Elaborata da tre consiglieri, tutti uomini, del partito di Giorgia Meloni. Dopo gli attacchi al farmaco abortivo, la regione prova di nuovo a ostacolare l'interruzione volontaria di gravidanza. Scatenando reazioni di associazioni e politici

Lo scandalo del cimitero dei feti, a Roma, non ci ha insegnato nulla. Dopo un anno si ripete la stessa storia, questa volta in Abruzzo, con una proposta di legge che prevede la sepoltura dei feti di età gestionale inferiore alle 28 settimane in una specifica area cimiteriale, a prescindere dalla volontà dei genitori. Di fatto, la tumulazione in un cimitero cattolico diventerebbe una scelta obbligata a prescindere dalla fede della donna. La proposta è stata elaborata da tre consiglieri, tutti uomini, appartenenti al partito di Fratelli d'Italia, Mario Quaglieri, Guerino Testa e Umberto D’Annuntiis.

 

«Intendiamo colmare una rilevante lacuna normativa di questa Regione, affinché venga affermato il diritto ad una degna sepoltura a tutte quelle creature che non sono riuscite a venire al mondo, identificandole come vita», hanno spiegato. Lo scopo è quello di intervenire sul regolamento di polizia mortuaria del 1990. Che, qualora il feto abbia un'età compresa tra le 20 e le 28 settimane di gestazione, prevede sia l'Asl a occuparsi di seppellirlo. Nel caso di presunta età inferiore alle 20 settimane, invece, la tumulazione è facoltativa e la richiesta deve essere compilata dai genitori entro 24 ore dall'espulsione del feto. Proprio su questo punto vogliono intervenire i consiglieri, evitando che i prodotti del concepimento vengano smaltiti come rifiuti. «Riteniamo che il provvedimento abbia un valore umano e simbolico incommensurabile», hanno detto.

 

La proposta prevede dunque che la richiesta di sepoltura possa essere fatta anche da parenti fino al secondo grado (fratelli e nonni). Secondo Quaglieri, Testa e D'Annuntiis, un'altra delle finalità del provvedimento è tutelare «quelle donne che abbiano già subito un importante trauma con la perdita del proprio figlio, impedendo che ne patiscano un altro con la scoperta, spesso tardiva, che il feto verrà smaltito tra i rifiuti speciali».

 

La reazione di associazioni e collettivi femministi è stata immediata. «Questa proposta arriva sulla scia di quanto già accaduto in Lombardia prima e in Veneto poi ed è chiaro come tale scelta politica rientri all’interno di un più grande disegno integralista cattolico delle destre, strettamente connesse ai movimenti no-choice», denuncia il collettivo abruzzese Fuori Genere. Anche l'associazione Laiga 194 si è mobilitata: «Manteniamo alta l'attenzione sull'Abruzzo in vista della ripresa dell'iter della proposta di legge», ha scritto. Non sono mancate critiche neanche dalla politica. «Si preferisce puntare il dito contro le donne piuttosto che aiutarle e sostenerle nei momenti di estrema fragilità. Eppure ci sarebbero una marea di iniziative che il centrodestra potrebbe prendere per una seria difesa dei diritti civili e per promuovere la parità di genere. Invece, puntualmente, scelgono di guardare in direzione opposta», sostiene la consigliera regionale del Movimento 5 stelle Sara Marcozzi. Mentre il Dipartimento politiche di genere dei Giovani Democratici d'Abruzzo parla di «ignobile e vile attacco al diritto di autodeterminazione della donna». Una posizione simile a quella di Maria Franca D'Agostino, presidente della Commissione pari opportunità della regione, che ha bocciato il testo considerandolo incostituzionale e illegittimo: «Il progresso e l'evoluzione del contesto normativo devono introdurre tutele, ma soprattutto rispetto dell'individuo nella sua interezza, sia nel corpo che nello spirito. Ogni donna che si trovi di fronte all'esperienza traumatica dell'aborto deve essere tutelata nella sua integrità».

 

L'Abruzzo non è nuovo a simili scelte. Pochi mesi fa il presidente Marco Marsilio (FdI) aveva inviato una circolare a tutte le Asl territoriali scagliandosi contro la somministrazione della pillola abortiva Ru486 e raccomandandosi di non effettuare l'interruzione di gravidanza nei consultori. Rifiutandosi dunque di seguire le linee guida ministeriali, secondo cui il farmaco abortivo può essere utilizzato per interrompere la gravidanza fino alla nona settimana e senza necessità di ricovero. L’aborto farmacologico, tra l'altro, è una procedura medica approvata dal Consiglio Superiore di Sanità e dall'Agenzia Italiana del Farmaco, nonostante ciclicamente alcune Regioni provino a ostacolarlo. E sempre in Abruzzo, a marzo 2020 e in piena pandemia, era stata approvata una mozione che prevedeva di piantare un albero per ogni interruzione di gravidanza volontaria o spontanea.

 

Ancora una volta, l'autodeterminazione delle donne è sotto attacco. Pretendendo di scegliere al posto loro, cercando di sbarrare loro l'accesso all'aborto, muovendo da presupposto – universalizzato – che chi scelga di interrompere una gravidanza viva male la decisione (basta seguire il collettivo “Ivg, ho abortito e sto benissimo” per ricredersi). E allora, ancora una volta, vale la pena ricordarlo: «My body, my choice».