Giovani

Scuola, la risposta al disagio degli studenti sono sospensioni e manganellate

di Erika Antonelli e Chiara Sgreccia   31 gennaio 2022

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Cariche degli agenti contro i cortei di protesta per la morte del diciottenne Lorenzo Parrelli. A Roma ondata di punizioni decise dai presidi contro le occupazioni. La repressione sembra l’unica via con cui le istituzioni rispondono ai ragazzi

Repressione e manganelli. In piena pandemia, alle prese con la lotteria dei contagi e con l’incubo della Dad, la scuola fa i conti con una stretta senza precedenti recenti. In piazza, chi protesta dopo la morte di Lorenzo Parelli ucciso in fabbrica da una trave nel suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro, trova la polizia in assetto anti-sommossa e sperimenta le conseguenze di una carica. Negli istituti romani parte invece l’offensiva decretata dall’ufficio scolastico regionale del Lazio contro le occupazioni consumatesi tra ottobre e dicembre 2021 che solo nella Capitale hanno riguardato 60 superiori. La circolare rivolta ai presidi è del 20 dicembre ma sta dispiegando i propri effetti in questi giorni.

Invita i capi di istituto a «denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti». Il documento ha provocato una pioggia di sospensioni che incidono negativamente soprattutto sui maturandi.

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Ne hanno fatto le spese molte scuole. Tanto i licei, quanto tecnici e professionali.  Sospensioni e 21 denunce penali al liceo artistico Ripetta, mentre in tutto l’istituto Cavour è stata sospesa la ricreazione. Provvedimenti anche al Meucci, all’Argan, al Galilei, al Pirelli, all’Albertelli, al Morgagni e al Majorana. Contattato da L’Espresso per spiegare i motivi di una posizione così rigida, l’Usr non ha ancora risposto. E anche se il direttore, Rocco Pinneri nel confronto con gli studenti si dice «pronto al dialogo», la circolare non è stata ritirata.

La morte di Parelli non è che benzina sull’esasperazione dei giovani in lotta dall’autunno scorso. «La scuola non è un’azienda, i presidi non sono manager, il sapere non è profitto», rivendicano i comitati studenteschi, insofferenti verso un’istituzione alle corde per carenze strutturali, messa in ginocchio dalle conseguenze delle misure anti Covid-19. Roma da tre mesi, è diventata il nuovo cuore della ribellione studentesca, quasi l’embrione di un nuovo movimento  in versione generazione Z.

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L’ultimo atto è di qualche giorno fa, al Pantheon, quando il corteo, non autorizzato, ha iniziato a dirigersi verso il ministero dell’Istruzione. Centinaia di giovani arrivati per far sentire la loro voce, tornati a decine con il volto sporco di sangue dopo le cariche delle forze dell’ordine. È successo anche a Ismaele Calaciura Errante, 18 anni, del liceo classico Visconti. «Dalla piazza volevamo arrivare al Miur, ma la polizia ha fatto sbarramento. Mi aspettavo alzassero gli scudi e spintonassero, invece hanno subito iniziato a manganellare caricando a lato, dove c’ero io». Quattro punti e un cerotto sulla fronte, altri hanno riportato ferite alle mani o al viso.

Nel chiuso degli istituti l’altra faccia della stretta. L’ha patita anche Cristian, dell’Istituto Leopoldo Pirelli, occupato dal 7 al 10 dicembre. Un mese dopo il consiglio d’istituto decide la sanzione: 16 giorni di sospensione senza obbligo di frequenza per lui e cinque, con obbligo, per i rappresentanti. Cristian presenta istanza per rendere fruttuoso il tempo vuoto dalle lezioni, magari tenendo dei corsi. È in attesa di risposta: «Se non passa la mia proposta, potrei dovermi assentare in un periodo pieno di corsi e interrogazioni». Una parte degli studenti, circa un centinaio sui 400 coinvolti per decidere o meno se occupare, non era d’accordo sulla modalità di protesta. Ma, racconta Cristian, la scuola si è mobilitata contro la mia sanzione. «Hanno fatto uno striscione, altri scioperato, i professori invece dicono che continueranno a inviarmi i materiali, però non mi basta. Nessuno di loro ha chiesto un incontro al preside per contrastare il provvedimento».

Secondo Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma, «l’irrequietezza dei ragazzi è comprensibile, ma l’atteggiamento degli occupanti non può passare come una ragazzata». A occupare, dice, «sono state piccole minoranze, circa il cinque o dieci per cento del corpo studentesco, con voglia di protagonismo». Eppure, l’onda di proteste è, a detta di quei ragazzi, lo strumento estremo per reclamare la partecipazione al dibattito. Le loro richieste si articolano su tre filoni: miglioramento dell’edilizia scolastica, possibilità di dialogo sulla gestione degli orari di entrata e uscita, informazioni sull’utilizzo dei fondi del Pnrr. Ma Rusconi condanna le modalità: «A scuola si insegna anche l’educazione civica, il rispetto delle leggi che gli occupanti hanno infranto, impedendo alla maggioranza di seguire le lezioni».

Un gran numero di dirigenti scolatici ha seguito le direttive dell’Usr e punito a macchia di leopardo, colpendone uno per educarne cento, gli studenti che hanno partecipato alle occupazioni. Non sono sempre chiari i motivi che hanno portato all’individuazione dei presunti responsabili, colpevoli soltanto di aver chiesto di essere ascoltati. Anche se, forse, con un metodo non più così efficace e poco contemporaneo, gli allievi della maggior parte degli istituti superiori di Roma hanno preteso di esporre la propria opinione e di fare in modo che qualcuno la prendesse in considerazione. Soprattutto dopo due anni di pandemia durante i quali la scuola è stata considerata come l’ultima ruota del carro e gli alunni un insignificante ingranaggio di un sistema vecchio e malandato.

«Le sanzioni sono state esagerate e generiche», racconta il padre di un ragazzo sospeso per due settimane. «Su circa 200 studenti che nel liceo di mio figlio hanno portato avanti l’occupazione, in 15 hanno ricevuto una comunicazione dal dirigente scolastico. Lettere tutte uguali da cui non si capisce neanche bene quali siano i motivi dei provvedimenti». Nello Statuto delle studentesse e degli studenti, da cui originano i regolamenti di ogni istituto, si parla di responsabilità personale dello studente e non di gruppo o generica, di proporzionalità della sanzione e della sua finalità educativa. «Il temporaneo allontanamento dello studente può essere disposto solo in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari, per periodi non superiori ai quindici giorni», recita infatti una parte del documento. «In che modo allontanare dalla scuola ragazzi che per mesi hanno sofferto l’isolamento, la mancanza di socialità e hanno grosse lacune nell’apprendimento può essere utile alla loro formazione?», si chiede il genitore dello studente sospeso. Ma l’Usr, invece di aprire al dialogo, nei fatti ha serrato le porte al confronto.

Anche per Francesca, madre di una studentessa del Liceo statale Terenzio Mamiani la reazione dei presidi è stata eccessiva. Nella classe della figlia gli alunni si sono stretti attorno a quello che la dirigente scolastica aveva identificato come il «colpevole dell’occupazione». «Si sono autodenunciati e assunti le loro responsabilità. Ho trovato questo gesto maturo. Non ho intenzione di schierarmi, il mio mestiere adesso è fare il genitore ma credo che gli studenti meritino, finalmente, di essere ascoltati».

Concordano in tanti. Più di cento intellettuali, non soltanto romani perché le proteste si sono propagate anche fuori dalla Capitale, hanno firmato una lettera per fermare il muro che le scuole hanno alzato nei confronti degli allievi. Tra loro, Ascanio Celestini, Christian Raimo, Marta Fana, Alessandro Barbero. «Le occupazioni di queste settimane sono un segnale di allarme generale con cui gli studenti stanno comunicando la propria sofferenza al mondo e alla politica, la risposta non può e non deve essere il pugno di ferro della repressione».

Tra coloro che vorrebbero dialogare con le istituzioni c’è anche P., studente all’ultimo anno del Virgilio che ha partecipato alle occupazioni dello scorso novembre e per questo è stato sospeso. Fa parte della Lupa, scuole in lotta, il movimento nato per coordinare le attività dei singoli collettivi studenteschi e le proteste, i cortei, gli scioperi che negli ultimi mesi hanno contraddistinto gli istituti superiori della città di Roma. «Abbiamo dato subito la nostra disponibilità per ripagare i danni causati durante l’occupazione, principalmente banchi e sedie utilizzati per erigere le barricate. Abbiamo iniziato a risarcire. Non vogliamo danneggiare la scuola ma provare a migliorarla», spiega P. riferendosi a quanto accaduto al liceo Virgilio.

«La preside ci ha chiesto anche di riqualificare l’istituto. Lo faremo ma non cancelleremo i murales che ci rappresentano». A quanto racconta P., la dirigente del Virgilio ha deciso di togliere agli allievi la possibilità di effettuare le gite extra-scolastiche e di amministrare l’auletta autogestita. «Alle richieste di studenti che chiedono spazio la preside ha risposto togliendo ancora più spazio».

Ma i ragazzi non intendono fermarsi. «È tutta una lotta», dice P., ancora senza voce dopo la manifestazione di domenica. Il movimento la Lupa di cui fa parte vuole creare una rete di collegamento nazionale per coordinare le prossime mobilitazioni e ha fissato un nuovo appuntamento, il 5 febbraio. La repressione non è riuscita a fermare la voglia degli studenti di migliorare la scuola.