La multinazionale americana Facebook, che controlla anche il social delle immagini, elimina i post dei fotografi in Afghanistan perché ritraggono i combattenti che hanno conquistato il paese. «Ma dove è finita la libertà di stampa?»

«Instagram vuole rimuovere il mio account e ha già eliminato altre mie foto solo perché sono immagini di talebani in Afghanistan. Ma io sto facendo il mio lavoro di fotoreporter. La maggior parte delle fotografie era già uscita sui giornali: dov’è la libertà di stampa?». È questa la denuncia della fotogiornalista francese Veronique de Viguerie, che aggiorna il suo profilo Instagram da Kabul. Il social di proprietà di Facebook giovedì mattina ha eliminato alcune sue fotografie che ritraevano i combattenti talebani. Lo stesso ha fatto con Jim Huylebroek, che con le sue immagini per The New York Times sta raccontando al mondo che cosa succede nel paese in mano agli studenti coranici. Stessa disavventura per Alexandre Meneghini, fotoreporter freelance che vive a Cuba e lavora per Associated Press: «Già un paio di mesi fa Instagram ha rimosso le mie foto – spiega all’Espresso - non sono più riuscito a pubblicarle. Altre immagini, invece, come il ritratto di Pepsi, talebano fotografato in Pakistan, sono rimaste sul mio profilo senza causare problemi».

Nella serata di giovedì Instagram ha ripristinato la pubblicazione delle fotografie di Veronique de Viguerie, ora visualizzabili sul suo profilo. Tanti i commenti degli utenti a supporto della fotoreporter che hanno contribuito a riabilitare le immagini.

 

 

La nuova policy di Facebook

Facebook, dopo che lo scorso 15 agosto i talebani sono entrati a Kabul, ha modificato la propria policy in Afghanistan: permette agli utenti di nascondere con un click il proprio account a chi non fa parte della lista degli amici e censura i talebani. «Sono sanzionati come organizzazione terroristica dalla legge degli Stati Uniti e sono banditi dai nostri servizi in quanto pericolose. Questo significa che rimuoviamo gli account gestiti da o per conto dei talebani e vietiamo lodi, supporto e rappresentanza» ha dichiarato alla BBC un portavoce della multinazionale americana che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp.

 

Il gigante dei social ha detto di avere un team di esperti afgani, che conosce le lingue locali e il contesto del paese, dedicato al monitoraggio dei contenuti pubblicati dai combattenti che sono entrati nel palazzo presidenziale di Kabul dopo la fuga dell’ex presidente Ashraf Ghani.

 

La decisione di Facebook ha riaperto il dibattito che aveva già acceso l’opinione pubblica quando erano stati bloccati gli account dell’ex presidente statunitense Donald Trump.

 

 

Ora, però, ad essere rimossi non sono solo i post a supporto dei talebani, ma anche le fotografie dei reporter che sono ancora sul campo. Per Emanuele Satolli, fotoreporter dell’agenzia Contrasto che ha documentato l’avanzata talebana, si tratta di un bug, un cortocircuito del sistema. «Quanto succede ci invita a riflettere: quelle che dovrebbero essere piattaforme per favorire la libertà di espressione degli individui finiscono per zittire chi fa informazione».

 

Secondo Reporters Without Borders, l’ong internazionale che si batte per la tutela della libertà di stampa, è sempre più difficile per i reporter lavorare in Afghanistan, soprattutto se sono donne. Sono rimaste solo 100 delle 700 giornaliste che erano a Kabul prima dell’arrivo dei talebani e sono ancora meno quelle che continuano a lavorare dalle altre province. Nonostante le rassicurazioni dei nuovi governanti, sta emergendo un panorama da cui mancano i media liberi. Con l’aeroporto Hamid Karzai della capitale ancora chiuso dopo il ritiro delle truppe occidentali, il paese rischia sempre di più di rimanere isolato dal resto del mondo.

 

«Trovo contraddittorio che vengano censurate le fotografie che raffigurano i talebani, sono diffuse da sempre» dichiara Lorenzo Tugnoli, fotoreporter che ha vinto il Premio Pulitzer con le immagini della crisi umanitaria in Yemen e nel 2020 il World Press Photo con il reportage The longest war, proprio sui talebani in Afghanistan per The Washington Post. «Una loro delegazione ha negoziato la pace con gli americani che hanno appena portato a termine il ritiro delle truppe rispettando gli accordi presi. Ormai i talebani sono un soggetto politico che ha ricevuto legittimazione internazionale».  Per Tiziana Faraoni, photoeditor del nostro settimanale, la censura di Instagram è inaccettabile. «Attraverso i profili social i reporter raccontano al mondo, in diretta, come l’Afghanistan stia cambiando da quanto sono tornati i talebani. Impedire la pubblicazione delle fotografie è un limite alla libertà di espressione e anche un modo per non voler vedere la verità».

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