La morte per assideramento di un uomo di 31 anni e le ricerche di una bambina di 10 anni caduta nell’acqua sono gli ultimi drammi consumati sulla frontiera tra la Slovenia e la Croazia, distante circa 30 chilometri da Trieste

Purtroppo non è stata una storia a lieto fine, ma soltanto l’inizio di quella che si preannuncia essere l’ennesima tragedia di migranti. Nei pressi del confine di Dragonja/Dragogna tra la Slovenia e la Croazia, distante una trentina di chilometri da Trieste, la polizia è intervenuta giovedì sera (9 dicembre) per salvare una donna turca di 47 anni, rimasta intrappolata in mezzo al gelido fiume Dragonja che la migrante stava cercando di attraversare per poter entrare in Slovenia. La donna, che è riuscita ad aggrapparsi a un albero, è stata tratta in salvo grazie al lavoro congiunto dei poliziotti sloveni e croati in un intervento ad altissimo rischio vista la pericolosità del fiume, la cui corrente in quel punto è molto forte.

 

Dopo aver trasportato la donna a riva, l’amara scoperta. Assieme a lei c’era anche la figlia di 10 anni, trasportata dalla 47enne sulle proprie spalle e caduta nel fiume che la ha trascinata chissà dove. Le ricerche della bambina sono scattate immediatamente, grazie anche al supporto delle unità cinofile e di 20 vigili del fuoco, ma per ora non hanno dato nessun risultato, il che lascia presagire il peggio. Salvi invece gli altri tre figli della donna. Due di loro, un ragazzo di 18 e uno di 5 anni, sono riusciti a guadare il fiume prima della madre e raggiungere la Slovenia, mentre il terzo, di 13 anni, è rimasto dalla parte croata del confine.

 

Il fatto di cronaca di giovedì è solo uno dei drammi che si sono consumati su un confine, quello di Dragonja/Dragogna, che separa la Slovenia e la Croazia e quindi l’area Schengen dallo spazio non Schengen, ed è per questo una delle tappe fondamentali della rotta balcanica, affrontata ogni giorno da migranti provenienti prevalentemente dall’Afghanistan, dal Pakistan e dal Bangladesh con un obiettivo fisso in testa: entrare in Unione Europea.

 

La scorsa settimana, a ridosso dei valichi di Dragonja/Dragogna e Sečovlje/Sicciole, è stato rinvenuto il corpo di un uomo di 31 anni, originario del Bangladesh, morto assiderato dopo la traversata del già citato fiume Dragonja - lungo il quale da ormai sei anni corre il filo spinato - durante le giornate in cui la colonnina di mercurio è scesa sotto i 0°C. Se rimaniamo in questa zona, risale invece al primo gennaio 2020 la precedente morte accertata di un migrante, un 29enne di nazionalità algerina, deceduto a causa di una caduta in in un precipizio in località Socerb/San Servolo mentre stava tentando di attraversare il confine italo-sloveno nella speranza di raggiungere Trieste.

 

Seppur i riflettori ultimamente si siano un po’ spenti su questa parte dell’Europa, i flussi migratori della rotta balcanica non si sono mai fermati. La polizia slovena da un lato nei propri report sottolinea un calo di ingressi irregolari rilevati ai propri confini nazionali: nei primi 10 mesi del 2021 nel Paese - che confina oltre che con l’Italia e la Croazia anche con l’Ungheria e l’Austria - sono stati fermati 8144 migranti irregolari, ovvero il 39% in meno rispetto al periodo gennaio-ottobre del 2020, quando furono identificate 13.291 persone.

 

Dall’altro lato va rilevato come il calo sia stato registrato in tutta la Slovenia, eccezion fatta per il territorio pattugliato dalla polizia di Capodistria, a ridosso dunque dell’Italia. A Capodistria hanno infatti fermato quest’anno 3936 migranti irregolari (quasi la metà di tutte le operazioni sul confine sloveno), una differenza marginale rispetto alle 4242 persone identificate nei primi 10 mesi del 2020. Il trend costante viene confermato anche dai numeri comunicati nei giorni scorsi dalla polizia di Capodistria, che ultimamente ferma una trentina di migranti al giorno. Un numero che naturalmente non tiene conto di chi riesce a farcela e a continuare quindi la propria strada verso gli altri Paesi europei, tra i quali c’è naturalmente anche la vicinissima Italia, come testimoniato dai numerosi passeur che operano a ridosso del confine lucrando sul destino delle persone.