
Il primo punto fermo è fattuale, dunque semplice. Il 2 maggio è la scadenza di una rata bimestrale da 225 milioni di euro in diritti televisivi. La quota maggiore è di Sky, seguita da Dazn e da Img. Sky è anche il broadcaster schierato sulla linea di massima intransigenza. Ha pagato per 266 partite su 380. Ne pretende 266 o chiuderà i rubinetti.
Tranne le grandi, spalleggiate da gruppi industriali o finanziari internazionali con ampie possibilità di indebitamento (Juventus-Exor, Milan-Eliott, Inter-Suning, Bologna-Caputo) e poche altre virtuose, le altre sono a rischio di fallimento o, quanto meno, di impossibilità a iscriversi al prossimo torneo.
Il secondo punto - in che modo tornare in campo - è oggetto di una sorta di assemblea permanente di Lega con convocazione sulla piattaforma Microsoft Teams. Alle riunioni in teleconferenza partecipano una cinquantina di persone, fra proprietari dei club, i loro avvocati, il presidente della Lega di A Paolo Dal Pino, entrato in carica appena dopo l’Epifania, ignaro della tempesta in arrivo, e il suo amministratore delegato Luigi De Siervo, il bersaglio preferito dei padroni del calcio italiano.
Secondo il racconto di un partecipante, la riunione di Lega è monopolizzata da pochi attori protagonisti: Aurelio De Laurentiis (Napoli), Claudio Lotito (Lazio), Enrico Preziosi (Genoa), Massimo Ferrero (Sampdoria) e Stefano Campoccia, avvocato e vicepresidente dell’Udinese.
L’intervento-tipo di De Laurentiis, che da multiproprietario deve tenere un occhio anche sulla serie C dove gioca il suo Bari, è un attacco al management della Lega con parole scelte, pronunciate con lunghe pause fra l’una e l’altra.
L’intervento-tipo di Ferrero è: «Aò, ma state sempre a litigà». E poi c’è Lotito. Virologo, epidemiologo, statistico, latinista, insomma intellettuale rinascimentale a tutto tondo, è l’unico a non portarsi mai dietro l’avvocato avendo sufficiente sostanza di giurista.
Non chiude mai il microfono di Teams, nonostante le preghiere dei colleghi costretti ad ascoltare le telefonate del patron laziale con i manager delle sue imprese di pulizie. Ma obiettivamente, è anche uno dei più danneggiati dall’interruzione del campionato. La sua squadra volava, a breve distanza dalla capolista Juve, e lui vuole il terzo scudetto che gli farà raggiungere nell’albo d’oro “all time” la Roma rimasta in mezzo al guado di un cambio di proprietà fra magnati Usa di cui si è persa ogni traccia. Per vincere Lotito è pronto a tutto, fino a esaurimento delle scorte di giocatori. La sua ultima proposta, annunciata in un’intervista a Repubblica giorni fa, è la sfida da giocarsi in una partita secca e al diavolo i diritti tv.
Gli altri presidenti non la vedono nello stesso modo ma il loro pensiero è a geometria variabile, come da tradizione di un consesso ad altissima instabilità. Sulla carta esiste una minifronda di candidati alla retrocessione e di scontenti generici che avrebbero voluto bloccare tutto (il Torino di Urbano Cairo, il Brescia di Massimo Cellino positivo al Covid-19, il Cagliari di Tommaso Giulini, l’Udinese della famiglia Pozzo). Ma quando si è trattato di votare per la ripresa, il sì ha vinto all’unanimità, venti su venti. Anche la retrocessione è meglio del fallimento. Alla peggio si può fare ricorso. (LEGGI La replica del Cagliari Calcio)
La Fase 2 dei campionati di calcio, in qualunque forma venga realizzata, ha un potenziale di contenzioso legale senza precedenti nei centosessanta anni di storia del football. Il terreno di scontro più immediato è quello fra proprietari e giocatori. Si è letto della ritrosia dello juventino Gonzalo “el Pipita” Higuaín a rientrare dall’Argentina. Non è un caso isolato al di là delle dichiarazioni ufficiali dominate da spavalderia e ansia di tornare in campo.
La grande massa dei professionisti è spaventata, incerta sul da farsi. Finora i positivi della serie A, Paulo Dybala, Daniele Rugani, Blaise Matuidi, Daniel Maldini, Patrick Cutrone, Marco Sportiello e una decina di altri, non hanno avuto troppi danni dal contagio, per fortuna.
Ma Junior Sambia, 23 anni, giocatore del Montpellier nella Ligue 1 francese, è stato in coma e al momento in cui va in stampa questo articolo è ancora in terapia intensiva. La domanda che si fanno tutti è: che cosa succederà al primo nuovo caso positivo?
Le misure di prevenzione, secondo la lettera firmata da 17 medici dei club di serie A (esclusi quelli di Genoa, Juventus e Lazio) e spedita alla commissione medica della Federcalcio, hanno poco senso. Un tampone può essere negativo venerdì. Sabato il giocatore si contagia e domenica è positivo. Il capitolo costi è catastrofico. In un contesto di stadi e botteghini chiusi si parla di almeno 1500 persone da controllare di continuo per la sola serie A fra calciatori e personale al seguito. In condizioni simili, un campionato di tradizione, livello e seguito come la Eredivise olandese ha bloccato tutto: niente scudetto, né promozioni, né retrocessioni.
Subito dopo, ha chiuso i battenti proprio la Ligue 1, avviando un possibile effetto domino negli altri principali tornei del continente.
Inoltre i club italiani dovranno svolgere i controlli per vie proprie - non è del tutto chiaro quali - in modo da non gravare su un sistema sanitario nazionale ancora in difficoltà a reperire tamponi e non certo disponibile a un trattamento di favore verso le star del calcio.
Il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, duramente attaccato da Matteo Renzi per il suo scetticismo, ha esitato fino alla fine fra le sue perplessità a dare il via libera e la consuetudine che permette al calcio, di regolare se stesso attraverso i suoi organi di governo (Coni-Figc e leghe professionistiche).
Oltre alle possibili cause di lavoro, ci sono le contestazioni di chi si troverebbe danneggiato da una seconda e stavolta definitiva interruzione dei tornei.
In alternativa si sono discusse ipotesi di chiudere in fretta con un minitorneo di playoff, ma le televisioni in questo caso non pagherebbero. Per accontentare le piccole squadre si è pensato a un blocco delle retrocessioni con allargamento della serie a 22 solo per la stagione prossima mentre le federazioni europea (Uefa) e internazionale (Fifa) hanno detto chiaro che se il campionato non può concludersi entro il 2 agosto, quando si dovrebbero completare le coppe europee in corso e bisognerà formalizzare la lista dei partecipanti alle prossime, avrà valore l’ultima classifica disponibile, in omaggio alla prevalenza del merito sportivo. Chi è primo ha vinto, chi è ultimo scende.
Molto probabile che gli scontenti percorrano la strada della giustizia amministrativa, come hanno fatto il Catania nel 2004 e nel 2018 la Virtus Entella di Antonio Gozzi (Duferco), in violazione alla clausola compromissoria che obbliga i club ad affidarsi alla sola giustizia sportiva. L’extrema ratio sarà il ricorso al tribunale civile per il risarcimento dei danni.
Comunque vada, il Covid-19 sta intaccando i punti deboli del sistema calcio, che non è certo la terza industria d’Italia come dicono alcuni ma è nelle prime dieci. Il peso dei costi si fa sempre più insostenibile man che mano che ci si allontana dalla ribalta della serie A e delle coppe europee. Le leghe inferiori, già in grave difficoltà, non possono permettersi gli adempimenti sanitari indispensabili alla ripresa.
In particolare la Lega Pro, la vecchia serie C, non ha alcuna probabilità di sopravvivere all’epidemia con l’assetto attuale, fatto di sessanta squadre distribuite in tre gironi.
Il presidente della Lega, Francesco Ghirelli, è stato il primo a interrompere il torneo chiudendo i due gironi del centronord dopo un’ondata di giocatori positivi al Covid-19. Governatore dell’Umbria per pochi mesi fra il 1992 e il 1993 nelle file del Pds, Ghirelli sa che la realtà della C è in equilibrio molto precario. Fallimenti, mancate iscrizioni, penalizzazioni per mancato pagamento di stipendi o Irpef sono diventati un’abitudine anche senza il virus che minaccia di spazzare via metà dei club, per la gioia della serie superiori che sopportano sempre peggio la zavorra della terza serie.
In Lega Pro non ci sono star milionarie che vanno in trasferta negli alberghi a cinque stelle con stanza singola. La maggior parte dei calciatori di terza serie prende 25-30 mila euro all’anno, ha una vita relazionale normale, potenzialmente più esposta al contagio. Anche il distanziamento sociale costa.
La proposta di Ghirelli è di fermare tutto e, secondo il principio della fotografia poi adottato da Uefa e Fifa, mandare in B le tre capoclassifica (il Monza di Silvio Berlusconi, il Vicenza e la Reggina) e bloccare le retrocessioni, tanto ci penserà la crisi a sfoltire.
Ma le candidate alla retrocessione dalla B, e il presidente della Lega di seconda serie Mauro Balata, hanno detto no come De Laurentiis che vedrebbe la promozione del Bari in B affidata all’alea di un sorteggio.
Il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, avrà l’ultima parola. A lui una terza serie professionistica serve, non fosse altro che per la redditizia macchina da diplomi in funzione a Coverciano.
Il centro federale ha fatturato milioni di euro da centinaia di iscritti alla massa di corsi annuali. La lista comprende il prestigioso patentino Uefa Pro che abilita alla serie A e alla serie B e costa 8 mila euro, l’Uefa A per la C e la D (2.500 euro), i diplomi di direttore sportivo (5.000 euro), di preparatore atletico (2.056 euro), di osservatore (2.000 euro), di preparatore dei portieri (2.500 euro) e di match analyst, uno degli ultimi arrivati a 2.000 euro. Meno squadre significa tanti disoccupati con brevetto in più.
Tutto questo interessa molto poco ai colossi della serie A, come in fondo importa relativamente l’assegnazione di uno scudetto che, comunque vada a finire, è frutto di una competizione falsata dal virus.
Se Juventus, Inter, Milan intervengono poco alle assemblee, non significa che non abbiano le idee chiare. Per loro l’epidemia è un’occasione da non perdere verso l’obiettivo di staccarsi dal vecchio campionato nazionale per dare vita al grande torneo fra superpotenze del football continentale. Se è vero che nel calcio moderno vince sempre il più ricco, è certo che il virus non darà scampo a chi soffriva già di gravi patologie contabili.