Intervista
Non è detto che Jansa diventi un nuovo Orban
Il premier sloveno, che vorrebbe importare in Patria il metodo ungherese, è contestato da un’opposizione crescente. E domenica ha perso un referendum emblematico. Parla Tanja Fajon, leader dei socialisti europei
Su una cosa Tanja Fajon, leader dei socialisti europei nell'Europarlamento e voce dell'opposizione politica in Patria, concorda con il premier sloveno Janez Jansa, oggi presidente di turno dell’Unione europea: l'allargamento a Est dell'Unione è importante. «L'Albania e la Macedonia del Nord non possono essere vittime degli interessi politici di altri Paesi». Il riferimento è alla Grecia, per la Macedonia del Nord, e, per l'Albania, alla Bulgaria, dove il primo ministro Boyko Metodiev Borisov, potrebbe essere rieletto dopo le elezioni di domenica 11 luglio (la conta dei voti è ancora in corso).
Per il resto Fajon è molto critica con il suo premier ed è dispiaciuta della dimostrazione di arroganza nei confronti dei giornalisti e anche della Commissione europea. Rimarrà negli annali europei il rifiuto di Franz Timmermans di prendere parte alla foto di gruppo in Slovenia dei commissari con Jansa, in occasione dell'inaugurazione della presidenza, settimana scorsa, dopo che questi si era scagliato contro due europarlamentari socialisti.
«Dice che una delle priorità della sua presidenza sarà lo stato di diritto ma intanto non invia a Bruxelles i due giudici nominati dalla magistratura slovena. Un pessimo esempio perché spetta a loro controllare il buon uso dei fondi europei. In Slovenia l'indipendenza della magistratura è a rischio se il governo può impunemente interferire in un tale processo».
L'altra grande obiezione dell'euro opposizione slovena a Jansa è il fatto che questi non abbai preso una netta posizione contro la legge ungherese che discrimina attivamente la comunità LGBTQ: «Von der Leyen ha fortemente condannato la legge e invece Jansa ha preso una posizione neutrale. Ma essere neutrale su questa questione non è sufficiente», dice Fajon, che critica l'ascendente che Orban e il governo polacco hanno su Jansa e che plaude alla dura presa di posizione della Commissione sul Recovery plan ungherese.
«I soldi del Recovery sono importanti per i cittadini ungheresi e non siamo contenti che adesso non possano averli. Ma è giusto che i governi si assumano la responsabilità di dimostrare che l'Unione europea non è un menu da cui scegliere cosa si preferisce. Sono anni che Polonia e Ungheria infrangono le leggi europee, l'articolo 7 (che esclude dal voto il Paese che infrange i diritti fondamentali dell'Unione) è sul tavolo da anni ma in consiglio non c'è stata mai la volontà di applicarlo. Adesso l'unico modo per mantenere l'integrità dell'Unione è tagliare i fondi all'Ungheria, che è il maggiore recipiente in rapporto al Pil».
Fajon concorda poi con chi nella famiglia dei popolari sostiene che il governo di Jansa non sia saldo al potere (ragionamento da cui i popolari derivano l'inutilità di un accanimento politico). «Due terzi della popolazione non è contenta dell'attuale governo e vuole un cambiamento. Avremo le elezioni il prossimo maggio ma non è detto che non saranno anticipate. Vorremmo tornare alla normalità, ad essere uno stato saldamente europeo, una democrazia sana. Tornare a credere nelle istituzioni».
Intanto ieri si è tenuto in Slovenia un referendum sull'acqua, ovvero contro la riforma voluta da Jansa per permettere la costruzione di edifici in zone limitrofe al mare e a corsi e specchi d'acqua, fortemente ostacolata dagli ecologisti. «Sarà soprattutto un referendum pro o contro Jansa che darà l'idea del sentimento della popolazione», ha detto Fajon. Ebbene: Jansa ha perso. Il “no” ha vinto con l’86,5 per cento dei voti di quel 44,52 per cento degli elettori totali che hanno votato, rendendo valido il referendum. Un domani diverso è ancora nelle carte degli sloveni.