La letalità da Covid 19 del nostro Paese è la più alta del mondo. I tedeschi, che contano pure loro decine di migliaia di contagiati e una popolazione anziana come la nostra, hanno invece un tasso dello 0,3 per cento. Circa 28 volte più basso. Una differenza che dipende da fattori sociali e culturali. Dall'età media degli infettati. E dalla qualità del sistema sanitario

Nella mappa dell'orrore della John Hopkins University, che ogni giorno traccia quasi in diretta il numero di infettatati e morti da coronavirus paese per paese, c'è una sorprendente anomalia. Quella della Germania.

Con un ritardo di una settimana circa rispetto all'Italia, anche i cugini teutonici stanno subendo gli effetti devastanti del Covid 19, e il governo della cancelliera Angela Merkel ha seguito l'esempio italiano ordinando il lockdown di quasi tutto il paese.

Eppure i dati sfornati quotidianamente dal loro istituto nazionale di ricerca, il Koch, sono assai diversi sia dai nostri, sia da quelli del resto del mondo. Se il tasso di crescita dei contagi è esponenziale (mentre scriviamo la Germania è il quarto paese al mondo per numero di infetti, in tutto 20.705), il numero dei morti assoluti resta bassissimo. Solo 72 al 20 marzo 2020.

Il tasso di letalità è di conseguenza dello 0,3 per cento. È il più basso del mondo. Ancora meno grave di quello della Corea del Sud (all'1,1 per cento), di quello della Francia (12.483 casi e 450 morti, per una letalità del 3,6 per cento) e della Cina, ferma al 3,8.

Ma è impressionante confrontare il dato tedesco con quello della Spagna (al 5,4 per cento) e soprattutto con quello dell'Italia, dove per Covid 19 muoiono 8,5 persone ogni 100 infettate. Un record di letalità che non ha paragoni.

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Da qualche giorno gli esperti di mezzo mondo si stanno così interrogando sull'eccezione tedesca. E, di riflesso, su quella italiana. L'epidemia da coronavirus è ancora agli inizi, ed è troppo presto per tirare qualsiasi conclusione. Soprattutto perché – come suggeriscono da tempo Roberto Burioni e Nino Cartabellotta – la letalità in Italia (ma non solo) è probabilmente sovrastimata, perché il numero complessivo dei contagiati (un denominatore di fatto ignoto, a causa della grande percentuale di infettati asintomatici) è probabilmente molto più alto.

Ma lo spread tra Italia e Germania è ormai così ampio che qualche scienziato sta provando a proporre alcune prime ipotesi. Basate sui dati epidemiologici, certo. Ma pure su fattori sociali e culturali che potrebbero spiegare il diverso decorso dell'epidemia. Senza dimenticare le differenze dei due sistemi sanitari nazionali, e le diverse risposte dei governi e delle autorità sanitarie alla pandemia.

1) Partiamo dall'età dei contagiati. Gli esperti tedeschi del Koch Institute di Berlino segnalano che in Germania per ora si sono ammalati soprattutto i più giovani, rispetto a quello che è accaduto in Italia e Spagna. Le generazioni under 50 hanno, come sappiamo anche dalle prime statistiche cinesi, una probabilità molto più bassa di morire, intorno allo 0,4-0,3 per cento. Mentre l'esito rischia di essere letale soprattutto per gli anziani over 70.

A differenza che in Corea o in Cina, dove l'età media della popolazione è più bassa che in Italia, la Germania ha una percentuale di anziani molto simile a quella italiana. Gli over 65 sono il 25 per cento dei tedeschi, in Italia (dati Istat 2019) quasi il 23.

Dunque perché in Italia, e in particolare al Nord, si sono infettati così tanti anziani e in Germania no (o non ancora)? Bruce Aylward, vicedirettore generale Oms, ha ipotizzato al New York Times che le differenze tra paesi potrebbero dipendere dalle diverse strutture sociali. In Cina, per esempio, quasi l'80 per cento delle infezioni da Covid 19 si sono sviluppate in famiglia. Le famiglie numerose caratterizzano non solo Wuhan e il distretto di Hubei, ma anche l'organizzazione sociale dei paesi mediterranei. È possibile dunque che in Italia e Cina i giovani, spesso asintomatici o con sintomi blandi, abbiano poi contagiato genitori o nonni più fragili che vivono a stretto contatto con loro.

In Germania, invece, giovani e anziani hanno rapporti più distanziati. Se in Italia e Cina (come ha spiegato Moritz Kuhn, docente di economia all'università di Bonn) le persone tra i 30 e i 49 anni che vivono ancora con i genitori sono più del 20 per cento, in Germania la percentuale si dimezza. Le statistiche Eurostat confortano il ragionamento del professore: in Italia la metà dei giovani tra i 25 e i 34 anni vive ancora con genitori, mentre i tedeschi in media vanno via di casa a 23 anni.

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La solitudine degli anziani tedeschi, dunque, potrebbe aver abbassato il tasso di letalità. Almeno per ora. La cautela, spiegano dal Koch, è d'obbligo, anche perché la Germania è indietro nello sviluppo dell'epidemia almeno una settimana rispetto all'Italia. Hans Georg Krausslich, virologo dell'Università di Heidelberg, ascoltato dal Financial Times ha chiarito che tutto potrebbe cambiare presto anche lì: «In Germania la stragrande maggioranza dei pazienti è stata contagiata solo nell'ultima settimana o due, e probabilmente vedremo casi più gravi in futuro. Così come un cambiamento dei tassi di mortalità».

2) Gli ottimisti, però, sono pronti a scommettere che i tedeschi avranno meno decessi di altri paesi europei. Anche grazie alla risposta rapida del loro sistema sanitario. Il basso tasso di letalità sarebbe dovuto infatti, come in Corea del Sud, all'uso massiccio dei tamponi fatto fin dai primi giorni dell'epidemia. Secondo la Federazione dei medici tedeschi anche prima di registrare i primi decessi in Germania sarebbero stati fatti decine di migliaia di test (solo 135 mila nelle prime due settimane di marzo), a cui bisogna sommare (chiosa un articolo di Le Monde) anche i tamponi fatti negli ospedali e nelle cliniche, il cui numero preciso non è ancora conosciuto.

Lo screening massiccio fatto in tempi utili, insieme al distanziamento tra giovani e anziani, può aver abbassato di molto il tasso di letalità nazionale. «La capacità di fare test in Germania è molto importante» ha chiarito Lothar Wieler del Koch «Possiamo fare più di 160 mila tamponi alla settimana».

In Italia i test fatti, soprattutto nelle prime settimane, sono stati molto inferiori. Non perché mancano tamponi, ma per una bassa capacità di analizzare i test da parte di cliniche private e ospedali. Solo ora Walter Ricciardi, esperto dell'Oms e consulente del governo, sta spingendo a copiare il modello coreano e tedesco.


3) Infine, il tasso di letalità potrebbe essere legato alla risposta dei vari sistemi sanitari. Quello tedesco può vantare il più alto numero di terapie intensive. In Italia all'inizio dell'epidemia avevamo poco più di 5000 ventilatori meccanici, e gli ospedali delle zone più colpite (in primis il lodigiano, Cremona, Brescia e poi Bergamo) sono andati presto in tilt. Molti anziani sono morti nelle loro case, come raccontato da medici e politici, senza la possibilità di essere intubati e, forse, salvati.

In Germania ci sono ben 28 mila terapie intensive, e il governo federale punta a raddoppiarli (grazie ai produttori tedeschi) in pochi mesi. «Qui siamo all'inizio dell'epidemia» chiude Wieler «e possiamo ancora garantire che le persone gravemente malate possano essere curate in ospedale». È probabile che la Germania riesca a non saturare mai le sue strutture.

È probabile dunque che il mistero del basso tasso di letalità tedesco sia frutto di diversi fattori. Anche dovuti al caso (e l'Italia è stata molto poco fortunata) e all'imprevedibilità della pandemia. Gli scienziati si aspettano pure che, con il passare del tempo, la mortalità da Covid 19 si uniformi in tutto il mondo.

Ma molti esperti scommettono che i tedeschi rispetto ad altri paesi europei riusciranno a contenere le perdite. Sia umane che economiche.


2. continua


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MARCO DAMILANO

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