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Ma quanti medici vale un caccia?

di Silvia Perdichizzi   30 luglio 2020

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Con l'alibi della sicurezza la spesa militare continua a crescere. Ma le vecchie armi sono inutili contro nemici mortali come le pandemie. E sottraggono risorse a istruzione e sanità. In anteprima il rapporto Greenpeace

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Stavolta lo hanno capito tutti, ma proprio tutti. La vecchia Europa ma anche gli Stati Uniti, i russi e i cinesi, i brasiliani e gli iraniani: d’ora in poi le minacce invisibili possono essere assai più letali dei nemici ai quali siamo stati abituati per secoli. Quelli che arrivavano per terra e per mare con le guerre e con le loro armi visibili. Partendo da questa premessa Greenpeace, associazione ambientalista il cui lavoro di mobilitazione ha portato negli anni ad influenzare decisioni storiche a livello mondiale (una su tutte quella sul nucleare), ha deciso di concentrare il lavoro della sua Unità Investigativa attorno alla domanda: “Cosa rende sicura oggi la nostra casa?” Settimane di studio e di verifica per analizzare i finanziamenti destinati a livello mondiale al settore militare. Un’analisi certosina, poiché le voci relative a questo capitolo di spesa sono difficili da reperire e spesso disaggregate. Ne è nato un Report, che l’Espresso è in grado di anticipare, che svela una quantità di dati assai interessanti, a cominciare dal più significativo di tutti: negli ultimi anni la spesa militare globale ha raggiunto il livello più alto dalla fine della Guerra Fredda.

Sulla base di questi e altri numeri assai eloquenti, Greenpeace ha lanciato la campagna “Ripartire, le Persone e il Pianeta Prima del Profitto”, per chiedere al Governo italiano - attraverso azioni mirate - «di usare i soldi pubblici investendo su salute, educazione, energie rinnovabili, green jobs, agricoltura ecologica, trasporto pubblico e disinvestendo dalle spese belliche».

Del resto il Covid ha dimostrato che il nemico non viene più solo e unicamente dall’esterno e che è indispensabile una riconversione culturale ancor prima che finanziaria. Perché se si pensa con la logica della guerra e si continua ad investire in modo assai significativo “sull’indotto militare”, il sistema paese si indebolisce.
La campagna dell’associazione ambientalista si propone di dare forza e alternative di spesa a parole d’ordine che il sistema politico ripete meccanicamente: ospedali inadeguati, assenza di terapie intensive, mancanza di personale sanitario, studenti senza una connessione internet che ancora non sanno con certezza quando e come torneranno a scuola. Questa è la fotografia dell’Italia degli ultimi mesi e dell’Italia che verrà se non si inverte immediatamente la rotta e non si inizia a ragionare con politiche serie di welfare, istruzione, sanità e ambientali. «Per generazioni ci siamo abituati all’idea che le minacce esterne debbano essere combattute con le armi», spiega Chiara Campione, Senior Strategist di Greenpeace Italia, «ma la crisi del Covid ha messo in luce quanto siamo impreparati per contrastare i pericoli che realmente ci minacciano. Crediamo, quindi, sia necessario ridefinire la nostra idea di sicurezza perché, se non abbiamo imparato che bisogna investire sulla tutela delle persone e lì basare la nostra sicurezza, non abbiamo capito la lezione».

Bei propositi, a parole condivisi da tutti. Ma che si scontrano con un grande quesito: dove prendere i soldi? Le risorse che l’Europa ha finalmente sdoganato non sono a piè di lista, per quanto ingenti, ad un certo punto si esauriranno. Il Report di Greenpeace mostra il paradosso tra l’enormità di investimenti nel settore militare e la nuova emergenza per sanità, welfare, scuola. Partendo da un dato ineludibile: la pandemia ha creato un buco nell’economia italiana che secondo le stime di Banca d’Italia porterà il Prodotto interno lordo a calare del 9,2%, previsioni che potrebbero peggiorare in caso di nuovo lockdown.

La spesa militare globale, si legge nel rapporto dell’associazione ambientalista, ha raggiunto il livello più elevato degli ultimi decenni. Nel 2019 i governi mondiali hanno destinato a questo settore 1,91 trilioni di dollari, il 2,2% del Pil globale. L’Italia, nello stesso anno ha speso 24 miliardi di euro, l’1,4% del Pil, e il 2020 prevede una crescita delle spese di oltre 1,5 miliardi, con un fondo per gli acquisti di nuove armi ad un livello record di quasi 6 miliardi. All’interno di queste spese, dunque, spiegano dalla Rete per il Disarmo e dalla Rete della Pace, sono compresi sia i costi delle 36 missioni militari all’estero, sia quelli degli acquisti diretti di armamenti. Sono questi i fondi che servono a finanziare lo sviluppo e l’acquisto di caccia F-35, di Fregate Fremm e di tutte le unità previste dalla Legge Navale, elicotteri e missili. Senza dimenticare i 7 miliardi di euro “sbloccati” dalla Difesa e dal Ministero dello Sviluppo Economico, in particolare per mezzi blindati, e la prevista “Legge Terrestre” da 5 miliardi.

Cifre imponenti che non si spiegano soltanto con l’alibi della “sicurezza” soprattutto di fronte ad un sistema sanitario, educativo, occupazionale, economico che si sgretola come un castello di carta pesta. «La pandemia - aggiunge Chiara Campione - continua a mostrare che la sicurezza non si può raggiungere solo con la potenza militare».

Ma è una questione di scelte: se decidi di spendere per un bene/servizio rinunci ad investire in altro bene/servizio per la tua comunità. In una logica integralmente pacifista, l’analisi condotta dall’International Peace Bureau dimostra che un sottomarino nucleare da attacco di classe Virginia della marina americana, dal costo di circa 2,8 miliardi di euro, equivale all’acquisto di 9mila ambulanze. Con la spesa di una fregata di classe Bergamini si potrebbero pagare oltre 10mila dottori in un anno, mentre i circa 89milioni di dollari necessari per acquistare un caccia F-35 coprirebbero 3.200 posti letto di terapia intensiva.

E l’Italia non solo ha scelto di sparare alto sulla spesa militare, ha contemporaneamente tagliato i costi della sanità pubblica, tra il 2010 e il 2019, di 37 miliardi di euro (dati della Fondazione Gimbe). Guarda caso la stessa cifra della quale potrebbe usufruire se aderisse al tanto discusso Mes, il Fondo europeo Salva Stati. Con 3,2 posti letto ogni 1.000 abitanti, il nostro Paese si colloca ben al di sotto dei 4,7 della media europea. In Germania, dove ci sono 8 posti letto ogni 1.000 abitanti, si sono registrati, non a caso, poco più di 9mila decessi per Covid, contro gli oltre 35mila italiani.

Le cose non vanno di certo meglio se si guarda al capitolo istruzione. La scarsità di fondi destinati alla scuola nella legge di Bilancio del dicembre scorso aveva portato lo stesso ministro Lorenzo Fioramonti alle dimissioni. Secondo i dati Eurostat, nel 2017 l’Italia ha investito nell’istruzione il 7,9% della spesa pubblica totale: ultimo stato membro Ue in graduatoria. E ora si scontra con il grande problema della riapertura di strutture fatiscenti in cui è impossibile mantenere il distanziamento sociale. Perché non ricorrere, allora, alle caserme? Anche qui i numeri parlano: la Difesa - si legge nel rapporto di Greenpeace - dispone di un patrimonio immobiliare costituito da 4.300 tra infrastrutture e aree addestrative attivamente in uso. Più di tutti gli asili nido pubblici sul suolo italiano. Nel decreto Rilancio il Governo ha stanziato per la scuola 1 miliardo e 400 milioni di euro, meno della metà di quanto destinato ad Alitalia. La Cisl stima che solo per sdoppiare le classi alle materne e alle primarie occorrerebbero 110mila supplenti in più. Costo? 3 miliardi.

Il Covid, inoltre, ha mostrato un’altra grande debolezza del nostro Paese che è pesata, in primis, proprio sui giovani e sulle classi più povere. Mentre il mondo affrontava il lockdown tra dirette social e webinar, molti studenti restavano sconnessi, isolati nei loro quartieri, lontani dall’apprendere nozioni che i loro coetanei, chi più chi meno, ricevevano grazie alla Didattica a Distanza (DaD). Greenpeace racconta come l’Italia sia tra i Paesi più analogici d’Europa: siamo al 25° posto nel Digital Economy and Society Index 2020, pubblicato dalla Commissione europea. Secondo le stime Istat del 2019, un terzo delle famiglie italiane non ha un computer o un tablet e, durante il lockdown, sono stati circa 3 milioni gli studenti tra i 6 e i 17 anni che potrebbero non aver avuto accesso alla DaD.

Pensare di uscire da questa pandemia con lo stesso tipo di mentalità con cui siamo entrati sarebbe disastroso. E pensare che la corsa agli armamenti sia l’unico modo per garantire la sicurezza è ormai un falso mito, anacronistico o che serve solo agli interessi di pochi. Un dato su tutti: a oggi, in Italia, si è arrivati a circa 35mila decessi per Covid-19 nel giro di 5 mesi. Dopo la seconda guerra mondiale, un conflitto devastante durato ben 5 anni, i morti civili raggiunsero il numero di 153mila.

Il Parlamento europeo, in collaborazione con l’Institute for Economics and Peace - si legge ancora nella ricerca dell’Unità investigativa di Greenpeace - ha sviluppato il Normandy Index (Ni) che misura la minaccia alla pace considerando non solo fattori tradizionali, come i conflitti armati, il terrorismo, gli omicidi, ma mettendo sulla bilancia anche criteri nuovi come l’insicurezza energetica, la libertà di stampa, la sicurezza informatica e il cambiamento climatico. Per questo anche economisti come il Nobel Joseph Stiglitz e Nicholas Stern chiedono ai Governi di fare della ripartenza post Covid un’occasione storica, investendo su politiche ecosostenibili e green che, tra l’altro, genererebbero profitto. Secondo la Global Commission on Adaptation, creata dall’ex segretario dell’Onu Ban Ki-moon, solo per fare un esempio, se gli 1,8 trilioni di dollari della spesa militare globale venissero investiti in cinque settori chiave per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici, in dieci anni si avrebbe un ritorno economico di 7.1 trilioni.

E ancora, nello stesso arco di tempo, in Italia l’attuazione di dieci misure strategiche della Green Economy può portare un introito pari a 370 miliardi di euro e 2,2 milioni di posti di lavoro in 5 anni. Un aumento rilevante se si considera che, a fine 2019, 2,5 milioni di italiani cercavano lavoro senza trovarlo.