Contestazione estremista alla presentazione di "Salutiamo, amico" a Reggio Calabria. A mezzo secolo dai Moti per il capoluogo, la posta in gioco è la città metropolitana. Con Salvini erede della destra estrema

Chi scrive un romanzo ha la speranza di piacere a tutti, non fosse che per biechi motivi narcisistico-commerciali. Ma proprio a tutti non si può piacere e forse ci sono categorie alle quali è preferibile risultare sgraditi. È il caso degli attivisti del centro studi Tradizione e partecipazione, di ispirazione neofascista, che hanno mandato una trentina di soci a contestare la presentazione del mio romanzo Salutiamo, amico. Il libro è ambientato durante i mesi del 1970 a Reggio Calabria, teatro di una rivolta che paralizzò la città e produsse sedici morti accertati e centinaia di feriti, oltre ai danni economici.

Lo slogan Boia chi molla, marchio della rivolta popolare rapidamente finita sotto la direzione strategica della destra eversiva, è tornato a risuonare a cinquant'anni di distanza quando il comitato di accoglienza è entrato in azione nel tardo pomeriggio di venerdì 3 luglio, nella zona nord della città. Lì la fondazione intitolata all'ex sindaco Italo Falcomatà aveva previsto uno dei primi eventi pubblici successivi alla chiusura con la presenza dei giornalisti Tommaso Labate, Mario Meliadò, Pietro Raschillà, dell'ex aggiunto della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì, e dell'autore al quale è stato dedicato uno striscione modello stadio lungo qualche metro.

La scritta consta di una qualifica che non riesce a essere offensiva (qualcuno le dovrà pur vendere le penne) e di un secondo rigo che echeggia una leggendaria battuta di Amedeo Nazzari nel film “La cena delle beffe” di Alessandro Blasetti (1942), ripresa nei caroselli del dopoguerra per fare pubblicità all'amaro Biancosarti dallo stesso attore cagliaritano.

Tradizione e partecipazione è pur sempre un centro studi, inserito nel contesto in una lunga tradizione partita negli anni Sessanta con il centro studi Ordine Nuovo di un altro calabrese, Pino Rauti, e confluita in alcune attività dei gruppi neofascisti attuali tra Casapound, Fiamma Tricolore, Forza Nuova e il Fronte Nazionale che l'ex avanguardista Adriano Tilgher ha riesumato dalle ceneri del movimento di Junio Valerio Borghese, il principe nero della X Mas che ha giocato un ruolo importante nei moti di Reggio.

Costituito otto anni fa il 14 luglio (anniversario dell'inizio dei Moti oltre che della Rivoluzione francese) da Giuseppe Agliano, un fedelissimo dell'allora governatore Giuseppe Scopelliti, da poco scarcerato, il circolo terrà la prossima iniziativa cittadina sabato 11 luglio con la presentazione di un libro di Alessandro Amorese, Rivolte, dedicato alle ribellioni di quegli anni al centrosud (Reggio, L'Aquila, Battipaglia) e pubblicato da Altaforte, l'editore dell'estrema destra che ha in catalogo la biografia di Matteo Salvini.

La contestazione dello scorso 3 luglio è durata pochi minuti e la serata si è svolta tranquillamente. Sui social, ovviamente, è un'altra musica. I toni della cosiddetta cultura ultras, che scorre parallela agli studi grazie alle adesioni dei tifosi della curva sud, tendono a prevalere e a coinvolgere altri reggini che ebbero il torto di opporsi ai seguaci di Ciccio Franco, come l'ex ministro dell'Interno Marco Minniti. Nulla di troppo strano in questo.

Un po' più strano è che un'opera di finzione narrativa, anche se inquadrata in un contesto storico preciso e accompagnata da una postfazione di inchiesta giornalistica, susciti questo tipo di reazione a mezzo secolo di distanza.

La tesi che si cerca di trasmettere alla Storia, dopo cinquant'anni, è che si sia trattato di una sollevazione spontanea e di popolo di fronte all'ennesimo torto subito dalla città più grande della Calabria. In questo caso, il detonatore della rivolta è stato il capoluogo portato a Catanzaro dai signori delle tessere del tempo, il socialista Giacomo Mancini e i dc Riccardo Misasi ed Ernesto Pucci.

Senza anticipare i contenuti del libro, è curioso notare che i più convinti assertori dello spontaneismo ingenuo siano i neofascisti. Bisogna però stare attenti a sottovalutare quello che accade a Reggio e che può passare per una vecchia bega su un evento che è stato trascurato se non saltato a pie' pari dai percorsi di studio ufficiali sulla strategia della tensione.

Fra due mesi a Reggio, città metropolitana, si vota per il sindaco. L'avversario dell'uscente Giuseppe Falcomatà, democrat e figlio di Italo, sarà scelto nei prossimi giorni dalla Lega in una città dove il salvinismo è composto esclusivamente di transfughi della stagione di Scopelliti, ex Msi, Alleanza nazionale e Forza Italia, prima della condanna per avere falsificato i bilanci comunali.

È la dimostrazione che il leader leghista ha scommesso forte sulla città dello Stretto, a costo di scontentare gli alleati di Fdi e i berlusconiani che hanno in Calabria una delle ultime roccaforti elettorali. Per il leader leghista gli slogan populisti, reazionari, localisti dei Boia chi molla sono un manuale di azione politica ancora attuale.

Su questo sfondo i pennivendoli che cercano una verità storica più complessa rispetto all'eroica e spontanea lotta delle masse oppresse diventano automaticamente “nemici di Reggio”. E i loro libri non vanno letti. È questo, non l'insulto, il vero messaggio che passa da una riedizione vagamente patetica della fatwah.