La doppia débâcle della Cdu nel Baden Wuerttemberg e in Renania Palatinato apre le porte a una coalizione semaforo tra ambientalisti, socialdemocratici e liberali. Al voto federale di settembre Annalena Baerbock in pole per la cancelleria

Ora la paura si tocca con mano, tra gli eredi di Adenauer, il cancelliere che ricostruì la Germania dalle macerie della guerra. Una paura segnata dal marchio di fuoco del lungo addio di Angela Merkel: per la prima volta da molti anni, la sensazione è che la Cdu, la mamma di tutti i partiti tedeschi, sia disorientata. La doppia débâcle elettorale nel Baden Wuerttemberg e in Renania Palatinato (dove ha messo a segno i peggiori risultati della sua storia) ha aperto scenari impensabili fino a poco tempo fa, e questo a soli sei mesi dalle elezioni federali, le prime senza la cancelliera venuta dall’est, con un Paese psichicamente e materialmente stremato dalla pandemia. 

 

“Non è un dono di Dio che il prossimo cancelliere sia un cristiano-democratico”, ha ammesso, livido (e nervoso), Armin Laschet, il leader del partito che fu di Adenauer e di Kohl. Incalza, sulfureo (e interessato), Markus Soeder, governatore bavarese e leader della Csu, i cugini cristiano-sociali bavaresi: “Teoricamente sono possibili maggioranze che vanno oltre l’Unione” tra Cdu e Csu.

 

Sull’altro fronte, appare pure eccessiva l’esultanza dei socialdemocratici, ai quali è riusciti un contro-sorpasso in Renania Palatinato, assicurando alla governatrice uscente Malu Dreyer una vittoria che fino a qualche settimana fa non era certo scontata. Dal ministro alle Finanze Olaf Scholz al capo organizzativo Lars Klingbeil fino ai due co-leader Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken, tutti esclamano che il voto nei due Laender ha consegnato alla Germania la prospettiva realistica di un governo nazionale senza la Cdu: “Io voglio essere cancelliere”, è la lapidaria dichiarazione rilasciata da Scholz a beneficio delle telecamere.

 

La cabala dei numeri è l’attività preferita in queste ore nei palazzi di potere berlinesi così come nei giornali: se finora l’opzione più credibile per il prossimo governo per come uscirà dalle elezioni federali del 26 settembre era quella di un’alleanza tra Cdu/Csu e Verdi (stando ai sondaggi, il partito ambientalista è ormai stabilmente seconda forza politica del Paese), adesso i sismografi del potere si sono bruscamente spostati verso l’opzione della coalizione "semaforo", ossia Verdi più socialdemocratici più i liberali dell’Fdp.

 

Troppo forte la tentazione di fare a meno del colosso cristiano-democratico e cristiano-sociale, dopo ben 16 anni di regno merkeliano. Vieppiù che il partito che appunto fu di Adenauer e di Kohl appare essere in stato confusionale: sotto accusa per una campagna di vaccinazione a passo di lumaca, ferito da un imbarazzante scandalo che coinvolge alcuni parlamentari accusati di avere lucrato sulla compravendita di mascherine anti-Covid e, oltretutto, privo di un credibile candidato cancelliere con le elezioni nazionali dietro l’angolo.

 

Per di più è vero che il voto di domenica ha smosso in profondità le acque solitamente placide della politica tedesca. Se n’è accorto sinanche il Wall Street Journal, secondo cui il responso delle urne in Baden Wuerttemberg e in Renania Palatinato (in passato roccaforti Cdu) “sono un segno che la più grande economia dell’eurozona potrebbe riemergere dalla staticità dell’era Merkel. Ma, date le sfide che la Germania e l’Europa devono affrontare sulla scia della pandemia, non è mai troppo presto”.

 

Non a caso quelli più allegri di tutti, dopo lo tsunami di domenica scorsa, sono i Verdi. Nel Baden Wuerttemberg hanno messo a segno, anche grazie alla popolarità del governatore Winfried Kretschmann (il primo verde a guidare un Land), un risultato definito dallo Spiegel “di proporzioni storiche”, pari al 32,9% dei consensi. Che si fa notare ancora di più se confrontato con la performance dei socialdemocratici, che in Renania hanno tenuto più che vinto (nel resto del Paese, stando ai sondaggi, non si schiodano dal 15-16%). Nei due Laender in cui si è votato è impossibile prescindere dai Verdi: a Stoccarda un’alleanza semaforo tra Verdi, Spd e Fdp potrebbe far sloggiare la Cdu dai banchi di governo, importando una coalizione già sperimentata a Magonza, dove la governatrice Dreyer sembra intenzionata a farla accreditare come laboratorio nazionale.

 

Certo, i sei mesi che ci separano dal voto nazionale sono un’eternità in politica, e, certo, bisognerà vedere cosa accadrà nel frattempo quando si rinnoverà il Landtag (inizio giugno) della Sassonia-Anhalt, laddove sono attesi i fuochi d’artificio all’election day del 26 settembre, quando si apriranno contemporaneamente le urne per le elezioni nazionali e quelle nei Laender di Berlino, Meclemburgo e Turingia.

 

E tuttavia è apparentemente ineluttabile che qualunque opzione di governo nazionale non possa prescindere dai Verdi guidati da Robert Habeck e Annalena Baerbock. Finora gli analisti si erano concentrati sulle (ampie) probabilità di una coalizione “nero-verde” (ossia Cdu/Csu più gli ambientalisti), ma con il blocco conservatore sempre più in difficoltà potrebbero essere alla fine i Gruenen a dare le carte, se avranno la possibilità di scegliere in favore di un’alleanza con i socialdemocratici e i liberali.

 

“Dopo queste elezioni sembra che i Verdi siano più vicini alla cancelleria”, commenta lo Spiegel. Questo mentre l’emittente Deutschlandfunk riferisce che nella corsa interna è Baerbock ad avere le maggiori chances su Habeck.

 

Donna, giovane, “smart” e progressista: se si ragiona sulla linea che va dalla neozelandese Jacinda Ardern alla finlandese Sanna Marin, certamente Annalena è più affine allo “Zeigeist” che non, per dire, il bavarese Markus Soeder. Il quale pure ambisce a prendere il posto di Merkel, tanto da non farsi mancare il fuoco amico nei confronti del povero Laschet: i risultati nei due Laender, ha sibilato il governatore di Monaco, sono “un colpo al cuore” e certo le elezioni nazionali non saranno vinte “viaggiando nei vagoni letto”.

 

Insomma, i Verdi stanno beati a guardare mentre tra gli attuali alleati della Grosse Koalition volano gli stracci: il nervosissimo Laschet – lui stesso possibile candidato alla cancelleria - se l’è presa con Scholz, dicendo che “in quanto responsabile alle Finanze si dovrebbe occupare del suo ministero” invece di alimentare “speranzucce di partito” e “creare insicurezza nella popolazione”. Come se non bastasse, oltre allo choc delle elezioni nei due Laender, c’è l’inesorabile calo della Cdu nei sondaggi, trionfanti solo pochi mesi fa, complice lo spegnersi del “bonus Merkel”.

 

Già, la cancelliera? Finora, come suo solito, ha osservato la regola del silenzio. La pandemia è tornata a correre, anche perché i governatori non hanno voluto darle retta e Angela si è dovuta piegare accettando riaperture di cui il Paese, contagi alla mano, ha cominciato a pentirsi. La sua popolarità – come certificato dagli istituti demoscopici – sta cominciando a flettere sotto il peso dei lockdown e di quel che i giornali definiscono “il disastro vaccinazioni”, ma è ancora piuttosto robusta. C’è sempre qualcuno, a Berlino, che continua a sussurrarti nell’orecchio: chissà che il “lungo addio merkeliano” non riservi ancora sorprese, nell’anno del grande disorientamento.