Ogni settimana un lemma commentato da una grande firma

Ma dove vai, se la piattaforma non ce l’hai? La contemporaneità è diventata, in maniera inconfondibile, l’età delle piattaformizzazione. E la società delle piattaforme orientate dagli algoritmi sta assumendo l’egemonia su quella delle reti (di cui è uno spin-off).


La marcia trionfale delle piattaforme prosegue irresistibile, e ambivalente, conducendoci verso un’iper-ipermoderna Platformlandia (con rischi, paradossalmente, non così diversi da quelli della “piatta” Flatlandia). Le piattaforme spuntano come funghi (o come app...) da ogni parte, ai quattro angoli delle questioni che stanno ridefinendo la fisionomia del Villaggio globale, come nelle cronache della nostra quotidianità.


C’è la piattaforma Rousseau che, da deposito e scrigno della «volontà generale del popolo», è stata declassata a sito informatico di un fornitore di servizi (con annessa battaglia finale dentro il M5S). Ci sono le piattaforme digitali di Big Tech e quelle produttive di Big Pharma, fondamentali nella pandemia, ma che rendono impellente – nell’affanno permanente delle classi politiche rispetto a metamorfosi sempre più repentine – il problema della regolazione di ciò che si è fatto strapotere pressoché totale di alcuni soggetti privati. Ci sono quelle logistiche, così indispensabili per la distribuzione dei vaccini da avere indotto il governo Draghi a nominare nuovo commissario all’emergenza Covid il gen. Figliuolo, già comandante logistico dell’Esercito. Ci sono quelle mediali, con il nodo – delicatissimo per la democrazia rappresentativa – delle trasfigurazioni di una parte dei flussi delle informazioni che arrivano all’opinione pubblica (un tema che in Italia trova una scuola sociologica di studiosi molto attenti come Boccia Artieri, Marinelli, Sorice). E ci sono o, per meglio dire, non ci sono (malauguratamente) quelle valoriali di tanti settori della politica che palesa così i suoi fallimenti, rendendo inevitabile, ancora una volta, l’intervento della «tecnica».

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