbe favorirne l’inclusione. Ma dopo vent’anni dalla sua approvazione, sono soltanto tre su dieci le persone con disabilità che hanno un’occupazione. Mancano controlli e formazione. In Italia sono più di 145mila le posizioni lavorative che spetterebbero a chi è affetto da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e che, attualmente, risultano scoperte. Dal 1999 le aziende con più di 15 dipendenti sono obbligate ad assumere almeno una persona disabile. Vengono chiamate quote di riserva: aumentano in base al numero dei dipendenti.

Le indicazioni sono contenute nel provvedimento che il governo approvò il 12 marzo 1999: “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Si applicano, in particolare, alle persone che per diverse patologie hanno una riduzione della capacità occupazionale superiore al 45 percento. Il principio è quello costituzionale che vede nel lavoro uno strumento di realizzazione della persona.

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9/12/2020
«Il datore dovrebbe pagare una multa giornaliera di 153 euro per ogni persona disabile non assunta», chiarisce Barbara Peres, dell’associazione Luca Coscioni di Milano. Usare il condizionale è d’obbligo: secondo i dati della fondazione Consulenti del lavoro, quasi la metà delle 95mila aziende e pubbliche amministrazioni tenute all’adempimento delle quote di riserva non è in regola.

«I soldi raccolti dalle sanzioni vengono trasferiti ai Fondi regionali attraverso cui sono finanziati progetti di inclusione», spiega Barbara. Nel 2017 in Lombardia i posti di lavoro per disabili non ancora utilizzati erano circa 24mila. Quell’anno il Fondo aveva a disposizione 72 milioni.

Tra questi rientravano anche gli investimenti europei. Considerando che per ogni posizione non occupata la multa giornaliera è di 153 euro, la somma stanziata (e ricavata dai controlli dell’Ispettorato) era inferiore rispetto a quella che sarebbe dovuta entrare nelle casse della Regione. Se tutti pagassero le multe, si parlerebbe di risorse superiori a un miliardo. Un malcostume diffuso e ben consolidato in tutte le regioni. Anche in questo caso si parla di miliardi.

«Non si tratta solo di controlli. Il meccanismo di inserimento lavorativo non funziona», commenta Peres. Gli uffici di collocamento servono a poco. Il mondo imprenditoriale è convinto che un lavoratore con patologia invalidante dia solo problemi. Per scardinare questa convinzione si potrebbe iniziare garantendo a ogni ragazzo affetto da disabilità una formazione adeguata. Bisogna allora partire dalle scuole. E dagli insegnanti di sostegno che praticamente non esistono.