Djarah Kan è una scrittrice, attivista e artista italo-ghanese nata e cresciuta nel Sud Italia. Vive a Napoli e ha pubblicato racconti e articoli per Effequ, Gli Asini e Jacobin Italia. Ha partecipato al Women’s Creative Mentorship Project, pubblicando un racconto per l’International Writing Program finanziato dall’Università dell’Iowa

Che cosa sta succedendo? Che cosa mi succede? Due domande differenti con un’inedita radice comune, in questi giorni non stanno facendo altro che consumarmi da dentro. Sono come gocce che cadono da una parete rocciosa, dritto sulla mia fronte, e la parete rocciosa e un Mondo che all’apparenza cerca di cambiare, di redimersi. È il 25 maggio di un 2020 che proprio non riesce a darti tregua. Come sempre, ho il cellulare con me, quando un’amica mi manda un messaggio seguito da un video allegato. Il messaggio dice “orrore”.

Orrore, rileggo altre tre, quattro volte, sullo sfondo della schermata accesa. Ma il giorno dopo la notizia volutamente ignorata, non riesce a contenersi in pochi semplici clic, in messaggi distratti, in parole di stupore. Si accende un fuoco! L’Italia riconosce il razzismo in America che da Minneapolis fa esplodere un incendio di proteste, giunte fino a qui.

Ma era davvero necessaria la morte di George Floyd, a un Paese incapace di parlare di razzismo in casa propria? Mi sono detta sì e da quel momento ho sempre cercato di concentrare lo sguardo sull’Italia. Nella mia Italia. L’onda anomala di indignazione che si è abbattuta sulle nostre comunità nere e italiane, è stata asfissiante, sconvolgente, ma allo stesso tempo brutalmente comica, al limite del grottesco. Come neri italiani, ci sentiamo di vivere nel sogno della contraddizione. È buffo constatare che anche l’Italia si è risvegliata nelle bianche vesti di un Paese antirazzista e sensibile alla tematica della discriminazione razziale, quando vivere in Italia come figlia di stranieri ti insegna una cosa: che si può parlare di razzismo, anzi straparlare del tema, senza mai avere il soggetto interessato, ossia quello che la discriminazione e l’isolamento, li subisce entrambi, sia nella società che attraverso le istituzioni.

L’Italia, che mi ha vista nascere e crescere, che dai tempi dell’Unità di Italia ad oggi, continua ad essere divisa tra Nord e Sud, nelle ricchezze e nelle opportunità dimostra di aver bisogno della tragica morte di George Floyd per riempire le piazze al fianco di chi, fino a qualche mese fa, in quelle piazza ci era sempre andato da solo. E mi sconvolge tutti i sentimenti e le parole, questa “americanizzazione” del dibattito che in Italia dovrebbe adottare non “Black Lives Matter” ma piuttosto “Black Lives Matter” anche nel Mediterraneo, anche se nasci e cresci qui da genitori stranieri ma nessuno ti concede una legge che finalmente ti riconosca a pieno. Insomma, l’Italia è un microcosmo di pluralità sociali inespresse, fino ad ora inascoltate e invisibilizzate. Sento che ha bisogno disperatamente di uno sguardo che sia tutto suo. Uno sguardo unico che comprenda e risolva la tragedia dell’immigrazione clandestina, che guardi una volta per tutte alla “questione meridionale” e un passato coloniale che fatica a volersi riconoscere come tale.

Si, l’Italia, ha bisogno di smettere di adottare le tragedie che vengono da oltreoceano, per darsi finalmente una possibilità di porre fine alle proprie. Solo così potrà comprendersi e risolversi nel razzismo.