L'estate italiana delle troppe incognite

di Marco Damilano, foto di Massimo Sestini   12 agosto 2020

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MARCO DAMILANO

L’economia, il lavoro, la scuola, le istituzioni, il parlamento, la magistratura... Il rientro sarà un intreccio di incertezze, un vuoto che la politica non sa o non vuole riempire (Foto di Massimo Sestini)

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Negli ultimi due anni abbiamo avuto prima l’estate 2018 dell’Italia cattiva, razzista, senza limiti, come se il sovranismo che aveva preso il potere a Roma con il governo gialloverde fosse stato vissuto da un pezzo di società come un via libera, un lasciapassare, un liberi tutti per comportamenti censurabili che potevano uscire allo scoperto.

E poi l’estate 2019, quella dei pieni poteri invocati su una spiaggia da Matteo Salvini e della sua caduta rovinosa. Due anni vissuti dall’Italia in copia conforme con quanto stava succedendo nel mondo e in Occidente, dopo il 2016 della Brexit e dell’elezione di Donald Trump, ampiamente annunciata da sommovimenti di lungo corso, sociali, culturali, mediatici. Il trumpismo era stato anticipato da fenomeni come quelli raccontati da The Loudest Voice, la serie tv uscita un anno fa in America e poi in Italia, che racconta la nascita di Fox News e la storia del suo inventore Roger Alies, travolto da una catena di scandali sessuali, morto nel 2017 dopo aver condizionato per due decenni la politica americana, e non solo quella americana, con il suo modo di fare informazione.

Notizie false, avversari politici gettati nel fango, scorrettezza politica. «Diamo al pubblico ciò che vuole, anche se non sa ancora di volerlo», dice Alies. E ancora: «Noi non seguiamo le notizie, le fabbrichiamo. Le persone non sanno più a cosa credere. Se dici loro cosa devono pensare le perdi, se dici loro cosa devono provare le conquisti».

Cosa pensare, cosa provare. Tutto questo è sembrato interrompersi con la pandemia. Si è inceppata la macchina militare comunicativa imposta dalla destra mondiale e subita dalla sinistra evanescente, quella che in Italia lottizza i direttori dei tg Rai ma non sa fare cultura, non sa parlare al Paese, preferisce occupare i minuti dei pastoni dei telegiornali della sera piuttosto che qualche angolo dell’immaginario.

Non è stata una reazione di segno opposto a impantanare i sovranisti nelle loro contraddizioni, ma la realtà incontrollabile di un virus che ha sbugiardato molti luoghi comuni dei custodi della limpieza de sangre nazionale, la purezza dei popoli, rispetto agli invasori esterni: gli stranieri, i migranti, l’Europa, l’Onu, Soros...

Il covid circola in noi, è dentro e non fuori, per combatterlo non serve recintare i confini, occorre responsabilità, rispetto di sé e degli altri, conoscenza, parole insopportabilmente retoriche e uscite dalla circolazione. Ha richiesto il recupero di un altro senso della sicurezza, la prevenzione e la cura, la salute pubblica. È qui la sostanza di una possibile sconfitta del sovranismo internazionale, prima culturale e psicologica che politica. È questo che oggi fa tremare il mondo di fronte a un Trump in ipotesi perdente alle elezioni di novembre e deciso a ricorrere all’arma più scontata che si usa in questi casi: il rialzo della tensione internazionale, che può arrivare a scatenarsi nel Mediterraneo.

L’esplosione di Beirut ha polverizzato il porto ma soprattutto ha fatto saltare in aria la fragile costruzione politica su cui si reggeva il Libano. La Libia è una nazione senza Stato, almeno dal 2011 è preda degli interessi dei più forti, oggi Turchia e Egitto. E intorno alla piccola isola di Kastellorizo-Megisti, Castelrosso, dove Gabriele Salvatores ambientò il suo film vincitore dell’Oscar, di amministrazione greca ma distante pochi chilometri dalle coste turche, si confrontano pericolosamente la Turchia e la Grecia, due paesi della Nato, sulle esplorazioni di fonti energetiche nell’Egeo. Sono i venti di guerra, di varia intensità, che soffiano nel Mare Nostrum, attorno all’Italia ferragostana.

L’attesa è tutta per il Recovery Fund: come saranno spesi i miliardi in arrivo. Il dibattito che si è aperto sulla detassazione delle imprese nel Sud, tra gli esperti e all’interno del Pd che esprime il ministro dell’Economia e del Mezzogiorno ma anche un bel pezzo di classe dirigente del Nord, è solo un anticipo. Il divario tra le due Italie, in questi mesi, è aumentato, come si legge nel rapporto Svimez: più disoccupati e crescita dimezzata nel 2021. Ma la politica è scelta, non accademia. E l’idea che si possano separare le scosse sismiche che infrangono la struttura economica di un Paese dallo stato psicologico dei suoi cittadini è una pura illusione.

La parola di questa estate 2020 per la maggior parte degli italiani è: sospensione. È la compagna di viaggio per chi ha deciso comunque di spostarsi da casa. La sospensione per le strade del Sud, con le loro curve, i loro smottamenti e le loro crepe, l’immagine dell’Italia da riparare, da rammendare, e per le strade del Nord che invece continua a costruire, lavorare, produrre, nonostante il lockdown e la crisi. La sospensione nei discorsi tra familiari e amici: l’incognita della ripresa, un approccio rarefatto alle vacanze e al divertimento, nonostante i tanti reportage moralistici sulla movida, parola inesistente se non sui media, dei giovani che fa aumentare il contagio. Sospeso il ferragosto che non c’è, stretto tra i mesi dell’isolamento con tutti gli enormi costi psicologici che non calcolano gli istituti di statistica e di cui non si occupa nessuno e i mesi che verranno, con la paura della seconda ondata. Sospesa la scuola, chiusa dal 3 marzo, un’eternità, e senza nessuna vera certezza che con la riapertura di settembre tutto andrà bene. Sospesa la vita delle istituzioni. In questa estate 2020 hanno ricevuto un gravissimo colpo la magistratura, ingiustamente trascinata tutta sul banco degli imputati dall’ex presidente dell’associazione delle toghe Luca Palamara, e i carabinieri, con la vicenda letteralmente oscena della caserma Levante di Piacenza.

Sospeso è il Parlamento, a rischio di mutilazione dei suoi componenti nel caso di vittoria dei Sì alla riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari, votata in quarta lettura dalla quasi unanimità dei deputati, 553 sì, 14 no, due astenuti. Avranno votato per la riduzione, probabilmente, anche i cosiddetti furbetti del bonus, i deputati che non si sono vergognati di chiedere all’Inps la misura di sostegno al reddito, nonostante la ricca indennità percepita ogni mese.

La caccia al colpevole che ne è seguita è l’ennesimo capitolo di una pessima trama che va avanti da anni, in cui i parlamentari - all’insaputa o no - sono carnefici di se stessi, carne da macello mediatico auto-prodotto, pronto per l’uso, soprattutto nell’estate della sospensione. Mentre anche questa vicenda meschina, di furbizia ma anche di indignazione piccola piccola, mette in luce la vera questione di cui si dovrebbe dibattere a proposito di numero dei parlamentari. La qualità della rappresentanza, ovvero chi rappresentano oggi i deputati e i senatori della Repubblica. La risposta è amara: questo Parlamento eletto nel 2018 è il più giovane e il più femminile della storia, con il più alto numero di neo-eletti, ma non cambia il metodo di elezione. La scelta avviene per mano dei capi-partito, in forma diretta o sotto le sembianze della piattaforma Rousseau, e dunque non si cancellano i vizi. L’auto-referenzialità, il non dover rendere conto di niente a nessuno, anche il rendiconto dei 5 Stelle è infatti sparito, il durare per durare e altri veleni letali per la democrazia. L’opposto di quanto fanno altre figure della politica: i sindaci, gli assessori, i consiglieri comunali, mai così in trincea come nell’anno del covid.

Ecco un altro divario che si sta allargando. Tra chi fa politica sul territorio e chi la fa a livello nazionale, come un albero senza radici.
Il Parlamento va difeso come istituzione anche dagli inquilini che lo occupano pro tempore. È la regola numero uno, come ha dimostrato il premier spagnolo Pedro Sanchez. È toccato a lui, un socialista, difendere la monarchia dalle malefatte di un monarca corrotto e pasticcione. Questo non significa che non si possa toccare nulla, ovviamente: è la caricatura che i falsi riformisti fanno da sempre di chi denuncia le finte riforme, quelle che si scrivono per non cambiare nulla. Il taglio del numero dei parlamentari è una di queste: un tripudio di gattopardismo. Se ci fosse un’opposizione degna di questo nome forse lo potrebbe dire.

Purtroppo nell’Italia sospesa 2020 l’opposizione è sequestrata da un leader in stato confusionale come Salvini, isolato in Italia e in Europa ma pur sempre in grado di raccogliere un quarto dei consensi degli italiani. Un’opposizione in ostaggio della Lega, che continua a condividere con l’ex alleato di governo M5S il rifiuto delle regole, i cerchi magici del leader, l’allergia per le istituzioni. Lo ha dimostrato Luigi Di Maio, non gli è parso vero di tornare a vestire i panni del cacciatore dei privilegiati della Casta, lui che oggi è il più abile dei professionisti della politica in circolazione. Di lui Furio Colombo ha genialmente osservato che il suo unico merito è di non essere Salvini. E appare sospesa la maggioranza Pd-M5S, in attesa del settembre delle scelte.

Sospeso anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, come lo raffigura Makkox in copertina, il Conte sullo Stretto mentre danza leggero sul ponte di Messina versione sottomarino, e sul ponte cronologico e politico che gli interessa di più, quello che collega il 2020 al 2022, la data di elezione del nuovo presidente della Repubblica.
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Il restyling comunicativo di questi giorni, con la fidanzata all’improvviso spedita sul palcoscenico a rafforzare l’immagine presidenziale del premier, dimostra quanto le ambizioni quirinalesche dell’avvocato di Palazzo Chigi siano difficili da nascondere. Dall’anonimato a Palazzo Chigi al Quirinale, senza aver mai dovuto incontrare il consenso elettorale (dove sono finiti quelli che dicevano dei suoi predecessori: non lo ha eletto nessuno?) e il sangue e quell’altra nobile materia di cui secondo Rino Formica è composta la politica. È la sospensione lo stato della politica italiana, quello in cui i politici italiani si sentono più a loro agio. La transizione infinita del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è arrivata al nulla, alla fine non si capiva dove fosse cominciata e dove dovesse approdare.

Per questo il ferragosto sospeso è il tempo dei Conte di ogni tempo e di ogni estate. Ma chi crede nella forza della politica ha il compito di spezzare almeno questa sospensione.