I diritti delle donne
La rete delle “zie d’Europa” che aiuta chi non può abortire in sicurezza
Finanziano viaggi, spediscono farmaci. A chi le contatta dalla Polonia, da Malta, ma ultimamente anche dall’Italia. E risparmiano a tante giovani i rischi della clandestinità
Ai primi di settembre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha reso sostanzialmente illegali la quasi totalità degli aborti in Texas, decidendo di non bloccare la legge che vieta l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) oltre la sesta settimana. È l’ennesimo atto di una guerra all’aborto che viene da lontano, ma che è tutt’altro che localizzata.
Anche in Europa si contano Stati con normative molto restrittive, e altri in cui l’accesso è molto limitato. Malta è il paese con la legislazione più dura: l’aborto è illegale in ogni circostanza e senza eccezioni, con una pena fino a tre anni di carcere. Interrompere volontariamente una gravidanza è vietato anche nei piccoli Stati di Andorra e Liechtenstein. A San Marino e a Gibilterra l’aborto è stato recentemente depenalizzato grazie al voto popolare, ma le maglie restano strettissime.
E poi c’è la Polonia, dove nell’ottobre del 2020, dopo diversi tentativi parlamentari, una sentenza della Corte Costituzionale ha ulteriormente ridotto l’accesso all’Ivg, eliminando i casi di gravi malformazioni fetali (che costituivano la gran parte di quelle censite).
A questi si aggiungono paesi come l’Irlanda, l’Ungheria o la Romania, dove l’aborto seppur legale è di difficile accesso. O l’Italia, con l’altissimo tasso di obiezione di coscienza e gli ostacoli al metodo farmacologico, specialmente durante la pandemia.
I divieti, le restrizioni e le difficoltà, però, non hanno mai fermato gli aborti. Negli ultimi anni si è formata una rete di gruppi che garantiscono informazioni, finanziamenti e supporto per organizzare i viaggi delle donne che devono abortire verso Paesi dove è possibile farlo in sicurezza o per permettergli di farlo in casa grazie alla telemedicina.
Mara Clarke, trasferitasi in Inghilterra nel 2005 dagli Stati Uniti (dove c’è una lunga tradizione in questo senso), è una pioniera in Europa: nel 2009 ha fondato Abortion support network, un’associazione non profit per finanziare i viaggi delle donne da Irlanda, Irlanda del Nord, Isola di Man e recentemente Gibilterra e Malta per abortire nel Regno Unito, dove il limite per l’Ivg è di 24 settimane. Nel 2020 si sono rivolte all’organizzazione circa 780 persone.
«Le legislazioni restrittive sull’aborto non hanno effetti sulle persone ricche, ma su quelle più povere o marginalizzate. Quello che facciamo è aiutare chi ne ha bisogno ad accedere all’aborto, specialmente nel secondo trimestre di gravidanza. Suona come una cosa facile, ma ci sono molti ostacoli», spiega Clarke. Gli ostacoli a cui si riferisce riguardano ad esempio i documenti di viaggio, situazione peggiorata con Brexit, o le condizioni particolari delle donne che devono spostarsi: alcune escono da una relazione violenta o vivono con un partner controllante, la maggior parte ha già dei figli. E poi la pandemia, con tutte le limitazioni.
Abortion support network opera ufficialmente con alcuni Paesi, ma secondo la sua fondatrice l’organizzazione «è pronta ad aiutare chiunque, caso per caso». Nel dicembre 2019 ha aperto anche alla Polonia, lanciando insieme ad attiviste di cinque organizzazioni con sede in diversi Paesi d’Europa l’iniziativa Abortion without borders.
Le richieste arrivano a una helpline gestita da volontarie che da anni lavorano per diffondere informazioni corrette sulla salute riproduttiva in Polonia. Da qui, a seconda della settimana di gestazione, le utenti vengono smistate tra gruppi che organizzano viaggi in altri Paesi europei e Women help women, una non profit che si occupa di fornire consulenza e assistenza medica per l’aborto farmacologico in telemedicina nei Paesi in cui l’Ivg è illegale, inviando le pillole a casa. Nel 2021 le richieste finora arrivate ad Awb sono state 4.135.
La speranza di Clarke è che sorgano sempre più gruppi di questo tipo, così come sta accadendo negli ultimi anni soprattutto ad opera di attiviste polacche. «Siamo un esercito in crescita», commenta.
Esiste una rete di collettivi, alcuni dei quali nati dopo la decisione della Corte Costituzionale di Varsavia dello scorso ottobre, con nomi simili tra loro: Ciocia Basia (che fa parte di Abortion without borders e ha sede a Berlino), Ciocia Frania (a Francoforte), Ciocia Monia (a Monaco di Baviera), Ciocia Wienia (a Vienna), Ciocia Czesia (Repubblica Ceca). «Ciocia» significa «zia» in polacco e quello che queste volontarie fanno è mettere a disposizione contatti, informazioni, organizzare supporto psicologico, prendere appuntamenti e aiutare anche economicamente chi ne fa richiesta ad accedere all’aborto in Germania, Austria o Repubblica Ceca, paesi con normative più elastiche.
La stessa attività viene svolta da Abortion network Amsterdam (anch’essa nel network di Awb) con sede nei Paesi Bassi, dove la legislazione permette l’Ivg fino a 22 settimane. «La maggior parte delle persone che ci hanno contattato venivano dalla Polonia, ma abbiamo ricevuto richieste anche da Stati molto lontani», spiega Kasia, una delle volontarie. Tra le utenti ci sono anche donne immigrate o senza documenti.
Altre organizzazioni si occupano di aborto farmacologico in telemedicina, nelle prime settimane di gravidanza. Oltre a Women help women, è attiva Women on web, non profit fondata nel 2005 dall’attivista olandese Rebecca Gomperts.
«L’Europa costituisce almeno metà del traffico delle email che riceviamo, parliamo di almeno 70 mila email all’anno. Ci contattano soprattutto da Polonia, Malta, Irlanda. Occasionalmente anche da Paesi in cui l’aborto è legale, ma le persone non hanno accesso alle strutture per varie ragioni: questioni di documenti, privacy, situazioni di violenza. Alcune mail sono arrivate anche dall’Italia, specialmente durante la pandemia», afferma Kinga Jelinska, co-fondatrice e direttrice esecutiva di Women help women.
«L’equivoco è pensare che se l’aborto è legale, allora va tutto bene. Ma più che alle normative, bisognerebbe guardare quante persone riescono ad accedere: ci sono posti con buone leggi e un pessimo accesso al servizio».