Tanta polizia ma nessuna assistenza, se non quella di Diocesi e ong. Il sindaco di centrodestra è stato sfiduciato, il comune commissariato. E la frontiera è diventata il far west dei trafficanti di uomini

Trascorrono la notte nel greto del fiume e lungo i binari della ferrovia, i migranti che tentano di oltrepassare la frontiera. La mattina si mettono in coda in via San Secondo, accanto alla stazione, davanti ai cancelli della sede di Caritas Intemelia dove i volontari distribuiscono la colazione e i vestiti. Spesso si lavano alle fontanelle dei giardini pubblici. E la sera si radunano sul piazzale di fronte al cimitero, dove associazioni francesi si danno il cambio per portare loro la cena. È diventata un grande accampamento, Ventimiglia: la Lampedusa del Nord, imbuto d’Europa dove si sommano e si infrangono tutte le storture delle politiche migratorie, dal Trattato di Dublino ai decreti sicurezza.

 

Ma oggi Ventimiglia è soprattutto una terra di nessuno. Perché la presenza dello Stato si percepisce per la concentrazione delle forze di Polizia, ma non esiste più alcun servizio di assistenza e di accoglienza formale per i migranti in transito, neppure per i minori stranieri non accompagnati e le famiglie con bambini: a supplire restano la Diocesi e le organizzazioni umanitarie, come Save the children che ha allestito due tendoni negli spazi gestiti dalla Caritas. Il centro di accoglienza della Croce rossa, il Campo Roja, è stato smantellato ormai due estati fa. E adesso anche l’amministrazione è implosa: il Comune, infatti, da giugno è commissariato.

MICHELE LAPINI

L’ex sindaco Gaetano Scullino, che con la sua lista civica sostenuta da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega aveva vinto le elezioni promettendo «mai più degrado», è stato sfiduciato dalla stessa maggioranza e ora gli è subentrato il commissario prefettizio Samuele De Lucia, ex capo di gabinetto di Massa e Carrara. È qui, alla frontiera che «continua a essere uno dei posti peggiori per un migrante», come spiega l’ultimo rapporto di Save the children, «un cono d’ombra dei diritti umani e una zona di affari per i trafficanti», che Matteo Salvini ha rivolto lo sguardo in campagna elettorale. Dopo la visita all’hotspot di Lampedusa, ha acceso i riflettori, dopo «l’ennesima maxi rissa tra clandestini»: i vecchi slogan sull’immigrazione tornano a scandire la sua corsa.

 

Si mettono in coda la mattina presto, i migranti, nell’aria già rovente davanti ai cancelli di via San Secondo 20. È qui che gli operatori della Caritas distribuiscono la colazione e hanno riaperto il servizio mensa, ma soprattutto rappresentano un punto di primo approdo. L’associazione WeWorld e Diaconia Valdese danno assistenza legale, e chi ha bisogno di un medico viene indirizzato al servizio sanitario. Dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 11, si raccolgono donazioni di vestiti puliti e in buono stato.

MICHELE LAPINI

Ma è la notte, il problema. «Facciamo miracoli, le istituzioni ci hanno totalmente abbandonato. Per dare un riparo ai migranti, la Diocesi ci ha messo a disposizione due alloggi a Ventimiglia alta: i posti, in teoria, sono una dozzina. In pratica, l’altra sera c’erano persone accampate anche nei corridoi», sintetizza Maurizio Marmo, operatore della Caritas di Ventimiglia.

 

A luglio, la Caritas ha assistito 496 migranti: tra loro, 392 uomini, 70 donne e 34 minori soli. Quanto all’accoglienza temporanea, «in tutto il mese abbiamo ospitato cinquantotto persone, tra cui venti bambini». Poi c’è la consulenza di strada: perché a dormire all’aperto, per terra o su materassi di fortuna, ogni notte sono in media più di cento. «Andiamo dove sappiamo di trovarli: lungo i binari, sul piazzale, accanto al fiume. Portiamo coperte, chiediamo di cosa hanno bisogno», continua Maurizio Marmo.

 

A luglio i migranti raggiunti sono stati 282: arrivavano da Sudan, Tunisia, Eritrea, Afghanistan. Ma la vita per strada lascia il segno: altri traumi, che si sommano alle ferite del viaggio. Spiega Marmo: «Alcuni hanno iniziato a bere, così a ottobre abbiamo aperto un alloggio dedicato ai più fragili, la Asl ci aiuta nella presa in carico. In questo momento ospitiamo quattro ragazzi. Ma i posti necessari sarebbero molti di più».

La differenza rispetto a quando era aperto il Campo Roja, ripetono gli operatori, è che adesso è più difficile intercettare i migranti e dare informazioni: anche metterli in guardia rispetto ai pericoli del viaggio. Sono ancora numerosi quelli che si arrampicano sui tetti dei treni, che si infilano negli anfratti delle motrici, che percorrono l’autostrada a piedi. La sede della Caritas è tappezzata di cartelli che illustrano queste situazioni di rischio: ma non basta. Il 31 gennaio e il 2 marzo due persone sono rimaste folgorate sul tetto del treno da Ventimiglia a Mentone. Il 4 aprile sulla A10, nei pressi di Bordighera, un furgone ha investito due uomini cingalesi fatti scendere da un camion nella vicina area di sosta. Morti di frontiera.

 

«L’anno scorso si era tornato a parlare dell’apertura di un nuovo campo di accoglienza. Era stato anche individuato un luogo, oltre i giardini Hanbury. In realtà non sarebbe stato adatto: troppo lontano dal centro, non abbastanza capiente. Ma poi tutto è rimasto sospeso. E i migranti restano in strada, con tutti i rischi che questo comporta. La polizia francese, poi, continua a fare muro alla frontiera», ripercorre Maurizio Marmo.

MICHELE LAPINI

La Francia insiste nella sospensione del trattato di Schengen: alcuni giorni i respingimenti superano il centinaio, riferisce il secondo rapporto “Nascosti in piena vista” di Save the Children: solo il 6 maggio il team di ricerca ha visto almeno trenta persone tornare a piedi dal confine di Ponte San Luigi. Respinte in modo sommario, senza approfondire i loro diritti, come hanno denunciato associazioni francesi come Anafé e la rete del progetto Cafi. Il risultato è che «sono i trafficanti a farla da padroni, consigliano i treni meno controllati, organizzano il tragitto a piedi lungo il Passo della Morte, con i taxi nelle stradine di montagna o nei camion», prosegue il rapporto.

 

Ma nel grande accampamento di Ventimiglia esistono anche perimetri sicuri. Spazi dove le donne migranti possono prendere fiato, cambiarsi d’abito. Truccarsi, anche. E, per i bambini, ricordarsi cosa significa giocare. Sotto i tendoni di Save the children si cerca di ricreare una bolla di serenità, anche se per poche ore. «La parola chiave è riduzione del danno, siamo presenti sul territorio con un team fisso dal 2018. Nell’ultimo periodo abbiamo esteso il nostro intervento a nuclei con minori e ci focalizziamo sulle giovani donne. Proviamo a offrire una risposta a bisogni primari: materiali, emotivi. E a fornire gli strumenti per chiedere aiuto se durante il viaggio hanno subito violenza», spiega Silvia Donato dell’associazione.

 

Sono circa trenta, le donne che ogni mese passano di qui. Hanno viaggiato sole da Etiopia, Eritrea, Costa d’Avorio, Guinea, Nigeria. E poi ci sono i più invisibili di tutti: i minori soli. In crescita. «A luglio ne abbiamo raggiunti almeno 75, a giugno 120, ma quelli che chiedono di essere inseriti in accoglienza sono pochissimi: perché il loro obiettivo, per lo più, è arrivare nel Regno Unito. Così fanno di tutto per restare sotto traccia. Hanno paura di essere intercettati dal sistema di protezione istituzionale: lo vedono come qualcosa che li trattiene dal proseguire il viaggio», spiega Silvia. I minori che arrivano a Ventimiglia «hanno percorso la rotta balcanica o provengono dalla Libia, hanno ferite alle gambe, ai piedi, per aver camminato per chilometri. Portano segni freschi di torture. E ferite psicologiche, le più difficili da rimarginare», raccontano le operatrici di Save the Children.

 

La Lega, a Ventimiglia, alle Europee prese il 46 per cento. Quando Matteo Salvini si presentò qui nel 2018 riempì il teatro. Il sindaco Pd di allora, il trentenne Enrico Ioculano, si trovò a gestire il picco di sbarchi e la cittadina in subbuglio. Alle elezioni successive, Gaetano Scullino vinse con una lista civica sostenuta dal centrodestra. Oggi è la stessa maggioranza a staccargli la spina accusandolo di «dispotismo», dopo le dimissioni del vicesindaco leghista Simone Bertolucci per protestare contro lo sfascio della locale protezione civile: «Non si poteva proseguire con una maggioranza raccogliticcia e litigiosa, serviva un reset», è stata la dichiarazione-pietra tombale delle segreterie cittadine e provinciali di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.

 

Il reset si chiama Samuele De Lucia, commissario prefettizio. Contattato da L’Espresso, spiega che sta ancora prendendo le misure: «Mi sono appena insediato e i problemi sono quelli che tutti conosciamo, li sto affrontando, consapevole della loro complessità». Intanto, Scullino già scalda i motori in vista delle prossime amministrative nel 2023: annuncia che è pronto a sostenere una federazione di liste civiche. E si dice disponibile a candidarsi anche come consigliere comunale.

 

L’ex sindaco Enrico Ioculano, oggi consigliere Pd all’opposizione in Regione Liguria, si prende la sua rivincita: «In tre anni non è stato fatto nulla, hanno solo smantellato quello che c’era. Sono fenomeni che vanno gestiti: non con gli slogan». A Ventimiglia, intanto, è sera. L’aria è ferma, sul piazzale della stazione l’asfalto ancora ribolle. I migranti, a gruppi, si dirigono lungo il fiume: il loro rifugio per la notte. I volontari si preparano per il giro di ricognizione. Ognuno al proprio posto, si ricomincia.