Il caso
Italiani e gadget fascisti, una passione mai sopita
A cento anni dalla marcia su Roma, Mussolini è ancora tra noi. Nonostante gli interventi di alcuni comuni per limitarne il commercio online è un fiorire di prodotti: dalle tazze ai medaglioni celebrativi
Portachiavi, accendini, busti, bandiere e t-shirt con i più famosi motti fascisti rimangono tra le grandi passioni degli italiani. Un mercato di feticismi che non conosce crisi e con un catalogo in continuo aggiornamento. Nonostante nel tempo siano stati molti i comuni a emanare ordinanze ad hoc contro il commercio di simili chincaglierie, il grosso del commercio oggi si è spostato sul web.
Con semplici ricerche sui più grandi negozi online ci si può portare a casa tazze con il faccione del Duce, t-shirt con stampate il motto “me ne frego”, bandiere fasciste e tante altri oggetti che non possono mancare nel campionario del giovane balilla. C’è anche un sito di e-commerce mussolini.net che in apertura recita “Predappio tricolore, Duce sei sempre nel mio cuore” dove è già acquistabile il calendario 2023 con foto inedite di Mussolini, maglie, body per bambini e tra gli articoli più venduti ci sono: mascherina rigorosamente nera con stampato il sempre verde “boia chi molla”; bustine di zucchero con slogan fascisti, bandiere naziste, bocce di sangiovese che sull’etichetta riportano il duce ritratto nelle sue pose più famose. Ovviamente come ogni sito di commercio online non mancano promozioni riservate per chi si iscrive alla newsletter. Pezzo forte della collezione è un medaglione di bronzo da 200 grammi per celebrare la marcia su Roma. Pezzo esclusivo, scrivono.
Così a cento anni dalla marcia su Roma, Mussolini è ancora tra noi e l’Italia si appresta ad avere il primo governo chiaramente di destra da allora. Una ricorrenza che si rimpolpa di simboli, nonostante i maldestri tentativi di qualcuno di prendere le distanze.
La seconda carica dello Stato, si chiama Ignazio Benito Maria La Russa, elemento spesso omesso, ma che connota una certa affinità con il tema in oggetto. Così l’idea che rimuovendo il ritratto di Benito Mussolini dalla galleria dei ministri al Ministero dello Sviluppo Economico sembra un po’ una foglia di fico, giudicando che l’intero palazzo che ospita il Mise è di epoca fascista e porta ancora l’incisione “Palazzo delle Corporazioni”. Insomma non che si debba demolire, ma togliere un quadro (che tra l’altro vedono in pochi) sembra davvero un’uscita poco azzeccata. E poi, dopo anni passati alla guida del Mise, Giancarlo Giorgetti si è accorto solo ora che sta andando via, di quella presenza scomoda? E ancor più Pier Luigi Bersani che solo pochi giorni fa ha chiesto che sia tolta la sua di foto, se accostata a quella del Duce. Anche lui non si era accorto? C’è chi in questa fase sta cercando di rifarsi una verginità politica per scansare da sé quella che è una preoccupazione, ovvero che certi bollori rimasti finora sommersi, possano trovare di nuovo spazio per liberarsi anche nelle forme più estreme. Come dimenticare l’assalto alla Cgil da parte di gruppi di estrema destra che si è consumato solo un anno fa?
Ma quella dei simboli è una questione importante che viene affrontata in maniera diversa. Perché se è di qualche giorno fa la questione del quadro, ogni tanto il problema si ripresenta. Per esempio, c’è chi rispetto alla rimozione preferisce la spiegazione. Si tratta dell’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini che lo scorso aprile in un evento a Palazzo Venezia ha svelato un aneddoto. Per molto tempo i pavimenti del piano nobile erano coperti da lunghi tappeti. Arrivato lì poco dopo la sua nomina a ministro chiese il perché di tali coperture e l’allora Direttore del museo spiegò che era per coprire i simboli fascisti, aquile e fasci, rappresentati in quelle che una volta ospitavano le sale e gli uffici del Duce. Oggi sono tornati visibili, perché secondo il ministro quella pagina fa parte della storia di quel palazzo e coprire non avrebbe senso. Meglio spiegare.
Certo nel salone d’onore del Coni, c’è un affresco (12x13 metri) intitolato “Apoteosi del fascismo” di Luigi Montanarini realizzato in pieno Ventennio, raffigura un Mussolini statuario che arringa la folla affiancato dal Gran Consiglio e circondato dai simboli dell’Impero. Un pugno nello stomaco per chi ancora crede che questa sia una Repubblica antifascista. Il salone dove si celebrano gli eventi e le presentazioni più importanti, sono svolti sotto gli occhi attenti del Duce. Impossibile non vederlo. Solo gli Alleati entrati a Roma nel 1944 ebbero il buonsenso di coprirlo con un panno che rimase lì fino al 1997, quando si decise di restaurare tutto per restituirlo al pubblico delle grandi occasioni.
Ma d’altronde tutto assume le tinte del folklore se si pensa che la nipote di Mussolini è ospite di programmi in prima serata il sabato sera, mentre non risultano simili apparizioni dei nipoti di Hitler in Germania. Perché dopo quelli del Duce, ci sono gli slogan popolari a contribuire alla rimozione. Tipo il sempiterno “ha fatto anche cose buone”. Quel pezzo di storia è inglobato perfettamente nella distrazione italica, salvo poi tirarla fuori quando c’è il pericolo concreto che stia prendendo il sopravvento. Anche perché dopo la manifestazione antifascista di un anno fa, le forze politiche sul tema si sono eclissate, salvo ritirarlo fuori in campagna elettorale. Strategia che si è rivelata deboluccia, visti i risultati. Come è paradossale che una nota enoteca dirimpettaia del Ministero dell’Interno, l’organo che dovrebbe vigilare sull’ordine pubblico, esponga in vetrina bottiglie di vino chiamate “Il Duce” e “Hitler” con tanto di foto. Insomma, tra la beffa e la provocazione rimangono lì.
Ma sono anni che nonostante le leggi nazionali, le amministrazioni lottano contro ogni forma di revanscismo. Solo due anni fa, il comune di Firenze ha innalzato le sanzioni amministrative da 25 a 400 euro verso chi nel centro storico di Firenze vendeva souvenir ispirati al fascismo e al nazismo. Simili atti sono stati varati dal Comune di Bologna, ma anche dalla regione Emilia Romagna dove una risoluzione impegna l’ente a “intervenire nelle sedi opportune affinché il reato di apologia del fascismo sia esteso anche alla vendita e diffusione di gadget e oggetti con immagini del regime fascista e nazista e venga inserito nel codice penale”.
La Lega e le altre forze di centrodestra si opposero all’atto dicendo che avrebbe danneggiato i commercianti di Predappio. Queste cianfrusaglie di dubbio gusto fino al 2017 si trovavano anche all’interno del Museo Tecnico Navale a La Spezia. In particolare si trattava di una serie di ricordini della Decima Mas, il battaglione che dopo si alleò con i tedeschi contro l’avanzata degli americani. La Marina Militare dopo una querelle iniziata a livello regionale, decise che era ora di chiudere i battenti del merchandising del museo. Per gli appassionati del filone molto si trova ancora in vendita su e-bay.
Ovviamente vendere questo tipo di souvenir non è entrata tra le fattispecie del codice penale e quindi questi sono atti solo di indirizzo. Tuttavia, la polizia locale può elevare multe come accadde nel 2015 ad un barista di Bergamo che si becco 2500 euro di ammenda per aver venduto degli accendini con il Mandibolone. Le cronache ci dicono che il commerciante non solo non pagò la multa, ma sul bollettino dei vigili scrisse “me ne frego” postandolo sui social. Qualche tempo fa, in una nota catena di supermercati a Forlì, nello scaffale dei giornali fece capolino l’immancabile calendario del Duce, cosa che fece scalpore e costrinse la direzione a scusarsi. Ma quante volte nelle nostre edicole abbiamo visto Mussolini e Padre Pio spalla a spalla a contendersi il primato del calendario più venduto? È una sfida che va avanti da decenni quella tra il diavolo e l’acqua santa. A questo punto, nostalgici o no, a cento anni dalla marcia su Roma, non ci resta che sperare che il treno passi in orario...