La cronologia

L’Italia e il nucleare, dal primo impianto ai referendum: storia di un rapporto complicato

di Emanuele Coen   11 aprile 2022

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Le cinque centrali, il movimento antinuclearista, l’abrogazione dopo Chernobyl nel 1987, e dopo Fukushima nel 2011. Cronologia dell’atomo nel nostro Paese

C’è stata un’epoca, il lontano 1966, in cui l’Italia era il terzo produttore al mondo di energia elettronucleare, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Un record difficile da mettere a fuoco con le lenti di oggi, dopo i due referendum che nel 1987, all’indomani del disastro di Chernobyl (1986), e poi nel 2011, dopo quello di Fukushima, hanno messo la parola fine al nucleare nel nostro Paese, che oggi impiega combustibili fossili per oltre la metà del proprio fabbisogno e importa dalle nazioni confinanti quote importanti di energia, prodotta anche con impianti nucleari.

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Per ricostruire la complessa e travagliata vicenda dell’energia dell’atomo occorre tornare agli anni Cinquanta, quando l’Italia, non avendo le risorse energetiche sufficienti per sostenere uno sviluppo industriale autonomo, è uno dei primi Paesi a intraprendere la costruzione di centrali nucleari per produrre energia elettrica. La ricerca italiana è all’avanguardia: nel 1959 viene costruito il primo reattore di ricerca a Ispra (Varese), mentre la prima centrale viene realizzata a Latina (Borgo Sabotino) nel 1963, la seconda otto mesi più tardi a Sessa Aurunca, vicino a Caserta (Garigliano), e dopo meno di un anno l’impianto di Trino, in provincia di Vercelli, al momento della sua entrata in funzione il più potente al mondo. Per la quarta centrale, quella di Caorso (Piacenza) bisognerà aspettare il 1978, quando viene collegata per la prima volta in parallelo con la rete di distribuzione dell’energia elettrica. Nel 1982, infine, viene messo in cantiere l’impianto di Montalto di Castro (Viterbo), mai entrato in funzione.

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Anni di crescita tumultuosa, gli anni Sessanta del boom economico, in cui lo sviluppo del nucleare di Stato coincide con la nascita dell’Ente nazionale per l’energia elettrica (Enel), che diventa oggetto di scontro politico, pro o contro la nazionalizzazione del settore. «Una faida tra i politici che spianerà la strada all’importazione massiccia di idrocarburi e costituirà un forte freno allo sviluppo dell’industria nucleare di Stato e ai relativi programmi di ricerca italiani», sottolinea Flavio Parozzi nel libro “Gli anni dell’atomo – Storia dell’industria elettronucleare in Italia “(Biblion edizioni). In particolare, Parozzi ricostruisce la vicenda giudiziaria che vede al centro Felice Ippolito, segretario generale del Cnen (Comitato nazionale energia nucleare), avversato dai produttori privati di energia elettrica, contrari alla nazionalizzazione del settore, caldeggiata invece da Ippolito, che viene nominato tra i consiglieri dell’Enel.

 

Nel 1963 una commissione di indagine avviata da quattro senatori democristiani mette nel mirino la gestione le attività del Cnen sotto Ippolito, che viene arrestato il 3 febbraio 1964 per presunte irregolarità amministrative e accusato di aver utilizzato ingenti somme di denaro pubblico senza previa autorizzazione parlamentare. Ippolito verrà condannato in primo grado a 11 anni di reclusione per peculato, pena ridotta a 5 anni e 3 mesi in Appello, e poi graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Con l’inaugurazione della quarta centrale italiana, a Caorso, nel 1981, si conclude il ciclo espansivo del nucleare. Nello stesso anno viene approvato dal Parlamento il Piano energetico nazionale (Pen), inizialmente pensato per la realizzazione di 20 reattori, piano poi ridimensionato a sei.

 

Nel frattempo, a partire dal 1977 prende piede il movimento antinucleare: a Montalto di Castro si organizza la Festa della vita contro la costruzione della centrale, alla quale parteciperanno gruppi da ogni parte d’Italia. Appaiono gli stemmi con il sole che ride e la scritta “Nucleare? No grazie”. Tra gli animatori dell’evento centinaia di uomini e donne che daranno vita, qualche anno dopo, a Legambiente. In seguito all’incidente di Three Miles Island, in Pennsylvania, dove il 28 marzo 1979 si verifica il più grave disastro di un reattore occidentale, scendono in piazza a Roma 40mila persone e qualche anno più tardi, dopo l’esplosione del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl (all’epoca in Unione Sovietica, oggi in Ucraina), il 26 aprile 1986, la più grave catastrofe nella storia del nucleare civile, Legambiente promuove a Roma la manifestazione “Stop al nucleare”, il 10 maggio, a cui partecipano oltre 200mila persone.

 

I rischi connessi all’installazione di centrali nucleari scuotono l’opinione pubblica. Sull’onda di Chernobyl, con il referendum dell’8 novembre 1987 la maggioranza degli italiani vota Sì abrogando una serie di norme e orientando le successive scelte dell’Italia in campo energetico. Di fatto, con l’80 per cento dei voti (il 65 per cento degli aventi diritto alle urne) il referendum sancisce l’abbandono del nucleare come forma di approvvigionamento energetico.

 

Ventidue anni dopo, nel 2009, il governo italiano propone il rilancio delle attività propedeutiche alla produzione elettronucleare – vengono siglati anche due accordi internazionali per la costruzione complessiva di otto reattori - ma due anni più tardi (11 marzo 2011), dopo il disastro nucleare di Fukushima, in Giappone, un nuovo referendum pone ancora una volta fine all’energia nucleare in Italia. Fino al dibattito che si è riacceso nelle ultime settimane sulla dipendenza del nostro Paese dalle fonti energetiche fossili e l’opportunità di trovare fonti alternative.