«È un ragazzo, non sa nulla. Non ha visto niente». Il padre e il cugino di Domenico Agresta, detto “Micu”, ne erano convinti. Loro, gli eredi della dinastia mafiosa di Platì arrivati in terra di Piemonte già negli anni Settanta, non avevano dubbi. Ma si sbagliavano. Perché le parole di quel giovane, che nel 2016 improvvisamente iniziò a collaborare dopo una condanna all’ergastolo per omicidio, nell’arco di pochi anni hanno fatto scattare oltre cento arresti. E hanno alzato il velo sulle nuove infiltrazioni della ’ndrangheta sotto la Mole. Agresta junior e le sue dichiarazioni sono al centro anche dell’ultima operazione della procura di Torino che ha chiesto e ottenuto l’arresto di una cinquantina di affiliati alle “locali” dei clan in Piemonte, in gran parte per traffico internazionale di droga, con al centro la famiglia Giorgi: un nome che arriva da San Luca e riecheggia anche nella strage di Duisburg.
Una indagine condotta da Guardia di finanza e carabinieri coordinata dalla Dia e dal magistrato Valerio Longi che chiude il cerchio sugli ultimi dieci anni di operazioni e inchieste che hanno messo in luce la potenza delle ’ndrine nel Nord-Ovest. Con affiliati ai clan a volte insospettabili, almeno in apparenza, che si strusciavano con la politica locale per avere vantaggi e ottenere risultati a loro particolarmente cari. Nelle quasi duemila pagine dell’ultima operazione antimafia emerge come imprenditori, legati, secondo la procura, alla ’ndrangheta, avessero contatti costanti con politici locali, garantendo loro in alcuni casi sostegno elettorale. A volte erano i politici che chiedevano il loro aiuto, mentre sullo sfondo resta una domanda: le richieste di voti erano fatte «consapevolmente» a uomini legati ai clan? Oppure erano questi ultimi che si facevano avanti nella speranza, o certezza, di avere qualcosa in cambio per la loro organizzazione? A questa domanda i magistrati di Torino e lo stesso Longi non hanno ancora una risposta chiara, tanto è vero che nessun politico che compare come nome nelle carte dell’inchiesta è indagato. Ma allo stesso tempo gli inquirenti scrivono che ci saranno ulteriori verifiche su alcuni episodi emersi dalle intercettazioni.
Le dichiarazioni di “Micu” hanno portato all’arresto di fratelli imprenditori molto noti nella cintura torinese, Giuseppe e Franco Mario Vazzana. Per la procura, sono legati alla locale di Volpiano e alla famiglia degli Agresta. Dalle intercettazioni emerge ad esempio l’impegno dei Vazzana nella campagna elettorale per la scelta del sindaco di Chivasso nel 2017. I Vazzana, soprattutto Giuseppe, titolare di un bar in paese, si spendono per un candidato che poi sarà sconfitto dall’attuale primo cittadino Claudio Castello. Dalle intercettazioni emerge una richiesta di aiuto al ballottaggio proprio di Castello a Vazzana: «Pino, adesso devi vincere tu», gli dice Castello, intendendo di votare per lui. Castello vince e gli inquirenti annotano una vicenda che riguarda l’acquisizione di un bar per il quale i Vazzana mettono sul piatto 140 mila euro: «Le vicende che hanno portato all’acquisizione del bar Nimbus assumono rilievo sia per l’entità dell’investimento economico, sia per il ruolo svolto dal sindaco Castello, il quale si è molto prodigato affinché la Bennet spa, nell’ambito di un centro commerciale in via di realizzazione nel Comune di Chivasso, assegnasse a Giuseppe Vazzana l’unico spazio con destinazione d’uso l’esercizio dell’attività di bar, cui, in un secondo momento, si aggiungeva anche la licenza per la vendita di tabacchi. La questione assume notevole rilevanza posto che, sempre per quanto appreso dalle conversazioni captate, durante la campagna elettorale che ha preceduto l’elezione dell’attuale primo cittadino di Chivasso, Castello aveva contattato Vazzana per ottenere sostegno nelle elezioni».
Altre volte i Vazzana si vantano di aver ottenuto favori dai politici. Tra questi citano l’ex sindaca di Valperga Francisca Gabriele. Nel 2018 i carabinieri registrano alcune conversazioni telefoniche «nel corso delle quali gli interlocutori facevano riferimento a un incontro, avvenuto nella medesima giornata, tra Mario Vazana e il sindaco di Valperga, al quale veniva prospettata una questione inerente al ristorante di Belmonte. Vazzana confidava, prima alla convivente Agostina Ceravolo e poi alla madre Domenica Olino, che, grazie al rapporto di fraterna amicizia tra il sindaco di Valperga ed il proprio fratello Giuseppe Vazzana, l’importo da pagare per la tassa dei rifiuti era stato ridotto da trenta a ottomila euro». Millanterie? Anche su questo fronte gli inquirenti non escludono ulteriori verifiche.
Certo è che Vazzana era spesso al centro di richieste di aiuto per campagne elettorali. Come quella che gli arriva, tramite un intermediario, per la campagna elettorale delle scorse Politiche a favore della senatrice di Forza Italia Maria Virginia Tiraboschi. Mario Vazzana organizza un aperitivo con la senatrice e alcuni imprenditori. E in una intercettazione Vazzana dice a dei suoi parenti di far votare la senatrice perché «minchia, non è l’ultima arrivata». La senatrice ricorda di essere stata invitata a quell’aperitivo da un dentista molto noto: «Ho una certa esperienza e nemmeno mi fermai per l’aperitivo. Ho parlato soltanto di turismo, la mia materia. Vazzana non so chi sia, ma io sto sempre attenta», dice Tiraboschi all’Espresso.
I Vazzana comunque non facevano certo distinzioni di partito pur di raggiungere i loro obiettivi. E così si muovono per avere un contatto con il consigliere regionale del Pd Raffaele Gallo e il padre di quest’ultimo, Salvatore, per perorare l’acquisto da parte della Regione del santuario di Belmonte dove la famiglia aveva un locale entrato in crisi per la diminuzione dei pellegrini. Il collaboratore di giustizia Domenico Agresta racconta poi altre storie, altri contatti, tra uomini di ’ndrangheta e politici locali. E cita, tra gli altri, anche l’aiuto elettorale che la famiglia avrebbe dato qualche anno fa all’ex vicesindaco di Volpiano, Giuseppe Medaglia: «Mio zio Antonio», racconta in un verbale Agresta, «quando era uscito, faceva raccogliere voti per Pino Medaglia, poi diventato vicesindaco grazie ai voti procurati da mio zio Antonio».
Resta il fatto che la ’ndrangheta nel Nord-Ovest c’è e ha legami, alla luce del sole o nel mondo di mezzo, con le istituzioni e la politica. Anche in questo pezzo di Paese si deve adesso stare attenti, anche qui politici e rappresentanti delle istituzioni devono sempre porsi domande su chi realmente hanno davanti, se si è almeno in buona fede. In altri casi è stato dimostrato che la politica in buona fede non lo era e sapeva benissimo con chi aveva a che fare. Attualmente è in corso il processo di appello sulle ’ndrine calabresi in Valle d’Aosta che vede sempre il magistrato Longi come accusa: in primo grado sono stati condannati l’ex consigliere regionale Marco Sorbara, l’ex assessora comunale di Saint-Pierre, Monica Carcea e l’ex consigliere comunale Nicola Prettico. Qui il patto sarebbe stato chiaro e indicibile.