Se non verrà revocato entro il 2 novembre sarà prorogato in automatico a febbraio per altri tre anni. Le associazioni chiedono che si interrompa l’accordo promosso da Marco Minniti nel governo Gentiloni

«Non un memorandum, ma un atto di terrorismo internazionale». L’accordo siglato tra Italia e Libia nel 2017 viene così definito da Yambio David Oliver, attivista che ha guidato la protesta che si è tenuta tra ottobre 2021 e gennaio 2022 a Tripoli. Venticinque anni, da quattro mesi in Italia, la voce fiera di Yambio si somma a quella di 40 associazioni, tra cui Arci, Amnesty International, Open Arms, che chiedono al governo di annullare il Memorandum tra Italia e Libia promosso cinque anni fa da Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo Gentiloni.

C’è tempo fino al 2 novembre. Se entro quella data l’esecutivo non dovesse prendere iniziative, l’accordo, per la seconda volta, si rinnoverà automaticamente il 2 febbraio 2023 e sarà effettivo per altri tre anni.

Tre anni durante i quali l’Italia continuerà a finanziare la guardia costiera libica, le fornirà materiali e provvederà alla formazione dei suoi componenti. Come non ha mai smesso di fare. Solo pochi giorni fa sono state inviate 14 imbarcazioni veloci per intercettare migranti, una commessa aggiudicata per 6 milioni e mezzo di euro. Sempre in virtù del Memorandum, una nave italiana continuerà a stazionare nel porto di Tripoli e a dirigere quelle che la versione ufficiale definisce come “operazioni di salvataggio”.

Dal 2017 a oggi sono oltre 85mila le persone - donne, uomini, bambini - che, intercettate in mare dalla guardia costiera libica, sono state riportate a Tripoli. Respinti «per conto dell’Italia ma non in suo nome», dice Matteo De Bellis di Amnesty International intervenendo alla conferenza stampa indetta dalle associazioni che chiedono l’interruzione del Memorandum.

Un modo per raggirare la sentenza Hirsi con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo dichiarò illegittimi i respingimenti operati dall’Italia nel Mediterraneo durante il 2009. C’è un elemento, infatti, che nel diritto internazionale definisce un salvataggio in mare, ed è il fatto che questo si concluda con l’approdo in un porto sicuro.

Difficile, però, poter considerare tale la Libia. De Bellis spiega che gli «ultimi rapporti di Amnesty International mostrano come le persone riportate in Libia con l’aiuto dell’Italia vengano sottoposte a violazioni e abusi di ogni tipo, tra cui uccisioni, torture e altri maltrattamenti. Detenzioni arbitrarie a tempo indefinito, lavori forzati, estorsioni e sfruttamento. La lista di violazioni è documentata sistematicamente. In Libia, poi, le persone non hanno possibilità di chiedere protezione internazionale. Ci troviamo di fronte a una situazione nella quale nonostante gli abusi, Stati e istituzioni europee continuano a supportare economicamente Tripoli. Sono politiche per le quali non deve sfuggire la responsabilità dell’Italia».

Non è solo nelle persone che vengono riportate in Libia il segno delle conseguenze del Memorandum firmato da Gentiloni e mai messo in discussione dai successivi governi. Contemporaneamente alla definizione di un’area di intervento della guardia costiera libica si è assistito a una sempre maggiore difficoltà di operare da parte delle organizzazioni umanitarie di salvataggio. Chiara Denaro di Alarm Phone, un gruppo di volontari che gestisce un contatto di emergenza di supporto per le operazioni di recupero, racconta della prima volta in cui, nel 2017, la guardia costiera italiana rispose a una loro segnalazione dicendo di rivolgersi agli omologhi libici.

Negli anni i volontari hanno potuto documentare una «serie di manovre pericolose» effettuate da parte della guardia costiera libica, «dall’uso di armi da fuoco alla violenza fisica sulle persone, a manovre in mare per intercettare barche che mettevano a rischio quelle barche. Tutta una serie di operazioni che non mostrano alcun riguardo per la tutela della vita umana. A noi le persone al telefono raccontano il loro timore di essere riportate in Libia, ci dicono di preferire la morte».

Anche Valentina Brinisi di Open Arms riporta la stessa difficoltà da un altro punto di vista, quello di chi sta in prima linea in mezzo al mare e si trova ad essere spesso esposto al pericolo di avere a che fare con un corpo «di cui non si conosce la composizione. Quando sei di fronte la guardia costiera libica non sai davvero con chi hai a che fare».

Il rinnovo del Memorandum Italia-Libia significa il perpetrarsi di questo meccanismo ipocrita per cui l’Italia formalmente non si macchia di atti contrari al diritto internazionale, ma finanzia chi lo fa per lei. Un’ipocrisia la cui banalità si manifesta chiara nelle emozioni che Yambio David Oliver dice di provare nei confronti dell’Italia. parole che Yambio David Oliver . «Dolore» e «vergogna». Di fronte a un «Paese che dice di avere un grande riguardo per i diritti umani e allo stesso tempo causa terrorismo». Pur sapendo cosa succede in Libia perché «tutto è stato documentato e presentato ai governi italiani ed europei, le violenze che sono state commesse contro di noi, in Libia».