Si dedicano ai viaggi, finanziandosi con lavori che possono essere svolti da remoto. Ripopolano borghi abbandonati e, intorno a loro, nascono nuove economie e servizi dedicati. «Ma serve una quantità infinita di pazienza e tantissima determinazione»

Vivere da nomade digitale è un bel sogno ed oggi non più soltanto dei giovanissimi: sono sempre di più, infatti, coloro che decidono di trasferire la propria scrivania su una spiaggia esotica sorseggiando Margarita. Chloe Zhao ne ha fatto una storia per gli Oscar con il suo Nomadland, raccontando la vicenda emozionante di una sessantenne che viaggia per l’America a bordo del suo van. Davanti a lei solo grandi spazi e solitudine, un modo alternativo di stare al mondo rispetto al nostro solito, ma anche una tendenza alla fuga, conseguenza naturale della precarietà lavorativa.

 

Vivere senza vincoli fino a poco tempo fa sembrava un’utopia e l’idea di un’esistenza romanzata con zainetto in spalla veniva associata ad un’indole stravagante: un’immagine stereotipata di una realtà rivolta per lo più ai ragazzi, desiderosi di fuggire dal quotidiano e amanti dello svago. Oggi questo lifestyle è diventato sempre più ricercato anche dagli over trenta, bisognosi di trovare una valvola di sfogo verso la ricerca di altre aspettative di vita. A spiegarlo bene è il nomade digitale Gianluca Gotto, che nel suo libro “Succede sempre qualcosa di meraviglioso”, mette su carta i consigli per intraprendere questo nuovo modo di considerare la propria quotidianità.

«Il nomadismo digitale è la possibilità di lavorare in remoto dal proprio computer, mentre si gira il mondo. All’inizio ciò che più mi affascinava non era tanto la prospettiva di lavorare viaggiando, ma la libertà tanto desiderata», spiega l’autore anche attraverso le pagine del suo blog. La maggior parte delle professioni, però, non sono tutte digitalizzabili, quindi, per adattarsi a questo cambiamento è necessario imparare ad osservare il mondo con occhi diversi.

 

«Devi anche rivedere le tue convinzioni e le tue pretese: se cerchi un impiego a tempo indeterminato, con uno stipendio dopo otto ore di lavoro al giorno, non troverai mai niente del genere che ti permetta anche di viaggiare. Diventare nomade digitale richiede grande fantasia, una quantità infinita di pazienza e tantissima determinazione».

 

L’incessante cambiamento culturale e tecnologico ha permesso alle persone di fantasticare e scegliere inedite postazioni di lavoro: c’è chi ha optato per quelle vista mare, chi invece ha deciso di aumentare la produttività in mezzo ad una foresta e chi, ancora, ha scelto la vanlife, una postazione mobile all’interno di un camper ben attrezzato. Così il nomadismo digitale è diventato un vero e proprio “modus vivendi”, coinvolgendo un movimento globale di professionisti, desiderosi di scoprire altre destinazioni e culture, lavorando e guadagnando al tempo stesso, laddove i ritmi sono più lenti ed esiste ancora un valido rapporto intimo con la natura.

«Prima ho vissuto in Australia e poi in Canada. Quando sono tornato da Vancouver, però, mi sono reso conto che quel modo di “lavorare viaggiando” non era sostenibile sul lungo periodo, perché ti impone di fermarti a lavorare in una sola località e solo dopo iniziare a viaggiare con i soldi che hai accumulato. Sarei stato schiavo di visti e datori di lavoro, così ho iniziato a pensare alla possibilità di lavorare e viaggiare nello stesso momento», racconta Gianluca Gotto.

 

Anche per il travel writer e blogger Gianluca Orlandi, libertà e creatività sono due elementi essenziali della sua attività da digital nomad. Il suo sogno era quello di lavorare all’estero e ci era riuscito, tanto da trovare in Inghilterra un ottimo impiego nel marketing. Dopo due anni di stabilità, Gianluca ha deciso di comprare un biglietto aereo di sola andata, abbandonando quelle che fino ad allora erano state le sue certezze ed eliminando il superfluo, eccetto uno zainetto contenente gli indumenti essenziali, un paio di scarpe e il suo laptop.

 

«Viaggio con il bagaglio a mano da dieci chili anche perché ormai ho ben poco da metterci dentro. Sono diventato minimalista, prima di tutto per risparmiare e in secondo luogo perché portavo sempre con me più oggetti o vestiti di quelli di cui avevo realmente bisogno. Non ho un indirizzo fisso e cambio città quando ne sento il bisogno», spiega Gianluca Orlandi. Nel suo libro “Vita da nomadi digitali” racconta con grinta la sua identità girovaga, continuamente a spasso dal Messico a Singapore, dalla Cambogia alla Spagna, passando ogni tanto per l’Italia e ritornando poi in Colombia, dove ha un’abitazione stabile. Per i suoi viaggi last minute, Gianluca ha in tasca tanti biglietti di sola andata e in testa soltanto pensieri in ordine sparso. «L’obiettivo era quello di perdere le vecchie abitudini e acquisirne di nuove, mangiare piatti da tutto il mondo che non avevo mai assaggiato prima, visitare alcuni dei posti più belli e tante altre cose che fino a qualche anno fa solamente sognavo».

La sua fantasia viene continuamente alimentata da queste stravaganti esperienze, con le quali questo giovane web writer arricchisce i suoi blog, prima fonte di sostentamento. «La creatività la trovo facilmente entrando in un aeroporto, volando con i pensieri, osservando le nuvole fuori dal finestrino, svegliandomi in una città sconosciuta o semplicemente sognando mete lontane. Ho dedicato a questo progetto gli ultimi anni della mia vita, andando contro ogni logica e buon senso che mi voleva ancorato ad un posto fisso, per raggiungere la libertà di vivere in tanti Paesi differenti» racconta Orlandi.

 

Ma questo stile di vita “alla giornata” diventa anche un modo per ripopolare borghi abbandonati, grazie ai numerosi progetti che permettono alla folta schiera di smart workers di ritrovare tutte le comodità di un comune ufficio nonostante ci si ritrovi dispersi in qualche località incantata. È il caso di Borgo office, la farm supporting di Federico Pisanty, ovvero una piattaforma creata dalla collaborazione tra aziende agricole, agriturismi e borghi che offrono ospitalità ai nomadi digitali, chiedendo in cambio una quota simbolica per essere sostenuti. «Molti lavoratori hanno l’esigenza di stare in smart working, così abbiamo coinvolto diverse aziende italiane, proponendo pacchetti gratuiti per gli smart workers, mentre loro acquistano prodotti locali come forma di riconoscenza per essere stati ospitati gratuitamente,» spiega il founder di Borgo office.

 

La richiesta dei requisiti è comunque minima: wi-fi potente, fotocopiatrici, stampanti, scanner e una postazione di lavoro gradevole per il lavoratore da remoto, perché un bel contesto agevola la propria attività, rendendola più performante. Inoltre, dopo il lavoro, il nomade è invogliato ad esplorare il borgo che lo ospita, raccontandone la bellezza nei blog e attirando così un turismo di prossimità. Un concetto di benessere globale: agricoltura a chilometro zero e vendita al dettaglio sostenuta dai singoli workers in visita, che permetteranno di tenere in piedi delle aziende in difficoltà, lontane dall’usuale idea che il business debba necessariamente essere fondato su pernottamento e ristorazione.

 

Ma ad aiutare i nomadi digitali a trovare tutte le comodità è anche la piattaforma Smartway di Berardino D’Errico, nata con l’obiettivo di mettere in contatto i professionisti con strutture italiane ben attrezzate per il lavoro da remoto, evitando di far finire un nomade in un borgo sperduto privo di connessione. «Mangiare ottimo cibo, respirare aria pulita e ritrovare ritmi di vita più naturali si traducono in migliore produttività. I nostri borghi sono dotati di servizi utili ai lavoratori per massimizzare i benefici che il lavoro da remoto offre. Il posto deve essere a misura di worker e non di semplice turista. Un obiettivo è anche quello di incentivare lo sviluppo delle zone agricole, in modo da dare loro una seconda vita», spiega Berardino D’Errico.

©2018 John Crux

Viaggio, avventura e fantasia sono i punti cardine su cui i nomadi digitali vogliono far fiorire le proprie attività, così da lasciare un segno importante nella propria vita, e non solo. Ovviamente chi è stuzzicato dall’idea di intraprendere questo insolito cammino, è necessario che abbia almeno delle buone basi di informatica ed abilità nella comunicazione attraverso i social, principale mezzo di dialogo tra nomadi digitali e aziende. Al contrario, per vestire i panni da “girovago” moderno, non serve assolutamente essere benestanti, poiché ci sono tante professioni adattabili a questo stile: web writer, graphic designer, digital marketer e travel blogger, basta scegliere la chiave giusta. Figure vagabonde, sospese tra mito e realtà, di sicuro non chimere, ma talenti fortemente motivati, che coltivano empatia grazie al contatto umano e culturale, che si tengono distanti dalla normale comfort zone e sono elogiati soprattutto per quel pizzico di follia che non guasta.