Nell’istituto Alpi-Levi di Napoli da lei diretto, studiano 1.300 bambini, di cui 300 nomadi. E la scuola diventa un rifugio per chi vuole sfuggire a un destino già segnato. Tra classi aperte, lezioni pomeridiane, scambi tra culture

Le Vele, gli alloggi popolari costruiti tra il 1962 e il 1975 dall’architetto Franz Di Salvo, si vedono molto bene dalla finestra della scuola Alpi-Levi di Scampia. Per chi arriva da un altro quartiere di Napoli è difficile non fermarsi a guardarle: grazie alle lenzuola appese alle finestre, si riescono anche a distinguere gli appartamenti abitati da quelli vuoti. «Ora ci vivono alcune famiglie dei miei studenti rom. Quando me lo raccontano è come se parlassero della Reggia di Capodimonte», spiega la preside Rosalba Rotondo. Ha lo sguardo fiero, di chi sa quant’è stato faticoso arrivare fin qui e quanta strada bisogna ancora percorrere.

 

Tutti a Scampia conoscono Rosalba, la sua scuola negli anni è diventata un rifugio per chi scappa da un destino già disegnato, e un esempio per chi crede che educare e insegnare l’integrazione in un quartiere così complesso sia possibile. Rosalba considera l’istruzione una condizione indispensabile per l’emancipazione. Da piccola guardava ogni sera assorta le lezioni del maestro Alberto Manzi, in onda sulla Tv dei Ragazzi.

Prima di diventare preside dell’istituto Alpi-Levi nel 2007, Rosalba è stata per 23 anni professoressa di italiano. Quando passò il concorso e scelse di insegnare a Scampia, la famiglia provò in tutti modi a convincerla che non era il luogo più adatto dove poter svolgere quella professione: erano preoccupati, perché Scampia, soprattutto in quegli anni, faceva paura. Era la parte di Napoli che i napoletani volevano nascondere e che invece tutto il mondo stava iniziando a conoscere. Scampia ora sembra diversa ma ancora profondamente abbandonata a se stessa.

 

Prima di arrivare all’edificio principale dell’Alpi-Levi, bisogna percorrere una strada costeggiata dagli alberi. Potrebbe essere un’oasi, ma i rifiuti ricoprono quasi completamente il prato. «Dove lo trovi tutto queste verde in città? È un peccato che sia ridotto così», commenta Luigi: è tra i collaboratori più fidati di Rosalba. Abita a Scampia da anni, dice di essere fortunato perché il suo appartamento è in uno stabile molto bello.

 

All’Alpi-Levi studiano circa 1.300 bambini: è un istituto comprensivo con elementari, medie e scuole dell’infanzia. Rosalba è stata tra le poche presidi che ha incoraggiato le famiglie rom a iscrivere i propri figli a scuola. «Oggi sono circa 300», racconta. L’edificio in cui vengono svolte le lezioni della scuola materna e primaria dista pochi metri dal campo rom in cui abita la maggior parte delle famiglie, in via Cupa Perillo. È difficile stabilire quante persone ospiti, sicuramente qualche centinaio. La zona è circondata dai rifiuti: guardandolo da lontano, ci si chiede quale essere umano possa sopravvivere in queste condizioni. Forse anche per questo motivo chi ha potuto è fuggito alle Vele.

I rom sono arrivati a Scampia intorno agli anni Ottanta da alcune zone dell’ex Jugoslavia. Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia ci sono tra le 110mila e le 170mila persone che si identificano come rom. La parola rom viene spesso usata in modo improprio per indicare diverse popolazioni, originariamente nomadi ma ormai per lo più stabili, accumunate dall’uso della lingua romanì.

 

Tra i Paesi europei, l’Italia è la nazione che ha avuto più problemi a gestire e accogliere queste popolazioni. La maggior parte dei rom vive ancora oggi in campi formali o informali in cui le condizioni abitative sono pessime e gli incendi sono all’ordine del giorno. Le più grandi baraccopoli informali sono concentrate in Campania. A queste condizioni, immaginare un percorso di integrazione non è facile: Rosalba ne è consapevole, ma crede che si debba partire «dall’istruzione» per poter cambiare la situazione attuale. «La malizia è degli adulti».

 

All’Alpi-Levi non sono iscritti soltanto i bambini e le bambine rom del campo di Scampia, la preside nel 2019 ha aperto le porte anche alle famiglie di Giugliano, perché «lì non li volevano: è un comune troppo ricco». All’Alpi-Levi invece sono stati creati dei percorsi integrati di «etno-pedagogia» e per garantire agli allievi di inserirsi gradualmente nel contesto scolastico sono state organizzate delle lezioni pomeridiane. In questo modo, anche gli studenti rom di Giugliano hanno potuto recuperare quanto era stato fatto in precedenza. Passo dopo passo, gli alunni imparano a conoscere la cultura dei loro compagni di banco: quando c’è un’occasione speciale intonano l’inno di Mameli e quello della comunità rom “Gelem-Gelem”, che tradotto significa “Camminare-Camminare”.

 

«Noi abbiamo conosciuto la loro tradizione e loro la nostra». Per creare quest’offerta formativa Rosalba, insieme ad altri docenti, ha seguito alcuni corsi all’Istituto degli Innocenti di Firenze, che aderisce dal 2013 al progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei rom. Dice che è «stata una delle esperienze più belle che le siano mai capitate».

 

Il problema della scolarizzazione dei bambini e delle bambine rom è una questione complessa, che riguarda le scuole e le istituzioni politiche. Da tempo alcune associazioni di volontariato, come Sant’Egidio, denunciano le difficoltà che le famiglie devono affrontare per poter mandare i propri figli a scuola. Spesso le iscrizioni vengono rifiutate: gli altri genitori hanno paura, i docenti non sanno come approcciarsi. Alla riluttanza dei rom si aggiunge quella dei cittadini di origine italiana, i “gagè”, come li chiama la popolazione rom. «Devono studiare l’italiano, imparare la Costituzione, altrimenti come si integrano?», si chiede Rosalba.

Anche le scelte del governo non hanno migliorato la situazione. Tra il 2008 e il 2009 fu approvato il decreto sicurezza dell’allora ministro degli Interni Roberto Maroni che prevedeva un censimento per la popolazione Rom. L’iniziativa suscitò le critiche dell’Unione Europea e dell’Onu.

 

«In quegli anni molti genitori volevano iscrivere i figli a scuola. Avevo la fila fino all’Asse Mediano. Mi sono detta: è una realtà nuova ma va affrontata», racconta la preside. Si è rimboccata le maniche ed è andata avanti. «Con quel decreto a Scampia è stato investito un milione di euro per ripulire il campo, ma non si sa che fine abbia fatto», puntualizza. Anche l’Unione Europea negli anni ha stanziato diversi fondi per la stabilizzazione delle popolazioni “nomadi”, molte risorse però non sono state spese e sono tornate a Bruxelles.

 

All’Alpi-Levi con il trascorrere degli anni il progetto educativo è diventato sempre più strutturato. Oltre ai percorsi di integrazione, nell’istituto sono garantiti laboratori musicali, teatrali e di sartoria. Rosalba mostra con fierezza i vestiti da sposa cuciti dalle sue alunne. Ridendo dice: «Una volta mi hanno anche fatto sfilare». Queste attività sono un appiglio per chiunque viva a Scampia e cerchi di conquistarsi una vita diversa, migliore.

 

Spesso Rosalba è costretta a rinunciare alle sue ambizioni e a scontrarsi con una realtà che è difficile da cambiare. In pochi tra i rom riescono ad arrivare alla terza media e sono ancora meno quelli che decidono di iscriversi alle superiori. Le ragazze, raggiunta una certa età, vengono vendute come spose. Lasciano la scuola improvvisamente e nessuno, almeno all’inizio, sa dove siano: i docenti si informano, chiedono e quando possono intervengono.

 

«Guarda che bella questa palestra, abbiamo anche le docce e gli spogliatoi». La palestra dell’istituto Alpi-Levi è stata inaugurata nel 2016 ed è stata intitolata a Ciro Esposito, il giovane napoletano ucciso a Roma poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina-Napoli, e a Rosa Adzovic, una bambina di due anni residente nel campo rom di Masseria del Pozzo che morì folgorata da un cavo elettrico.

 

Per Rosalba è stato fondamentale riuscire ad aprire questa palestra: quando la visitiamo, è in corso una lezione di ginnastica. Sul muro è appeso un cartellone con la foto di Ciro. «Io lo conoscevo, è stato un dolore tremendo», ricorda. Rosalba tra quattro anni andrà in pensione, con lei forse andrà via anche Luigi, il suo collaboratore. Ma quello che ha costruito non potrà essere facilmente distrutto.

 

La scuola Alpi-Levi, grazie alle attività svolte, è diventata sede del progetto europeo per la tutela della popolazione rom e in particolare delle donne. Rosalba è stata invitata a parlare al Consiglio d’Europa, proprio per presentare i risultati di quello che è stato fatto qui, a Scampia. Dice di essere emozionata come il giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella le consegnò l’onorificenza al merito. Nella motivazione c’è scritto: «Per la sua totale dedizione alla formazione delle giovani generazioni all’insegna della tutela del diritto alla studio e della piena inclusione delle minoranze».