Covax garantisce l’accesso vaccinale ai Paesi più svantaggiati. Ma anche con scorte sufficienti, le difficoltà endemiche del Paese non favoriscono la copertura di massa. E lasciano spazio a nuove varianti

«Se avessimo usato i vaccini prodotti finora in modo razionale ed equo, non avremmo visto così tanti morti da due anni a questa parte. Non è troppo tardi per agire, ma abbiamo bisogno che tutte le persone vulnerabili e ad alto rischio siano protette». Non fa giri di parole Soumya Swaminathan, chief scientist dell’Organizzazione mondiale della sanità, unendosi al coro di scienziati, esperti e attivisti convinti che alla base di nuove varianti e mutazioni ci siano le disuguaglianze nell’accesso alla campagna vaccinale.

Così, mentre i Paesi ricchi intensificano i loro programmi di richiamo - la Gran Bretagna ha deciso di offrire alla popolazione la terza dose a soli tre mesi di distanza dall’ultima iniezione e la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen discute di obbligo vaccinale - in quelli più svantaggiati le persone aspettano ancora di ricevere la prima dose. Come accade in Sudafrica, flagellato dall’aumento di casi delle ultime settimane e luogo in cui per la prima volta è stata identificata la variante Omicron. E dove meno di un terzo della popolazione ha avuto accesso almeno alla prima dose, un dato basso ma comunque superiore alla media africana. Che, secondo l’Oms, si aggira attorno al 5 per cento per quanto riguarda la copertura totale.

Proprio per provare ad arginare le disuguaglianze e garantire ai Paesi più svantaggiati l’accesso al vaccino, l’anno scorso è stata creata Covax. Un’iniziativa globale di cui fanno parte - tra gli altri - l’Oms, l’Unicef e Gavi (una partnership pubblico-privata interessata a diffondere nelle zone più povere i programmi di immunizzazione). Nata con l’obiettivo di «rendere disponibili due miliardi di dosi di vaccini contro il Covid-19 entro la fine del 2021, comprese almeno 1,3 miliardi di dosi per le economie a basso reddito». A oggi, però, Covax è riuscita a erogare solo 582 milioni di dosi. Un’obiettivo raggiunto tra numerose difficoltà legate alla mancanza di trasparenza da parte delle case farmaceutiche, problemi di produzione e assalto alle scorte da parte dei Paesi ricchi. Che in alcuni casi si sono accaparrati più vaccini di quanti servissero davvero.

 

Le difficoltà di produzione e approvvigionamento hanno spinto Covax, African Vaccine Acquisition Trust e Africa Centres for Disease Control and Prevention (due organizzazioni impegnate ad assicurare equo accesso al vaccino) a diffondere un comunicato congiunto. In cui si legge un invito disperato alla solidarietà e all’organizzazione: «La maggior parte delle donazioni fatte fino a oggi sono state fornite con scarso preavviso e con prodotti a breve scadenza, rendendo estremamente difficile pianificare le campagne di immunizzazione. Per ottenere tassi di copertura più elevati in tutto il continente e garantire che le donazioni siano una fonte di approvvigionamento sostenibile, questa tendenza deve cambiare».

Ne è convinta anche Rossella Miccio, presidente di Emergency e in prima linea nel chiedere venga garantito un accesso equo ai vaccini contro il Covid-19. «Oltre alle difficoltà logistiche di consegna e conservazione, in Africa è difficile raggiungere alcune zone più remote. In certi casi, poi, non è scontato le persone riescano a pagare il trasporto per arrivare al centro vaccinale». Come in altri posti, spiega poi, bisogna vincere l’ostilità e la diffidenza, spesso originata dalla sensazione che all’Africa arrivino prodotti di serie B, meno sicuri. «Come quando ero in Uganda e mentre da noi si sospendeva la somministrazione di AstraZeneca ai giovani, si chiedeva agli africani, una popolazione in prevalenza composta da ragazzi, di vaccinarsi con quel farmaco».

 

Non è la prima volta che una nuova variante spaventa il mondo, chiude i confini, blocca dentro casa i cittadini. Lo aveva già fatto la Delta, riscontrata per la prima volta in India, mettendo la parte più fortunata del mondo davanti al problema che Miccio sintetizza laconica: «Vaccinare in modo inclusivo è l’unico modo per uscirne davvero tutti». Lo stop ai collegamenti aerei della settimana scorsa nonostante l’invito dell’Oms a lasciare aperte le frontiere ha mostrato, per ora, che la lezione non è ancora stata imparata.

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