Una nuova perizia riapre una partita che sembrava ormai chiusa. Un documento, firmato da docenti e medici, che collega la morte per tumore ai polmoni di un ex operaio della raffineria di Gela con il lavoro svolto per oltre vent’anni all’interno degli impianti dell’Eni e l’esposizione all’amianto. Una perizia, che l’Espresso può descrivere, che per la prima volta non fa solo una indagine statistica sull’elevato numero di tumori e malformazioni nell’area gelese. Un documento medico che, «al di là di ogni ragionevole dubbio», punta il dito sull’Eni per la mancata prevenzione e il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro.
Una palla di neve, un caso singolo, che potrebbe diventare una valanga. Scavalcando un muro finora mai oltrepassato da nessun processo: non c’è ad oggi una sentenza anche di primo grado che condanna il colosso della raffinazione per l’inquinamento ambientale di Gela. Quest’ultimo sì un dato certo considerando il numero anomalo di malattie e presenze di elementi inquinanti in terra, mare e aria. A Gela il cane a sei zampe ha risarcito soltanto un’azienda per inquinamento, la Lucauto, che ha incassato oltre un milione di euro. Una concessionaria di auto con sede accanto allo stabilimento, appena sequestrata perché appartenente ad imprenditori che per la Dda di Caltanissetta avrebbero riciclato i soldi del clan mafioso dei Rinzivillo.
Ma proprio grazie a questa nuova perizia il procuratore di Gela Ferdinando Asaro e il sostituto Mario Calabrese tornano alla carica e hanno appena chiesto il rinvio a giudizio per quattro ex dirigenti dell’Enichem Anic, della Praoil Aromatici e della Raffinazione srl, tutte sigle che ricadono nella gestione dell’impianto gelese. L’accusa è pesantissima: concorso in omicidio colposo.
Ad oggi non c’era mai stata una perizia medica che legasse in maniera chiara la morte per tumore di un dipendente della raffineria con il lavoro nell’impianto Eni. Le vecchie perizie, che in giudizio non hanno mai retto, si basavano soprattutto su indagini statistiche sulla presenza di elementi inquinanti nell’ambiente gelese e le percentuali di malattie tumorali o di malformazioni. Senza un legame medico chiaro, la procura non ha mai portato a casa una condanna da quando sono iniziate le prime cause alla fine degli anni Novanta. Ma il procuratore Asaro e l’aggiunto Calabrese non hanno abbandonato il tema, molto sentito in una città che non ha famiglia, o quasi, che non possa raccontare casi di tumore, di malattie autoimmuni o problemi simili. Così i magistrati hanno nuove analisi partendo dalle denunce recenti di alcuni familiari. Come quella arrivata qualche anno fa dai figli e dalla moglie dell’operaio Salvatore Di Vara, morto nel 2015 per tumore, il mesotelioma sarcomatoideo della pleura, dopo aver lavorato dagli anni Settanta a metà anni Novanta al reparto di manutenzione meccanica e officina dove è stato esposto anche ad amianto.
Secondo la perizia firmata dai docenti di medicina del lavoro dell’Università di Palermo Walter Mazzucco e Guido Lacca, e dall’oncologo del Policlinico di Palermo Sergio Rizzo, ci sono elementi tali che depongono, «al di là di ogni ragionevole dubbio, per un caso di danno biologico riconducibile all’esposizione alle fibre di asbesto in ambito occupazionale». Una seconda perizia, fatta da alcuni esperti medici a Bologna, ha anche stabilito come nel caso dell’ex operaio Di Vara il tumore alla pleura sia, se così si può dire, primario: cioè non conseguenza di altre forme tumorali precedenti. Un altro elemento chiave, per la procura e per i legali della famiglia Di Vara, che lega la malattia all’attività lavorativa nella raffineria. L’Eni in un nota replica: «Eni prende atto del provvedimento della Procura della Repubblica presso il tribunale di Gela che ha come oggetto fatti riferiti al periodo 1974-1996, e confida di poter dimostrare in ambito processuale la correttezza del proprio operato».
Di certo c’è che la procura riapre una partita che sembrava chiusa e persa, per lo meno a livello penale. A breve si attende la sentenza civile per una richiesta di risarcimento danni presentata da alcune famiglie con bambini malformati: nel 2018 una sentenza, sempre civile, aveva escluso legami tra le malformazioni e la presenza del colosso della raffinazione, come sottolinea sempre l’Eni quando si tratta di affrontare problemi legati all’inquinamento e alle sue conseguenze nell’area di Gela. Aggiungendo che non ci sono prove che l’inquinamento dei terreni, ad esempio, sia stato causato dalla presenza della raffineria e non dall’utilizzo anomalo di pesticidi e altri veleni nell’agricoltura negli anni passati. Oggi la raffineria è in fase di riconversione e i vecchi impianti sono spenti. Il dolore di Gela invece arde ancora.