Già difficile in tempi normali, interrompere la gravidanza è diventato quasi impossibile col Covid-19. Bisogna subito sospendere l'obbligo di ricovero, in favore di soluzioni farmacologiche e ambulatoriali. Altri Paesi l'hanno già fatto, cosa aspetta il governo italiano? L'appello dell'Associazione Coscioni
Le donne che in queste settimane, in piena pandemia Covid-19, vogliono interrompere una gravidanza, così come previsto dalla legge 194/78 sull’aborto, sono in difficoltà e stanno rischiando tantissimo, nel silenzio imperdonabile di quelle Istituzioni che dovrebbero tutelarle e garantire il diritto fondamentale alla salute.
Con ospedali che diventano focolai, reparti sovraccarichi, personale sanitario in affanno per l’assistenza ai pazienti affetti da coronavirus, consultori chiusi, scegliere liberamente - e in piena sicurezza - di non portare avanti una gravidanza è ulteriormente complicato.
Come se la scelta di abortire non fosse già abbastanza difficile per una donna, a tutti gli ostacoli già presenti, figli di una non corretta applicazione della legge, se ne stanno aggiungendo altri che rendono quasi impossibile accedere a un servizio a cui si ha diritto per legge.
Col rischio di ripiombare nella clandestinità.
Nonostante, infatti, l’interruzione di gravidanza abbia sempre un carattere d’urgenza e rientri nelle prestazioni inderogabili anche secondo il decreto del Ministro della Salute, alcuni ospedali stanno riducendo, altri sospendendo, gli accessi alle pratiche per l’aborto, senza fornire chiare informazioni a riguardo, con enormi differenze da regione a regione.
Per evitare ingressi in ospedali e ridurre il rischio di contagio da virus, l’interruzione di gravidanza volontaria (Ivg) farmacologica risulterebbe la soluzione più adatta, se non fosse per i tre giorni di ricovero obbligatori, rispetto all’unica giornata in day hospital prevista per l’IVG chirurgica.
Così molte donne che avevano scelto un aborto farmacologico rischiano di essere costrette a sottoporsi all’intervento chirurgico. In alternativa, non possono essere in grado di tutelare la propria salute ricorrendo ad un’Ivg. Lasciando, impotenti, che siano altri a decidere per loro.
Per affrontare questa “emergenza nell’emergenza”, con l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, altre associazioni di medici non obiettori e la rete pro-choice facciano un appello per l’aborto farmacologico ambulatoriale, chiedendo al Ministro della Salute Speranza e al Presidente del Consiglio Conte un intervento specifico a tutela del diritto alla salute di tutte le donne in questo delicato momento.
Non esiste in letteratura scientifica alcun dato che giustifichi un ricovero ospedaliero per la IVG farmacologica e l’esperienza di altri Paesi già attivi in questo senso dovrebbe spingerci a modificare le nostre pratiche, soprattutto alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo.
In Francia, Spagna e Svezia, l’aborto farmacologico è previsto in day hospital, presso strutture territoriali come i nostri consultori o parzialmente a casa e può essere somministrato da medici di famiglia ed ostetriche dopo un’adeguata formazione.
La Gran Bretagna ha attivato un protocollo per l’aborto farmacologico domiciliare in risposta alla crisi dovuta alla pandemia, per cui le pazienti possono assumere i farmaci abortivi a casa seguite tramite telemedicina. Senza rischiare di essere contagiate e senza rinunciare alla libertà di scelta nel rispetto del diritto alla propria salute.
Non solo: anche l’estensione del limite di tempo per l’Ivg farmacologica da 7 a 9 settimane, come da linee guida internazionali applicate nel resto d’Europa (negli Stati Uniti si arriva a 10) sarebbe un passo di necessario buon senso per ridare centralità al diritto alle scelte riproduttive e alla salute di molte donne nel nostro Paese.
Ministro Speranza, Presidente Conte: è tempo di agire. Prima che sia troppo tardi.
* Presidente dell'Associazione Coscioni