Sono state installate a Napoli per controllare i connazionali dietro il paravento di centri servizi. Rimpatriati senza estradizione uomini e donne in fuga dal regime e ricercati ufficialmente perché corrotti. Costretti a rientrare in Cina sotto ricatto

A Napoli alcuni agenti cinesi sotto copertura avrebbero installato delle telecamere per sorvegliare il territorio cittadino. È uno dei dettagli più inquietanti emersi dopo l’esclusiva che L’Espresso ha pubblicato domenica 4 dicembre in cui si svela come la Cina sia riuscita a sfruttare alcuni accordi stipulati con l’Italia per costruire una rete di stazioni di polizia non ufficiali sul territorio italiano.

 

Le evidenze dell’esistenza di questo sistema di telecamere sono state fornite dalla Ong spagnola Safeguard Defenders, che lunedì ha pubblicato un ampio report intitolato Patrol and persuade – Pattugliare e persuadere. Il sistema sarebbe stato installato all’interno di un’area residenziale abitata in prevalenza da cittadini cinesi, con tutta probabilità con funzione deterrente nei confronti di atti di criminalità. Un fatto molto grave e lesivo dei più essenziali principi di sovranità territoriale.

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Il riconoscimento facciale
Il governo cinese è noto per il suo ampio utilizzo di telecamere a riconoscimento facciale, per le quali negli ultimi anni ha stanziato fondi per 210 miliardi di dollari, maggiori rispetto a quelli stanziati per le forze armate e in generale il mantenimento di tutto l’apparato militare.

Queste telecamere “intelligenti” sono in grado di riconoscere l’identità delle persone riprese grazie a un software di intelligenza artificiale agganciato a enormi database di persone. Se ne sono registrati degli utilizzi a scopo preventivo – come ad esempio nel caso del Casinò Venetian di Macao, noto per le operazioni di riciclaggio di denaro sporco – ma anche repressivo. Il caso più noto in assoluto è quello degli uiguri, minoranza musulmana cinese oggetto di durissime repressioni da parte di Pechino, che utilizza telecamere simili per individuare e stanare i soggetti da colpire.

Alcune inchieste di Wired avevano già dimostrato l’esistenza e mappato la vasta rete di telecamere cinesi in Italia, anche all’interno di strutture sensibili come le sedi dell’amministrazione pubblica. Si trattava di sistemi installati da società private a forte rischio di connivenza col regime, e per questo anche inserite in black list dagli Stati Uniti. Ma gli ultimi aggiornamenti sembrerebbero aprire allo scenario ben più inquietante di telecamere installate direttamente da Pechino senza alcun consenso da parte delle autorità italiane.

 

I tentacoli internazionali
La questione delle telecamere di Napoli si innesta nel più ampio contesto della rete clandestina di stazioni di polizia cinesi sparse in tutto il mondo. Ben due località hanno fatto partire il progetto proprio dall’Italia con le stazioni di Milano, definite dalle stesse autorità cinesi come “progetti pilota”. Ad oggi le stazioni di polizia d’oltreoceano sono più di cento, sparse in tutto il mondo. Tra i Paesi colpiti anche Regno Unito, Canada, Portogallo, Paesi Bassi e Stati Uniti. Tutti Paesi in cui la reazione alla notizia è stata durissima, con indagini aperte dalle unità antiterrorismo o per la sicurezza nazionale.

Mentre in Italia Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno nel momento in cui a settembre per la prima volta si seppe dell’esistenza di simili stazioni, ha preferito commentare affermando che ciò «non destava particolare preoccupazione».

Tuttavia alcuni dei documenti citati da Safeguard Defenders indicano come la Cina abbia dichiaratamente utilizzato gli accordi stipulati con l’Italia per penetrare l’Occidente. Abbiamo provato a domandare a Viminale e Farnesina perché gli accordi siano stati prima firmati e poi rinnovati nonostante la pubblicità di questi documenti, ma nessuno ha fornito una risposta.

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Non solo accordi con l’Italia
Gli accordi sotto accusa sono stati firmati dall’Italia tra il 2015 e il 2017. Uno di questi riguarda dei pattugliamenti congiunti di poliziotti italiani e cinesi che si sono svolti sul territorio italiano tra il 2016 e il 2019. Nonostante alcune fonti abbiano raccontato a L’Espresso che all’epoca al Viminale si respirava aria di «semplice accordo pro forma», utile più all’immagine che alla sostanza, alcuni dei documenti visionati da L’Espresso dimostrano che secondo la Cina è proprio grazie a questi accordi che si è riusciti a installare le prime stazioni segrete di polizia in Italia.

Tra il 2018 e il 2019 la Cina ha siglato patti simili anche con la Croazia e la Serbia (la prima membro Ue, la seconda Paese candidato dal 2012). I pattugliamenti congiunti sono iniziati in particolare a Zagabria, capitale croata, dove a luglio scorso alcuni agenti cinesi hanno iniziato a lavorare fianco a fianco dei colleghi croati. Attività simili sono partite anche a Belgrado, capitale serba, e in Sud Africa, dove già da vent’anni alcuni accordi bilaterali hanno portato alla nascita di strutture chiamate “centri servizi cinesi d’oltreoceano”, che però – precisa il consolato cinese – «sono solo centri culturali con nessun potere di polizia».

 

Sorveglianza e persuasione
Nei resoconti delle autorità cinesi già riportati in “110 Overseas” a settembre si legge che tra gli obiettivi delle stazioni d’oltreoceano vi sono quelli di aiutare la popolazione cinese all’estero e di monitorarne l’opinione pubblica. Con toni entusiastici si afferma anche che grazie alle attività delle stazioni è stato reso possibile il rientro in Cina di alcuni «fuggitivi», cioè persone che si nascondevano dal regime.

Il termine utilizzato più di frequente è quello della «persuasione al ritorno». I fuggitivi cioè non vengono riportati attraverso l’estradizione – quasi mai concessa nei confronti della Cina alla luce del mancato rispetto dei diritti umani – ma attraverso pratiche extragiudiziali che tra l’altro prevedono le minacce nei confronti dei parenti rimasti in patria.

Tutto è iniziato con l’operazione FoxHunt – caccia alla volpe -, che il governo cinese ha avviato nel 2014 proprio con l’obiettivo di stanare i fuggitivi e riportarli in patria «con qualsiasi mezzo necessario». E grazie alla rete di stazioni aperte in primis in Italia Pechino riesce sempre di più ad esportare questo suo sistema di terrore politico nel mondo intero.