Degli asili nido e delle scuole materne non se ne sta occupando nessuno
Le strutture per i più piccoli in questa emergenza sanitaria sono state ignorate dal ministero. Con gravi conseguenze per i bambini e le famiglie. Ma sarebbe il momento di rimetterle al centro dell'agenda del Paese
A settembre riapriranno gli asili nido e le scuole dell’infanzia? La ministra Azzolina ha appena dichiarato di sì. Ma in realtà della fascia zero-sei anni nessuno, per il momento, se ne sta preoccupando davvero.
E non è una questione da poco. Essendo metà dei nidi a gestione privata, c’è il serio rischio che l’autunno comporti una definitiva chiusura per queste strutture, creando una voragine formativa nella fascia in assoluto più delicata per il futuro dei bambini.
A lanciare l’allarme è la sociologa Chiara Saraceno insieme all’alleanza di reti del terzo settore EducAzioni che lo scorso 6 luglio sono state ricevute dal premier Giuseppe Conte, dal ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e dal viceministro dello Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, per lanciare insieme un progetto in cinque punti che possa rimettere l’educazione al centro dell’agenda e dell’interesse del paese.
Intorno al tavolo c’erano Alleanza per l’Infanzia, Per un Nuovo Welfare, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Forum Disuguaglianze e Diversità, Forum Education, #GiustaItalia, Gruppo Crc, Tavolo Saltamuri ed è stata la prima volta che tutte le associazioni del terzo settore si sono presentate unite, con un’unica richiesta, al governo: «Un’unione che viene dalla preoccupazione per il futuro dei tanti giovani che rischiano di andare definitivamente alla deriva, più di quanto non accadesse già prima del Covid», avverte Andrea Morniroli della cooperativa Dedalus di Napoli e portavoce di EducAzioni.
Il progetto presentato a Conte si articola in cinque punti: si va dalla creazione di patti educativi territoriali fra enti locali, comuni, scuole pubbliche, privato sociale e terzo settore per far sì che la scuola resti aperta tutto il giorno e diventi un luogo di crescita aperto a tutta la cittadinanza; all’urgenza di creare un’offerta educativa personalizzata, da avviare già quest’estate, per quel 10 per cento di bambini e giovani che durante il lockdown si sono totalmente allontanati dal mondo scolastico perché vivevano in condizioni di degrado e, nonostante qualcuno abbia magari consegnato loro un tablet, non hanno partecipato alle lezioni; alla richiesta di impegnare almeno il 15 per cento del totale degli investimenti che verranno messi sul piatto per la ripartenza a favore dell’educazione, così come chiedono gli standard europei per contrastare la povertà educativa; alla creazione di un piano strategico nazionale per rimettere al centro l’infanzia, l’adolescenza e il sistema scolastico, vera leva di crescita del paese.
Un volano che potrebbe anche portare a nuovi posti di lavoro, come indica il quinto punto, il più importante di tutti: la richiesta di avviare un massiccio impiego di risorse economiche sull’educazione precoce, cioè sulla fascia 0-3 anni, sulla creazione di nuovi asili nido, sull’assunzione di personale specializzato nella cura dei bambini, perché «la carenza di questo servizio è il punto dolente dell’intero sistema scolastico», dice la sociologa Saraceno, che continua: «Se mancano le linee guida per la riapertura dei nidi, che quindi rischiano di restare chiusi anche a settembre, è perché c’è stato un rimpallo di competenze fra ministero dell’Istruzione, il ministero delle Politiche Sociali e il dipartimento politiche per la famiglia, ma il decreto legislativo 65 del 2017 è chiaro rispetto alla responsabilità del Miur nella realizzazione di un sistema integrato di istruzione ed educazione per la fascia di età da zero a sei anni. È il Miur che se ne deve occupare e deve farlo in fretta».
Perché l’assenza di iniziative su questa fascia di età si scontra con una direttiva europea che imponeva, già nel 2010, che almeno il 33 per cento dei bambini potesse accedere a un asilo nido: in Italia ci si ferma al 24,7, anzi, al 12,5 se si considerano solo quelli pubblici. «E le strutture private, vista la mancanza di direttive per la riapertura, rischia la chiusura definitiva, creando un danno sociale incalcolabile». Infatti i nidi non sono solo uno strumento di conciliazione per mamme e papà: «L’Onu e l’intera comunità scientifica che si occupa di infanzia concordano nel dire che alcune problematiche, se non affrontate a quell’età, sono irreversibili e portano all’abbandono scolastico e a forme di grave povertà educativa, che osserviamo oggi in Italia: una delle cause principali di questa situazione è proprio l’assenza di stimolanti luoghi educativi nella più tenera età».
Già oggi alcune reti del terzo settore hanno cominciato ad anticipare gli interventi educativi proprio nella fascia under sei: «La scuola è il primo luogo collettivo dove un bambino affina la propria capacità di relazione e nel nostro lavoro quotidiano abbiamo compreso che uno degli strumenti da potenziare per ridurre l’abbandono scolastico è l’intervento su segnali flebili che già si manifestano alle elementari: ad esempio, la presenza a intermittenza di un bambino è dovuta al fatto che mamma e papà non lo svegliano la mattina; se un bambino entra in ritardo, esce prima, non ha la penna nello zainetto spesso ha alle spalle genitori in difficoltà», racconta Andrea Morniroli, che spiega come queste problematiche, per essere affrontate, debbano essere intercettate nella fascia della prima infanzia non dai servizi sociali, che porterebbero i bambini a percepirsi diversi dagli altri, bensì dalla scuola: «È il Miur che deve dare a tutti i bambini la possibilità di esprimersi alla pari, offrendo contesti educativi stimolanti, aperti ben oltre l’orario scolastico».
E la buona notizia è che non servono speciali ricognizioni, lunghe analisi, studi mirati: «Le reti firmatarie di EducAzioni presidiano già tutte queste aree in Italia e con questo documento stiamo offrendo la nostra esperienza per favorire la creazione di un modello integrato fra scuola pubblica e terzo settore così da offrire una veloce risposta al problema della povertà educativa, che sta diventando esplosivo», dice Raffaela Milano di Save the Children, che ha raccontato al premier e ai ministri presenti all’incontro quanto sia stato complicato, durante il lockdown, mantenere un contatto con quei bambini che vivono in situazioni critiche: «Non essendoci un dialogo con le scuola pubbliche, non avevamo i nomi dei bambini totalmente assenti alle lezioni: è stato difficile trovarli. Stiamo assistendo a situazioni drammatiche di ragazzini che hanno invertito il giorno e la notte, altri hanno sviluppati problemi del linguaggio e motori perché sono stati allontanati dall’unico elemento formativo che avevano: la scuola».
Nel piano presentato da EducAzioni c’è l’urgenza di focalizzare gli interventi sulle periferie e sulle aree più critiche, che sono note da anni: «Noi organizzazioni del terzo settore già operiamo in queste zone fragili, che sono prive di strutture scolastiche di qualità, possibilità di fare il tempo pieno, palestre, biblioteche, aule mensa e di quegli elementi di modernizzazione che permetterebbero ai giovani di percepire la scuola come l’ambiente in cui potersi esprimere, guadagnando quella fiducia che le loro famiglie non sono state in grado di dare loro e che è indispensabile per poter proseguire nel percorso di studi», continua Milano. La proposta ha dato il via ai lavori per la creazione di un piano strategico per costruire la scuola del futuro. La rete EducAzioni e il Miur si sono dati appuntamento al prossimo 23 luglio per tradurre le proposte nella scuola del futuro: «L’Italia è piena di eccellenze del sistema formativo, ma non c’è uno standard. L’obiettivo deve essere quello di passare dalle eccellenze a uno standard di qualità attraverso interventi strutturali per creare e ristrutturare gli spazi per l’apprendimento che devono essere belli e stimolanti», conclude Morniroli.