L’interruzione volontaria di gravidanza non è più un reato nel piccolo Stato tra Marche e Emilia Romagna grazie al voto popolare. Una vittoria schiacciante per i sostenitori del sì che conquistano il 77,3% dei voti

San Marino ha detto sì: le donne potranno abortire in modo legale, sicuro e accessibile. Dopo diciotto anni in cui l’Unione delle donne sammarinesi (Uds), associazione promotrice del referendum, ha tentato con gli strumenti messi a disposizione dalla democrazia diretta di conquistare il diritto all’aborto, ieri, domenica 26 settembre, nella Repubblica di San Marino il giudizio popolare ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Una giornata storica per chi sostiene i diritti delle donne, che ha conquistato il 77, 3% dei voti contro il 22,7% del no. 

 

Una vittoria schiacciante. «Ci aspettavamo un buon risultato. Quello che abbiamo ottenuto ci soddisfa appieno: è stato un plebiscito con più di tre cittadini su quattro che ha votato sì» ha detto Karen Pruccoli, presidente dell’Uds.

«Con queste percentuali la legge potremo scriverla noi. - scherza Giulia Valenti, ingegnere di 31 anni, una delle più giovani militanti dell’Unione donne sammarinesi -  Ci auguriamo che il disegno di legge che abbiamo fatto nel 2019 venga finalmente preso come base per costruire delle norme giuste, che tengano ben presente l’opinione dei cittadini». La voce di Valenti è coperta dalle grida di gioia «qualcuno sta ballando» racconta euforica, «sono emozionatissima». Al Caffè Tabarrini si sono riuniti i sostenitori del sì per seguire lo spoglio dei voti.

 

Il piccolo stato al confine tra le Marche e l’Emilia Romagna era rimasto uno dei pochi in Europa, con Andorra e Malta, a reputare l’Ivg totalmente illegale punendo con il carcere sia chi abortisce sia chi l’aiuta. D’ora in poi non sarà più così: per la prima volta dopo oltre 150 anni le donne sammarinesi avranno la possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche dopo in caso di pericolo di vita per la donna o per malformazioni del feto che possono metterne a rischio la salute, senza temere la reclusione. 

«Il quesito del referendum è stato volutamente semplice, chiaro e in linea con la legge 194 italiana che ha legalizzato l’Ivg nel 1978» aveva già spiegato Pruccoli all’Espresso. È stata proprio la vicinanza con il nostro paese uno dei motivi per cui la politica sammarinese per anni ha risposto con indifferenza alle richieste di legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza: fino a ieri le donne andavano in Italia per abortire, pagando circa 1500 euro.

 

«La campagna elettorale è stata durissima. Noi ci eravamo preparate per un dibattito sano, fondato sul diritto e sulla libertà delle donne di scelta e autodeterminazione. I sostenitori del no, invece, hanno detto falsità e bugie per creare ambiguità, spostando tutta la campagna sulla seconda parte del quesito, quella relativa all’aborto terapeutico» spiega Valenti. Pochi giorni dopo l’inizio della campagna referendaria il Comitato Uno di Noi, costituito dai pro-vita locali che si oppongono alla depenalizzazione dell’aborto, ha affisso i manifesti con la foto di un ragazzo affetto dalla sindrome di down e la domanda «Io sono una anomalia per questo ho meno diritti di te?» La commissione pari opportunità ha chiesto l’immediata rimozione del cartellone. Restano, invece, lungo le strade di San Marino, le immagini di una bambina al cellulare, con lo sguardo stupito perché ha scoperto che chi sostiene il sì vorrebbe legalizzare l’aborto fino al nono mese. «Ma l’aborto al nono mese non esiste, si chiama parto» è costretta a rispondere l’Uds con il sostegno di medici.

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Secondo le statistiche ufficiali l’affluenza è stata del 41%, in leggero calo rispetto al 2019 quando il piccolo stato votò per vietare le discriminazioni per orientamento sessuale. Il referendum del 26 settembre, di tipo propositivo, ha determinato i principi a cui il Consiglio Grande e Generale - il parlamento di San Marino - dovrà attenersi nel redigere un progetto di legge entro sei mesi.  «Aspettiamo di vedere che tipo di legge verrà formulata - conclude Pruccoli -  vigileremo affinché i principi del quesito vengano rispettati. Finalmente San Marino riconosce alle donne lo status di persona».