Lo Stato ha versato la cifra pattuita come risarcimento, mettendo la parola fine a un caso diplomatico iniziato 9 anni fa. I due militari italiani sono stati considerati colpevoli di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati mentre facevano da scorta a un mercantile

Cento milioni di rupie. Corrispondenti a circa 1,1 milioni di euro. È quanto pagato dallo Stato italiano all’India per chiudere la vicenda dei fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che si portava avanti dal 2012. Il 9 aprile scorso la Corte Suprema indiana aveva deciso che la conclusione giudiziaria sarebbe arrivata solo dopo il risarcimento e il 19 aprile era stata rinviata perché il deposito non era ancora disponibile, come dichiarato nell’udienza dal procuratore generale dello Stato, Tushar Mehta. 

 

Oggi 15 giugno, secondo quanto riporta il giornale indiano “The Hindu”, è arrivato l’ordine ufficiale di far cadere tutti i procedimenti e le accuse di omicidio a carico dei due marò. In una nota, secondo quanto riportano media indiani, il risarcimento è stato considerato congruo da tutte le parti coinvolte: «Siamo soddisfatti che l’importo già presentato possa essere considerato ragionevole come compensazione e nell’interesse degli eredi. Riteniamo che sia adatto a chiudere tutti i procedimenti in India, compresi quelli penali».

 

Nel febbraio del 2012 Girone e Latorre erano a bordo della nave commerciale italiana Enrica Laxie, in una missione antipirateria al largo delle coste del Kerala. Quando il peschereccio St Anthony si è avvicinato alla nave italiana i due hanno cominciato a sparare colpi di avvertimento, pensando e temendo un attacco di pirati. Sulla piccola barca, però, c’erano solo alcuni pescatori: due di essi morirono, Ajeesh Pink e Valentine Jelastine, e l’armatore Freddy Bosco rimase ferito. La somma che ha versato l’Italia andrà proprio ai familiari e agli eredi delle vittime dell’incidente, oltre che ai proprietari dell’imbarcazione.

 

Il contenzioso è durato quindi nove anni dal momento dell’arresto dei due fucilieri di Marina, che in seguito hanno passato diversi mesi in carcere in India prima del loro rimpatrio in Italia. Il 2 luglio del 2020 il tribunale internazionale dell’Aja aveva riconosciuto «l’immunità funzionale» a Girone e Latorre e la giurisdizione italiana sul caso, in quanto «funzionari dello Stato italiano nell’esercizio delle loro funzioni». Per questo all’Italia era stato ordinato di risarcire le famiglie dei pescatori.

 

Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’economia ed ex presidente del Consiglio italiano, ha lasciato un commento su Twitter definendolo un «successo della diplomazia italiana», mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha voluto ringraziare «chi ha lavorato con costanza al caso e il nostro infaticabile corpo diplomatico».

 

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Dopo anni di tira e molla quindi la vicenda sembra conclusa. Sembra, perché la moglie di Latorre, Paola Moschetti, all’Ansa ha rilasciato un commento al vetriolo: «Da 9 anni sono costretta a parlare a nome di mio marito. A lui è stato fatto esplicito divieto di parlare pena pesanti sanzioni. Non può nemmeno partecipare a qualsiasi manifestazione pubblica. È vincolato al segreto. È ora di chiedersi perché le autorità militari vogliono mantenere il segreto su ciò che sa e vuol dire. Quello che so è che per la politica italiana siamo stati carne da macello. Presto Massimiliano si presenterà alla procura di Roma». Il caso è chiuso davvero?