La testimonianza

«Io, guarita ma rinchiusa per mesi in attesa del tampone»

di Marta Bellingreri   23 aprile 2020

  • linkedintwitterfacebook
marta-jpg

«Mancano i reagenti, intanto non può uscire»: così in Sicilia rispondono a chi ha superato la malattia

marta-jpg
Quarantena ovvero quaranta giorni, nella parola di origine veneziana. Quaranta giorni di isolamento forzato per le navi in arrivo da zone colpite dalla peste, nel quattordicesimo secolo. Oggi siamo chiamati a vivere a pieno il suo significato originario. Chi è stato positivo al Covid-19 e non lo è più. Chi non lo è mai stato. I quattordici giorni di isolamento domiciliare fiduciario - per chi è tornato da un viaggio all’estero o dal Nord è rientrato al Sud- si sono trasformati in una vera quarantena. In Sicilia migliaia di persone da metà marzo sono ancora chiuse in casa tanto da sentirsi agli “arresti domiciliari”. Aspettano il tampone che li dichiari negativi e permetta loro di interrompere il periodo di isolamento.

In una prima ordinanza del 13 marzo il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci indicava che gli stessi sarebbero stati contattati per l’effettuazione del tampone a ridosso del termine dei quattordici giorni. In una seconda disposizione del 20 marzo, la durata della quarantena non è più indicata, ma si ribadisce la necessità del tampone. Il ricercatore Paolo Cuttitta solo un mese dopo il suo ritorno in Sicilia è stato convocato dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo. «Ho la fortuna di poter lavorare da casa», racconta all’Espresso per telefono, «ma oggi (20 aprile) in fila insieme a me in attesa del tampone, c’erano persone che dovrebbero tornare a lavoro. Rischiano di perdere il posto». Ora aspettano i risultati, sperando il referto sia negativo.

Anche a Catania e provincia tanti cittadini denunciano lo stesso disagio, gli stessi ritardi. Le aziende riaprono e chi tornava da Roma o Milano ora teme di doversi mettere in ferie forzate. «Dopo tre settimane di pazienza, ho dovuto scrivere una email minacciando di chiamare i carabinieri e il mio avvocato, se non mi avessero effettuato il tampone» spiega un libero professionista che era risultato positivo a febbraio e preferisce rimanere anonimo.

null
«Il mio limbo da positiva al coronavirus a 34 anni»
27/3/2020
In una testimonianza sull’Espresso del 29 marzo avevo raccontato la mia storia da positiva al Covid. Dopo due settimane di telefonate quotidiane finalmente sono riuscita a fare un tampone. Sul pianerottolo di casa, perché solo uno dei due infermieri aveva la protezione necessaria per l’operazione. Ci sono volute altre due settimane per i risultati. E se questo tanto atteso tampone ha dato risultato negativo, è necessario il secondo per ottenere il certificato di guarigione: quante settimane ci vorranno? Un altro mese di attesa?

Il 15 aprile la Protezione Civile regionale ha annunciato che sta provvedendo alla distribuzione di 27 mila kit per effettuare il test diagnostico. L’assessore alla Salute ha assicurato che dopo Pasqua i tempi sarebbero stati più brevi. Ma le risposte alle mie telefonate sono quasi sempre identiche: «Mancano i reagenti per le analisi dei tamponi. Diamo priorità ai malati oncologici e ai sintomatici». Per fortuna il numero dei casi in Sicilia è stabile con poco più di duemila casi. Intanto siamo quasi a maggio e, per chi vuole assicurarsi di esser guarito, la liberazione di aprile non è mai arrivata.