Anniversari
La profezia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso 40 anni fa dalla mafia
I poteri negati e l’isolamento a cui lo consegnò la Dc e il polipartito di Cosa Nostra: la raggelante premonizione del prefetto di Palermo, ammazzato il 3 settembre 1982
Il 3 settembre di quarant’anni fa a Palermo, in via Carini, la mafia uccideva il generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista Domenico Russo.
Fissiamo alcuni punti.
1 - Prendendo possesso del nuovo incarico , dalla Chiesa scrive nel suo diario di «una Dc che su Palermo vive con l’espressione peggiore del suo attivismo mafioso, oltre che di potere politico». Aggiunge di essere stato nominato prefetto «non per la volontà di combattere e debellare la mafia e una politica mafiosa, ma per sfruttare il suo nome» e la stima acquisita sconfiggendo il terrorismo brigatista.
2- Al presidente del Consiglio Spadolini il neo prefetto esplicita la sua preoccupazione per quello che definisce il polipartito della mafia, riferendosi alla profonda compenetrazione di Cosa nostra con pezzi della politica, della imprenditoria e delle istituzioni; anche al ministro Rognoni manifesta analoghe preoccupazioni, facendo esplicito riferimento al fatto che si sarebbe dovuto scontrare con alcuni esponenti della Dc siciliana.
3 -In un colloquio con Andreotti dalla Chiesa gli dice con chiarezza che non avrà riguardi per i suoi grandi elettori in Sicilia; al che Andreotti risponde facendo uno strano riferimento al rientro in Italia di Pietro Inzerillo in una bara e con un biglietto di 10 dollari in bocca.
4- Al generale-prefetto erano stati promessi i mezzi e poteri necessari per contrastare adeguatamente la mafia fino a vincerla nell’interesse dello Stato. Un impegno formalmente assunto dal Consiglio dei ministri del 2 aprile 1982, mai adempiuto; in una famosa intervista a Giorgio Bocca dalla Chiesa lamenta più volte che tale impegno non è stato «codificato», per cui «vedremo a settembre».
5 - L'intervista si conclude con una considerazione raggelante, quasi una profezia per se stesso: «Credo di aver capito la nuova regola del gioco; si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato».
6 - L'intervista di Bocca è del 10 agosto 1982: la strage di via Carini di pochi giorni dopo: 3 settembre.
A questo punto, unendo i puntini numerati possiamo concludere. Il generale è un rappresentante di spicco degli apparati di sicurezza dello Stato. In quest’ottica la sua “vulnerabilità” appare inspiegabile. Si potrebbe persino ipotizzare che vi sia stata una sorta di ritiro delle credenziali, con un repentino precipitare della situazione fino alla la perdita del proprio status. La strage di via Carini, perciò, potrebbe leggersi come un’azione - per quanto compiuta da killer di Cosa nostra - troppo “politica” per non segnare un salto di qualità nella storia delle mafie italiane. Una declinazione di quel polipartito della mafia che dalla Chiesa aveva ben percepito e avrebbe voluto combattere.
In ogni caso, per Cosa nostra fu un «pessimo affare» (copyright Giovanni Bianconi). La disperazione che si diffuse in tutta l’Italia dopo la morte di dalla Chiesa si trasformò in irrefrenabile rabbia. Svegliandosi da un torpore di decenni, il nostro Paese riconobbe l’esistenza della mafia, inserendo nel codice penale un articolo (il 416 bis) che cancellava finalmente la vergogna di tanti interessati proclami secondo cui la mafia era soltanto un’invenzione di qualche provocatore. Veniva così messo a disposizione degli inquirenti uno strumento potente, pensato con riferimento alla concreta realtà della mafia, grazie al quale il pool di Falcone e Borsellino costruì il capolavoro investigativo-giudiziario del maxiprocesso, dimostrazione tangibile che la mafia esisteva e poteva essere sconfitta. Un tragico “regalo” di dalla Chiesa al nostro Paese.