Dieci anni dopo, la morte di Sarah Scazzi è ancora una giungla in cui si perde ogni verità

Un libro analizza per la prima volta 20 mila pagine di documenti sul delitto di Avetrana. Rivelando un quadro complesso di omissioni, rancori, pressioni. E infinite zone d’ombra

Fino a dieci anni fa ignoravamo dell’esistenza di Avetrana, un paese di seimila anime in Salento, ignoravamo l’esistenza di questo lembo di terra uguale a migliaia di altri paesi attraversati da strade statali, luoghi di noia, di terre lavorate fino allo stremo, di miseria e di dimenticanza. Lo abbiamo scoperto e non lo abbiamo più scordato, quel nome eufonico sa di un caso risolto contro troppe verità processuali strane da mandare giù. Avetrana, terra di campagna e di mare, fatta di emigranti di ritorno e di bar dello sport, dove il turismo del macabro rende cupo anche il sole d’agosto.

«Vengono sempre a chiedere dove sta la casa dei Misseri e dove sta il pozzo dove buttarono la piccola Sarah e dove sta Michele. La gente ha brutte curiosità», mi dice una donna vicino l’edicola del paese. «Prima ad Avetrana non c’era niente ed era meglio, ora c’è questa storia infame, ma alla piccola Sarah, non ci pensa nessuno». Sarah Scazzi, la vittima troppo spesso dimenticata forse perché troppo ragazzina, troppo quindicenne, troppo innocente.
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Il marketing del circo mediatico giudiziario ha individuato Michele Misseri come figura di rappresentanza del caso, non solo perché fu il primo ad accusarsi dell’omicidio, ma perché la sua figura respingente, con un cappello da pescatore e il nomignolo famigliare di “Zio” lo hanno reso subito macchietta e caricatura, facendo dimenticare al grande pubblico che quell’uomo con le mani dinoccolate, la pelle ruvida e lo sguardo appuntito si è accusato di aver ucciso Sarah e di aver occultato il corpo della nipote perché ne provava attrazione, secondo la sua stessa ammissione. «Io sono forte, tutti mi sottovalutano», dice in un video realizzato da Nazareno Dinoi sul luogo dell’occultamento del cadavere due anni dopo l’omicidio. «Io sono forte», dice alzando le braccia per indicare il masso col quale coprì il cadavere esile di Sarah Scazzi dentro a un pozzo dove rimase per 42 giorni.

Ma per la giustizia italiana le parole di Misseri sono carta straccia, sono state pronunciate per coprire le responsabilità di sua figlia, Sabrina Misseri e della moglie, Cosima Serrano, che sono state condannate in via definitiva per aver prima sequestrato Sarah Scazzi - secondo le sentenze, dopo essersi recata a casa dei Misseri, la 15enne sarebbe scappata e poi sarebbe stata «riacciuffata» dalle due donne in macchina - e poi l’avrebbero uccisa con una cintura, strangolandola. Testimone chiave di questa versione Giovanni Buccolieri, fioraio di Avetrana che avrebbe visto l’accaduto (ha cambiato più volte versione). A quel punto le due donne avrebbero «obbligato» Michele Misseri a occuparsi del cadavere.

Da qui la condanna per soppressione di cadavere assieme al fratello, Carmine Misseri, e al nipote, Cosimo Cosma, che è morto di tumore dopo la condanna in primo grado. Movente di tutto: la gelosia per un ragazzo, Ivano Russo, condannato a cinque anni per aver depistato le indagini. Su di lui cade la colpa di essere l’oggetto della contesa tra le due cugine, di essere l’epicentro del pettegolezzo e dell’affronto.
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Una giungla di verità, di negazioni, di carte processuali, di sangue e fango, che a dieci anni di distanza prendono una vita diversa dentro un libro “Sarah. La ragazza di Avetrana” (Fandango) scritto da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni. Mentre il sole ci stordisce nella piazza centrale di Avetrana, raccontano di quella che è diventata per loro una sorta di lucida ossessione: «Volevamo indagare un contesto sociale e culturale, quello della provincia meridionale, che ha portato a un atroce delitto maturato in ambito familiare.

Ma volevamo anche comprendere le influenze del primo processo mediatico italiano sulle indagini, e analizzare i passaggi - dai primi atti fino alla sentenza - che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, che ancora oggi continuano a dichiararsi innocenti. Ci interessava anche comprendere come Michele Misseri, che da sempre si presenta come l’unico colpevole, sia invece stato accusato e condannato solo per soppressione di cadavere e non per il reato di cui dice da anni di essersi macchiato. Misseri è tornato a ribadire la sua colpevolezza nella lettera che ci ha inviato e che abbiamo pubblicato in esclusiva nel libro».

Un delitto in cui il cortocircuito tra media e aule di giustizia è stato evidente, sotto la scorza di una provincia che agisce sempre allo stesso modo, si tratti di mafia o di mura domestiche. Una realtà immobile: gli inverni duri da passare, il lavoro della terra, i bar con le carte e i video poker, le partite alle domenica, i giovani che se ne vanno, il sindaco, il farmacista, il comandante dei carabinieri, la festa del santo, il sesso come vergogna pubblica e privata e infine, con l’avvento dei social, le chiacchiere di commento su una foto, su un like.

È dura essere vivi da queste parti, la desolazione della provincia che si è evoluta senza valori, ma con le solite reticenze, ha invaso lo spazio minimo di respiro. Respiro che su questo territorio manca, come raccontano gli autori indicandomi la via che conduce a casa Misseri: «Questo territorio è la parte più periferica del Salento e qua abbiamo incontrato tutti i protagonisti che ci è stato possibile, approfondito tutte le piste rimaste inascoltate e soprattutto studiato tutti i documenti, che superavano le 20 mila pagine. Abbiamo lavorato sempre senza alcun tipo di pregiudizio. Ci siamo resi conto però di incredibili domande rimaste senza risposta».

A colpire Piccinni e Gazzanini è stato «il mix esplosivo che ha travolto Avetrana dieci anni fa, trasformandola da paese della periferia meridionale in cuore pulsante di uno show dell’orrore. Tra voci di paese e pressione mediatica, tutto ha influito sulle indagini. Tutto ha schiacciato, fino a farlo scomparire, il ricordo stesso di Sarah. Le persone coinvolte sono state invece tramutate in personaggi da incasellare in categorie precostituite. E spesso gli stessi protagonisti, pur di nascondere piccoli segreti, hanno alimentato una sequenza interminabile di bugie che poi si sono trasformate in una valanga capace di travolgerli, forse portando via per sempre con sé la verità».

Queste terre sono fatte per scappare, per tornare a piccole dosi, per prendere poco a poco il veleno che viene dalla morte e dai fantasmi.Una certa cronaca giudiziaria ha costruito contrapposizioni tra le cugine, gelosie pregresse, giocando sul corpo delle donne di questa storia disonesta ovunque la si guardi. La condanna a morte di Sarah sarebbe stata anche la sua bellezza, la sua grazia e la capacità di far innamorare un uomo, s’è detto, semplificando e incasellando tutto nella vicenda orrendamente definita «passionale», e rimuovendo invece l’attrazione che Michele Misseri ha più volte dichiarato di aver provato verso Sarah. Non fa impressione se a dirlo è un fattore di campagna, un uomo della terra. Nel circo italiano altri prima di lui ci hanno abituato a quell’orrore di «cose fuori posto».

Tutto orrendo a vederlo dieci anni dopo, un contesto interamente sottovalutato quello dei Misseri, seppellito dalle voci del paese. Valentina Misseri, sorella di Sabrina, nel libro di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanini dice: «Ero una ragazzina, mi ero sviluppata da poco, eravamo in Germania. Dovevo fare la doccia e mi spogliai davanti a mio padre, come avevo fatto migliaia di volte prima. Ricordo come mi studiò. Avvertii i suoi occhi sulla mia pelle e mi vergognai. C’era qualcosa di strano e di inquietante, in quello sguardo. Con una voce dura mi disse: “Non ti devi far più vedere così da me”. Quella fu l’ultima volta che accadde».

Valentina, che dice di essersi salvata dal carcere perché quel giorno non era ad Avetrana, dopo anni rompe il silenzio riservato alla stampa e parla con L’Espresso, chiedendomi di fare attenzione alle sue parole, di averne anche cura perché in tutta questa storia loro sono stati lacerati dalla stampa, dalla morbosità: «In questi anni è stato detto di tutto e di più sulla mia famiglia. Se io quel giorno non fossi stata a Roma, ma a casa mia ad Avetrana, probabilmente anche io adesso sarei in carcere. La triste morte di mia cugina è stata strumentalizzata brutalmente: hanno solo pensato all’audience televisiva, a vendere copie di giornale e a cercare lo scoop. Abbiamo conosciuto la parte brutta dei mass media. È completamente mancato il rispetto, quasi noi non fossimo persone. Ci hanno offeso, ci hanno strumentalizzato, ci hanno tolto la dignità. Hanno detto di tutto, anche cose non vere, pur di avere il consenso dell’opinione pubblica», continua Valentina, che aveva fatto il suo verdetto molto prima dei giudici. «Ed è così che mia madre e mia sorella, innocenti come si professano da sempre, sono state condannate all’ergastolo. Abbiamo conosciuto giornalisti che erano dalla nostra parte fino a che li abbiamo fatti entrare in casa e raccontato loro i nostri più intimi segreti; ma appena abbiamo deciso di perseguire il silenzio, appena abbiamo scelto di non far entrare nessuno, sono diventati colpevolisti e ci hanno perfino confidato che non potevano parlare male del tribunale perché le informazioni arrivavano da lì».

Ad un certo punto la sua voce si fa velata di rabbia: «Non sopporto che mio padre sia diventato Zio Michele: lui è Michele Misseri, non è lo zio di nessuno. Oggi, a distanza di dieci anni, io so solo che ho un padre colpevole pronto a uscire dal carcere, e mia madre e mia sorella che sono innocenti e moriranno dietro le sbarre se la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non si accorge di quello che è accaduto a Taranto».

Un caso che ha scosso profondamente anche l’avvocato di Sabrina e Cosima Misseri, Franco Coppi: «Non so darmi pace - dice – di come queste due donne possano essere state valutate colpevoli dalla Cassazione che, precedentemente, aveva annullato i provvedimenti cautelari per mancanza di indizi di colpevolezza. È stato un processo mediatico: non ha tenuto conto della vita quotidiana di Sarah, dell’affetto per la cugina che ne era custode e amica. Faccio appello al fioraio di Avetrana, Giovanni Buccoleri, affinché riveda, come ha già in parte fatto, la sua testimonianza. Gli chiedo di uscire dal tunnel della paura, perché Sarah merita una giustizia piena e vera».

Non solo lessico giuridico: per Coppi, decano dei penalisti italiani, c’è anche un elemento personale: «Vorrei, prima della mia dipartita, dimostrare l’innocenza di queste due donne. Per settimane non ho dormito dopo la loro condanna».La stessa angoscia che viene dopo aver lasciato il paese, la provincia crudele che parla e dimentica il volto di Sarah, che sarà per sempre la ragazza di Avetrana.

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