Dopo l'ok di Fda, ente regolatore statunitense, ed Ema, l'agenzia europea per i medicinali, sarà possibile vaccinare con Pfizer i bambini tra i cinque e gli 11 anni. La decisione è stata approvata anche dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e, secondo la dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, le dosi «saranno disponibili a partire dal 13 dicembre».
«I dati – scrive la Commissione tecnico scientifica di Aifa in un comunicato – dimostrano un elevato livello di efficacia e non si evidenziano al momento segnali di allerta in termini di sicurezza». Ai piccoli verrà somministrata una dose ridotta, un terzo del dosaggio autorizzato per adolescenti e adulti, e con una formulazione specifica. Mentre per il richiamo dovranno attendere 21 giorni.
Secondo il rapporto dell'Istituto superiore di sanità, nella fascia di età 6-11 anni dall'inizio della pandemia i casi sono stati oltre 251 mila, con 36 ricoveri in terapia intensiva e nove decessi. Numeri minori rispetto alla media generale, ma comunque allarmanti. Soprattutto se confrontati con un aspetto laterale e subdolo della pandemia, che ha colpito soprattutto bambini e adolescenti: le conseguenze psicologiche del Covid-19.
«Con i disturbi mentali i più giovani convivevano anche prima della pandemia» spiega Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza presso l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Tanto che, in base alle stime diffuse dall'Unicef, una persona tra i dieci e i 19 anni su sette convive con un disturbo psichico diagnosticato (ansia, depressione o difficoltà comportamentali). Ancora più inquietante il numero di giovani che, ogni anno, si toglie la vita: circa 46 mila. Un dramma annunciato a cui sono poco sensibili i governi. Che, denuncia l'Unicef nel suo documento, «destinano alla salute mentale meno del 2 per cento del bilancio sanitario». Per queste cifre e per invertire la rotta, allora, il vaccino è lo strumento che consente ai piccoli di ricostruite il tessuto sfilacciato della loro socialità.
In che modo la pandemia ha acuito i disturbi mentali?
«Facendo precipitare le situazioni a limite. Perché il virus porta con sé una condizione di stress continuato, legata alla paura di ammalarsi o di far ammalare i propri cari. Gli studi ci parlano di un aumento sensibile di disturbi del sonno, della concentrazione, stati di ansia e depressione. Ad acuire il problema hanno contribuito alcuni fattori: vivere in una casa molto piccola situata in una grande città, aver interrotto la didattica in presenza, l'assenza del coinvolgimento della famiglia nelle attività ludiche. E poi l'aver passato molto tempo con telefonini e videogiochi, che in alcuni casi hanno “disregolato” molti ragazzi».
Più che strumento per tutelare la salute pubblica, allora, il vaccino ai bambini può essere considerato il mezzo per proteggerne il benessere psicofisico?
«Sì, perché un bambino o un adolescente che si ammala di Covid-19 non può andare a scuola. È costretto a isolarsi, seguire le lezioni a distanza, ripetere quanto accaduto con il lockdown. E allora, il mio appello è: vaccinateli. Così da non fargli correre il rischio di perdere ancora giorni di scuola, che non sono solo nozioni ma la qualità delle relazioni e dei rapporti con i compagni. In questo senso, la scelta del primo ministro Mario Draghi di non far scattare la Dad nel caso di un solo positivo è stata utile a difendere la salute mentale dei più piccoli».
Crede che considerare il vaccino un atto per garantire ai bambini la ripresa della socialità possa convincere anche i genitori più scettici?
«Me lo auguro, ma temo che chi dubita di tutto continui a farlo. C'è una tendenza diffusa a non fidarsi della Scienza su cui forse dovremmo riflettere. E lo dico mettendomi in gioco, forse noi studiosi abbiamo comunicato male. O forse regna ormai la convinzione di saperne di più dell'esperto. I genitori dovrebbero porsi il problema del virus anche per i loro bambini. Che sono esposti, seppure nella maggior parte dei casi con rischi minori rispetto a quelli degli adulti. Da neuropsichiatra dico che l'isolamento, la quarantena, l'obbligo di rimanere a casa in caso di positività possono avere un effetto negativo, di cui i bambini e gli adolescenti hanno già fatto le spese. E allora, a fronte dei vantaggi alti e dei rischi bassi, il vaccino nella fascia di persone tra cinque e 11 anni depone a favore del loro benessere psicofisico».
E come normalizzare l'atto della puntura, come rassicurare il bambino?
«Dicendo la verità e avendo cura di farlo con parole comprensibili. È importante fargli capire che darà sì un piccolo dolore, ma porterà anche un grande vantaggio. Come fosse un'armatura di quelle che i cavalieri indossavano nell'antichità. A loro il compito di sopportarne il peso, ai piccoli quello di sottoporsi a una piccola iniezione che possa regalargli l'invulnerabilità».
I disturbi mentali sono per i giovani compagni di vita sempre più frequenti. Ci sono dei segnali che i genitori possono cogliere per intervenire in tempo?
«Tutti i cambiamenti bruschi che però si protraggono nel tempo. I genitori devono essere attenti, guardare, osservare. Ci possono essere modifiche nell'alimentazione, nel sonno. Bambini e adolescenti potrebbero iniziare a mangiare svogliatamente, dormire poco e male, andare a letto troppo tardi o svegliarsi troppo presto. E potrebbero non provare più piacere nel fare cose che prima amavano: uscire, incontrare gli amici. Non è detto queste spie si verifichino tutte, possono presentarsene solo alcune. Ma se qualcosa li insospettisce, i genitori non devono aver paura di cercare aiuto da uno specialista».