Al nuovo centro pediatrico voluto da papa Francesco arrivano le piccole vittime della malnutrizione. E ogni volta è una lotta per restituirgli una speranza. Tra missionari, volontari e medici europei in pensione

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Quando è arrivata al centro pediatrico di Bangui la diciannovenne Fanna, già madre di tre figli, aveva ben poche aspettative. Le sue speranze erano state consumate dalla lotta per nutrire i suoi bambini. Nel villaggio in cui vive la sua famiglia, a 70 chilometri dalla capitale della Repubblica Centrafricana, la malnutrizione è vita quotidiana. Moussa, il più piccolo, 8 mesi, al ricovero raggiungeva a malapena i 4 chili, la metà del peso dei suoi coetanei in salute. Era in fin di vita.  Non riusciva a mangiare e continuava a vomitare. Così Fanna ha deciso di portarlo in ospedale, anche se a casa non aveva nessuno che potesse prendersi cura degli altri suoi figli.

Ora il piccolo Moussa è qui, ricoverato. Non si lamenta, anche se il tubo di alimentazione è troppo grande per il suo scarno viso. È troppo debole perfino per piangere. Osserva le persone intorno a lui, con i suoi grandi occhi marroni, doloranti. «Sapevo che c’era un programma di nutrizione all’ospedale italiano», dice Fanna con la voce rotta dall’emozione. «Anche mia figlia maggiore era stata ricoverata qui in passato perché malnutrita. Sai, noi possiamo mangiare solo una volta al giorno, il cibo non è mai abbastanza e così i miei bambini si ammalano spesso».

Nel centro nutrizionale di Bangui, voluto fortemente da papa Francesco, i pazienti assumono alimenti speciali per riacquistare appetito e reattività. Sono nutriti con latte terapeutico contenente zucchero, olio, minerali e vitamine e con una pasta di arachidi ad alto contenuto proteico. Il papa non ha finanziato solo la costruzione della struttura, ma ha garantito il sostegno materiale per le iniziative di formazione e l’aggiornamento del personale medico e infermieristico locale, oltre che per i training di educazione sanitaria e alimentare per le famiglie. Il progetto è nato dopo la visita di Bergoglio a Bangui nel 2015, dove ha chiuso il suo precedente viaggio apostolico in Africa. La Chiesa cattolica ha destinato 4 milioni di euro da donazioni, di cui circa un milione dalla comunità parrocchiale di Novara, ai quali si sono aggiunti 750 mila euro ricavati da varie iniziative di solidarietà promosse dalla Gendarmeria vaticana a favore del Centrafrica. L’operazione, coordinata dall’Ospedale Bambino Gesù, ha preso il via nel maggio 2016 con alcuni interventi per consentire un dignitoso funzionamento del Complexe Pédiatrique, struttura pubblica, permettendo lo smantellamento delle tende dove erano ricoverati i bambini malnutriti.

Con il tempo sono stati acquistati un generatore, un trasformatore di corrente e due autoclavi per assicurare la sterilità delle sale operatorie. In un secondo momento sono stati avviati i lavori per l’attivazione della rete fognaria e altri interventi, tra cui la ristrutturazione dei quattro reparti dell’edificio principale dell’ospedale con 193 posti letto. Nel 2018 è iniziata la costruzione del nuovo centro con 80 posti letto per la nutrizione terapeutica dei bambini, diventata parte integrante dell’ospedale pediatrico esistente.

Nella Repubblica Centrafricana si registra il quarto tasso di mortalità infantile più elevato al mondo e la malnutrizione è tra le principali cause dei decessi. I più vulnerabili sono i bambini nella fascia della prima infanzia: uno su sette muore prima del quinto anno, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. «La crisi alimentare che sta colpendo questo Paese ormai è cronica, sappiamo già che ci sarà anche l’anno prossimo», spiega Isabelle Dialle, dottoressa di origini italo-francesi da pochi mesi a Bangui. «I suoi effetti sono sconvolgenti. Nel nostro ospedale arrivano bambini che non riescono più a ridere, giocare, piangere perché sono troppo deboli. In altre parole, non sono più bambini. O non lo sono mai stati».

Ogni anno, da maggio a settembre, centinaia di migliaia di persone nel Paese devono affrontare un’estrema insicurezza alimentare a causa del “periodo di magra”, quando la stagione secca si accompagna al progressivo esaurimento delle scorte alimentari. «I bambini arrivano in condizioni talmente critiche che spesso è troppo tardi per salvarli, muoiono nelle 24 ore successive al ricovero. Sono le prime vittime della mancanza di cibo e della povertà estrema», continua la dottoressa Dialle. «Nell’ultima settimana abbiamo ricoverato 30 piccoli pazienti gravemente malnutriti, tutti con complicazioni mediche».

Nel 2019 la situazione nutrizionale è peggiorata in modo significativo e la stagione secca è arrivata prima del previsto, causando gravi problemi di insicurezza alimentare per oltre 600 mila persone. In quasi la totalità delle regioni è stata dichiarata l’emergenza. I bambini ammessi al programma di assistenza alimentare pesano molto poco rispetto alla loro altezza e hanno problemi muscolari. Possono anche presentare edemi, oltre a viso e arti gonfi.

La speranza dei sanitari è che possano essere dimessi non appena riescano a mangiare di nuovo senza bisogno di assistenza medica. Quando raggiungono un livello di salute stabile, le équipe sanitarie associano ai trattamenti medici anche una sessione quotidiana di stimolazione cognitiva. I bambini gravemente malnutriti possono infatti sviluppare un ritardo nello sviluppo mentale e comportamentale che, se non curato, può diventare la conseguenza più grave e duratura della malnutrizione.

La stimolazione emotiva e fisica attraverso il gioco può ridurre notevolmente il rischio di menomazioni mentali e gli effetti irreversibili del deficit alimentare prolungato. «Ci rendiamo conto, giorno dopo giorno, dell’importanza del gioco e delle cure materne per il processo di recupero», dice François Beauleau, neonatologo francese di lungo corso che - rimasto vedovo - dopo la pensione ha lasciato Parigi e ha deciso di dedicarsi al volontariato. «Durante le sessioni di stimolazione, le madri sono incoraggiate a giocare con i loro bambini e a interagire con loro nelle attività ludiche. I risultati di questa attività sono commoventi. Vediamo i bambini recuperare la loro reattività e, soprattutto, sorridono e giocano insieme. È molto importante coinvolgere i genitori e incoraggiare l’assistenza emotiva dei bambini».

Grazie anche a questo centro pediatrico, inaugurato lo scorso marzo dalla presidente della Fondazione Bambino Gesù Mariella Enoc, la mortalità infantile nel Paese, seppur lentamente, è in progressiva diminuzione.  Ma la cooperazione in Centrafrica non è fatta solo di aiuti medici o alimentari. Questa si intreccia spesso, infatti, con l’attivismo in favore degli ultimi, come prova la storia di padre Aurelio Gazzera, un frate carmelitano di origini piemontesi che da 27 anni fa il missionario in Centrafrica. Profondi occhi castani, pacato e ostinato, padre Aurelio è arrivato nel 1992 alla missione di Bozoum, cuore pulsante della sua opera per arginare la povertà e favorire la pace in un Paese che continua a essere flagellato da conflitti interetnici.

Padre Aurelio qui è soprannominato “zo so a zi ngombe na ti ti a saraguina”, cioè “l’uomo che ha piegato il fucile ai banditi” per aver favorito la riconciliazione tra ribelli e popolazione locale. Grande è la sua determinazione nella difesa dei diritti dei centroafricani e del loro territorio, tanto da finire arrestato - lo scorso maggio - perché sorpreso a scattare fotografie a un cantiere di una miniera di proprietà cinese. Mentre cercava di documentare le devastazioni che minacciavano i villaggi vicini, un operaio lo ha visto: prima che il frate riuscisse a raggiungere la sua auto per allontanarsi sono arrivati alcuni militari che gli hanno intimato di fermarsi. Gli hanno sequestrato la macchina fotografica e il telefonino poi lo hanno portato con la forza in una caserma in città. Solo l’intervento di una folla urlante - padre Aurelio è molto popolare in questo Paese - ha convinto il giudice a disporne il rilascio.

«I cinesi stanno saccheggiando centinaia di chilometri di terreno, causando grossi disastri a livello di inquinamento per l’acqua e sconvolgendo il letto del fiume», accusa padre Aurelio. «Le analisi effettuate su campioni prelevati in più punti hanno rivelato l’elevata presenza di mercurio ma nessuno si è preoccupato di informare la popolazione del rischio del contatto e dell’uso dell’acqua», continua il missionario, che ha lanciato un appello alle autorità locali a fermare il disastro ecologico che sta avvelenando le risorse idriche e minando la salute della comunità. Le continue denunce di Gazzera non sono rimaste senza effetti. Una commissione d’inchiesta del Parlamento della Repubblica Centrafricana - dopo un’indagine e un sopralluogo dei deputati che ha riguardato alcuni progetti estrattivi avviati nell’area di Bozoum dalle società Tian Xian, Tian Run, Meng e Mao - ha chiesto la chiusura di quattro miniere d’oro. In sostanza questo frate cuneese, quasi da solo, è riuscito a fermare potenti multinazionali con fatturati di milioni di dollari.

Nelle sue giornate a Bozoum ci sono anche le responsabilità delle scuole della missione, che accolgono ogni giorno 1.500 studenti, e dei villaggi vicini: è particolarmente fiero del metodo inventato per l’insegnamento della lingua nazionale nelle prime classi elementari. «Adesso il governo di Bangui ci sta pregando di allargare l’esperienza al resto del Paese», racconta orgoglioso padre Aurelio parlando del programma scolastico. «Poi c’è l’attività nei dispensari, il progetto sull’Aids, una malattia che nella Repubblica Centrafricana è ancora devastante, e quello per le donne incinte. Ci occupiamo anche di agricoltura e di formazione alle nuove tecniche di coltivazione e creazione di spazi di vendita».

Il tutto porta a risultati straordinari, che raggiungono il loro apice durante le fiere agroalimentari a Bozoum e Bouar, «uno spazio annuale per la gente della regione in cui vendere i prodotti e stare in serenità», aggiunge sorridente il frate. «L’ultimo anno siamo arrivati a 90 mila dollari di vendite. E il reddito pro capite annuale in Centrafrica è di soli 400 dollari. La rinascita economica ha portato anche all’apertura di una piccola cassa di risparmio, con cinque sportelli tra Bozoum e i villaggi vicini».  In tutto questo, padre Aurelio trova anche il tempo di scrivere: pochi mesi fa è uscito un suo libro che raccoglie i racconti delle sue esperienze e i fatti di cui è testimone. “Coraggio”, questo il titolo del volume, parla insomma della vita in Centrafrica: un Paese grande il doppio dell’Italia eppure così spesso ignorato dal resto del mondo.