Assolti due naufraghi accusati tre anni fa di resistenza a pubblico ufficiale per aver protestato contro il ritorno nei campi libici. Salvini li accusò di “aver dirottato” il rimorchiatore Vos Thalassa che li aveva soccorsi

L’allora ministro Matteo Salvini li aveva accusati a favore di telecamera di "aver dirottato” il rimorchiatore Vos Thalassa che li aveva soccorsi. Due naufraghi che si erano opposti al ritorno nei campi libici vennero accusati poi di resistenza a pubblico ufficiale. Ne nacque un processo con la procura che sostenne l’accusa. In appello vennero condannati.

 

Ma adesso la Corte di Cassazione ha riformato la sentenza con cui la Corte d’appello di Palermo li aveva condannati per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

 

I due naufraghi soccorsi dal rimorchiatore Vos Thalassa si erano opposti al rimpatrio in Libia a bordo dello stesso mezzo. Il giudice per le indagini preliminari di Trapani aveva ritenuto la condotta legittima difesa “poiché i due giovani, fuggiti dall’inferno libico, avevano agito al fine di salvare sé e gli altri naufraghi dal rischio di patire nuove, gravissime lesioni dei diritti alla vita, alla integrità fisica e sessuale, a tutela della loro prerogativa di essere portati in un place of safety e di ottenere protezione internazionale”.

 

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La Corte d’appello di Palermo, il 3 giugno del 2020, aveva riformato la sentenza di assoluzione e condannato i due giovani alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e 52.000 euro di multa ritenendo l’approccio del giudice di primo grado “ideologico” sul rilievo che “tali problematiche devono trovare adeguata soluzione nell’unica sede a ciò deputata, ossia quella politica del confronto interstatuale”.

 

La Suprema Corte ha invece ribadito che il rispetto dei diritti umani è un tema sottratto alle autorità statali, che trova fondamento nelle norme di diritto internazionale a tutela della vita e della integrità della persona affermando che “è scriminata la condotta di resistenza a pubblico ufficiale da parte del migrante che, soccorso in alto mare e facendo vale il diritto al non respingimento, si opponga alla riconsegna allo Stato libico”.

 

«Esprimiamo grande soddisfazione per questa importante pronuncia che, in linea con l’orientamento già espresso nella vicenda della comandante Rackete e, prima ancora, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri del 23 febbraio 2012, ribadisce, una volta di più, che le operazioni di soccorso in mare che si concludano con il rimpatrio dei naufraghi in Libia costituiscono una violazione di principio del non refoulement e violano il diritto delle persone soccorse ad essere portate in un posto sicuro dove la loro vita non sia più minacciata e sia garantito il rispetto dei loro diritti fondamentali», dicono gli avvocati che hanno seguito i migranti, Fabio Lanfranca e Serena Romano.