«In questo modo si sottrae terreno al traffico internazionale e potremmo concentrarci sul livello alto delle organizzazioni criminali». Parla il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho

Federico Cafiero De Raho, 68 anni, Procuratore Nazionale Antimafia dal 2017, si muove da figlio di un tempo dove si diventava un modello per gli altri non nella convegnistica ma sul campo. Collegialità, equilibrio e memoria i postulati della modalità operativa e di elaborazione, forse anche per questo per superare gli strascichi di un anno orribile per la magistratura attraversata dal caso Palamara, De Raho auspica all’inizio di questo dialogo una «riforma necessaria del Csm, in grado di garantire l’imparzialità, dove le correnti sino laboratori di idee e non strumenti per un conflitto. Anche per questo servono regole chiare per le nomine dei dirigenti, valorizzando l’attività giudiziaria svolta, la professionalità e l’imparzialità del magistrato, che è specularmente manifestata dalla indipendenza dalla politica come da qualunque altro centro di potere».

Da investigatore di lungo corso è affezionato alla riservatezza, valore spesso tralasciato e per questo «la riforma sulla giustizia deve, anche, poter garantire il valore costituzionale della presunzione di non colpevolezza e, al tempo stesso, l’obbligo della riservatezza delle iniziative giudiziarie, fino a sentenza definitiva. Una garanzia anche per evitare condizionamenti esterni».

Dottor De Raho, riavvolgiamo il nastro, è passato molto tempo dal suo ingresso in magistratura, come ha visto mutare il sistema investigativo e la lotta a mafie e terrorismo?
«Presi servizio a Milano con le funzioni di sostituto procuratore nel settembre 1979: il giudice Emilio Alessandrini era stato ucciso da Prima Linea a gennaio di quell’anno, scelsi quella sede anche nella convinzione di dire chiaramente che la magistratura non accetta intimidazioni. Era stato ucciso perché la sua azione spaventava, per il grande apporto investigativo contro il terrorismo rosso e per aver compreso che lo Stato vince solo se agisce applicando i principi dello Stato di diritto e osservando i valori della nostra Costituzione. A Milano ho avuto subito consapevolezza che la lotta al crimine organizzato e al terrorismo avrebbe potuto compiersi sviluppando un modello investigativo condiviso dalle procure, fondato sull’assoluto rispetto delle regole; ieri come oggi il crimine si contrasta con la “squadra Stato”, dalle forze dell’ordine alla magistratura: è una lezione che si rinnova. La coesione crea vittorie e avanzamenti».

Simbolica e importante appare la capacità di generare dal dolore e dalla lotta alle mafie nuovi modelli operativi.
«Nella mia carriera mi sono occupato di camorra e di ’ndrangheta, affrontando anche i collegamenti di queste organizzazioni con Cosa nostra: le indagini sui Nuvoletta, sui Bardellino, sul clan dei casalesi, sulla strage di Casapesenna, come sull’omicidio di Francesco Imposimato, il fratello del giudice, ucciso per ordine di Pippo Calò, oltre che sulla partecipazione della ’ndrangheta all’attacco allo Stato con le stragi continentali. Le indagini sulle organizzazioni mafiose hanno prodotto un’esperienza che ha portato la magistratura ad impegnarsi al meglio, individuando il modello che Giovanni Falcone, da Direttore generale degli Affari Penali, ha poi tradotto in quel circuito giudiziario antimafia giunto attualmente ad un altissimo livello di specializzazione, con le 26 Procure distrettuali e la Procura Nazionale che dirigo».

Attualmente qual è la proiezione delle organizzazioni criminali?
«È quella delle grandi attività che possono dirsi più redditizie. Fra tutte - estorsione, usura, contrabbando - è il traffico di droga che moltiplica per tre ad ogni passaggio il valore della merce: è fonte di una ricchezza straordinaria, e quando questa si traduce in danaro contante si comprende l’esigenza di reinvestire nell’economia legale. Le organizzazioni criminali reinvestono in società di capitali. Non utilizzano più violenza e intimidazione per infiltrarsi, ma lo strumento della convenienza, mediante l’offerta di servizi illegali. Le false fatturazioni, ad esempio, costituiscono il mezzo per avvicinare e, quindi, aggregare imprese “sane” che, in momenti di difficoltà come questo che viviamo, possono trovare opportuno l’utilizzo di falsa documentazione».

Le mafie come stanno sfruttando questa pandemia?

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«La crisi offre nuove opportunità ai gruppi criminali, i settori sono quelli in cui le mafie si sono specializzate sull’onda delle emergenze, come le multiservizi (mense, pulizie, disinfezione), intermediazione della manodopera, filiera del ciclo dei rifiuti, imprese di costruzione; ma anche in quelli che appaiono particolarmente lucrosi, come il commercio di mascherine, oltre che il turismo (bar, ristoranti, alberghi). Le mafie devono collocare liquidità e la loro necessità è acquisire la gestione dei soggetti economici già esistenti, tramite meccanismi di controllo informale, non registrati in studi notarili o camere di commercio. Difendiamo l’economia legale anche col disvelamento dei modi coi quali i gruppi criminali si appropriano delle imprese tramite il versamento di denaro contante, coperto nei modi più disparati come false fatturazioni o prestito a breve termine. Questo consente alle mafie di entrare con i propri capitali assicurandosi il controllo successivo della gestione con i tradizionali mezzi mafiosi, per recuperare il prestito aumentato dall’interesse usurario».

Nel contrasto all’usura in questa fase c’è collaborazione tra soggetti investigativi e mondo della finanza?
«Sarebbe necessaria una maggiore collaborazione dei mondi imprenditoriali, del commercio e della finanza anche nel segnalare al circuito giudiziario antimafia i soggetti a rischio usura. Ci sarebbe bisogno di una cooperazione internazionale più larga, perché l’attenzione che mettiamo in Italia all’analisi dei flussi economici non è presente in eguale misura negli altri paesi, soprattutto alcuni, ove non ci si domanda troppo da dove proviene il denaro. Nel panorama globale la disarmonia dei sistemi è fonte di gravissime anomalie e favorisce la criminalità. È sempre più necessario occuparsi dei paradisi normativi, e non solo dei paradisi fiscali».

Ciclicamente torna invece di attualità il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere che però sembra sempre a un punto morto.
«Credo che sia opportuno, come ho ribadito in commissione Giustizia alla Camera, cambiare la legge sulle droghe perché è vetusta. La legalizzazione delle droghe leggere, con altri interventi, potrebbe sottrarre terreno al traffico internazionale, e avrebbe il vantaggio di far concentrare la fase investigativa sul livello alto delle organizzazioni criminali e sulla filiera economica che ne deriva».

Tra i fenomeni che emergono dalle relazioni della Direzione investigativa antimafia si nota una recrudescenza del gioco illegale, un problema che sembrava accantonato.
«È necessario incrementare il gioco legale per sottrarre risorse alla criminalità organizzata e monitorare in modo puntuale tutta la filiera. Molteplici inchieste hanno dimostrato quanto il gioco illegale sia un indotto gestito dalle mafie e dalla ’ndrangheta; per questo occorre rafforzare la rete di controllo anche online per riuscire a determinare una rete di monitoraggio coordinata».

Le mafie sono entrate anche nel mercato dei dispositivi di protezione contro il Covid-19 e dei vaccini. Come state agendo su questo versante?
«Ad oggi sono oltre trenta le situazioni sospette intercettate, con società che addirittura sono state costituite all’estero, che commerciano in dispositivi di protezione, riconducibili a organizzazioni mafiose e ’ndraghetiste, grazie al tavolo tecnico della Dia composto da Uif, Agenzia delle Dogane e Nucleo speciale di polizia valutario che ha monitorato transazioni anomale. C’è poi un altro tavolo con i Ros dei Carabinieri, Sco della Polizia di Stato, Scico della Guardia di finanza in cui si monitorano i settori economici per individuare i settori più esposti al rischio di infiltrazione mafiosa, ’ndranghetista e camorrista».

Sul versante del terrorismo di matrice islamista che momento viviamo?
«In Italia non è stato commesso alcun attentato di matrice islamista non perché siamo fortunati, ma perché viene svolta un’attività di monitoraggio straordinaria e costante, che tocca vari livelli di prevenzione dal monitoraggio delle moschee alle carceri e ai flussi di denaro».

E su quello interno?
«Le minacce dell’eversione dell’estrema destra e dell’anarchismo insurrezionalista sono le urgenze. I primi minano la convivenza civile e i secondi fanno leva sul malcontento popolare per la crisi economica determinata dalla pandemia e il disagio rischia di divenire il serbatoio della criminalità».

Per quest’anno appena iniziato quali sono i terreni di sfida secondo lei più urgenti che questa pandemia ha generato?
«Assieme al contrasto delle infiltrazioni mafiose nell’economia, è la scuola il fronte più urgente. Non mi riferisco alle lezioni in presenza o a distanza, ma ai contenuti. Ritengo che i giovani debbano essere formati ad una società democratica e solidale, capace di svilupparsi rispettando la dignità di tutti secondo i valori della Costituzione. La pandemia sta lasciando indietro i ragazzi e le loro famiglie: stanno perdendo, di pari passo, potere di acquisto ed educativo. Se non si torna alla centralità educativa prevista dalla Carta, il rischio di regalare le giovani generazioni alle mafie è altissimo e questo dobbiamo impedirlo».