Sulla strage di Bologna non ci vogliamo rassegnare
La ricerca della verità su quell'attentato va avanti da 40 anni grazie agli sforzi dei parenti delle vittime. E anche per loro che non bisogna mai fermarsi
«Senza un fiato di vento il cielo ha buttato un grido tremendo. Un sole nero corre per le strade, io voglio provare i miei sentimenti come su lastra di fuoco...».
Sono i versi che il poeta bolognese Roberto Roversi scrisse il 6 agosto 1980, quattro giorni dopo la strage più orrenda della storia repubblicana. In quella composizione, Notizia, c’è una conversazione interrotta, un dialogo d’amore spezzato, «un’estate finita».
Così si è provato a bloccare il corso della democrazia italiana. Hanno ricattato lo Stato, grazie alla infedeltà di uomini dello Stato legati a santuari e logge massoniche. Hanno insanguinato le nostre piazze e stazioni. Hanno asfissiato il nostro futuro. Quarant’anni dopo emergono frammenti di verità e giustizia, come mai hanno smesso di chiedere i parenti delle vittime, riuniti in associazione da Torquato Secci e oggi da Paolo Bolognesi, e la coscienza civile del Paese che sarà rappresentata da Sergio Mattarella a Bologna il 30 luglio così come lo fu nel 1980 da Sandro Pertini.
E mai hanno smesso di chiederlo gli 85 morti di quella mattina, alle ore 10.25 di sabato 2 agosto 1980. Morti da piangere, morti da ricordare. «Ma dammi la tua mano, io non mi rassegno, non mi voglio rassegnare», scriveva Roversi. Non ci vogliamo rassegnare.