I dati
Aumenta il disagio mentale ma diminuiscono gli psicologi. E chi ha bisogno aiuto deve pagare
I centri pubblici sono in sofferenza e il Servizio sanitario non regge il numero elevato di richieste. Ma gli 80 euro che in media servono per una seduta privata se li possono permettere in pochi
Durante la pandemia le richieste d’aiuto per i disturbi d’ansia sono aumentate dell’83 per cento, per i disturbi dell’umore del 72 per cento. Sempre più persone, non solo giovani, cercano un supporto. Ma il Servizio sanitario non può reggere un numero così elevato di richieste: mancano strutture e professionisti. La maggior parte delle risorse viene investita nei servizi di psichiatria, mentre gli psicologi continuano a diminuire. Per questo motivo, se non si soffre di patologie estremamente gravi, bisogna affidarsi al privato. Chi non può permetterselo rinuncia: secondo una ricerca del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop) quasi 3 pazienti su 10 non hanno mai iniziato un trattamento per problemi economici.
Il governo Draghi ha stanziato 25 milioni per l’erogazione di un contributo economico a favore di chi intende intraprendere un percorso psicoterapeutico. Il 9 agosto le richieste erano già più di 200mila e non tutte potranno essere accolte. Il bonus varia in base all’Isee, in qualsiasi caso però non si riceveranno più di 600 euro. È un inizio, ma senza interventi strutturali servirà a ben poco. Gli psicologi, oltre a essere presenti negli ospedali e nelle realtà che si occupano di disabilità o malattie croniche, dovrebbero garantire assistenza anche negli ambulatori, nei consultori o nei servizi specialistici attraverso i Dipartimenti per la salute mentale. Almeno a livello teorico, la sanità pubblica dovrebbe garantire sia sostegni psichiatrici sia interventi di psicoterapia effettuati da medici o psicologi specializzati. Il divario di prestazioni è evidente guardando ai servizi territoriali.
Nel 2019, su 11 milioni di prestazioni erogate nei Dipartimenti di salute mentale, solo il 6 per cento riguardava la psicoterapia. Nei consultori la situazione non è migliore, visto che spesso manca la figura dello psicologo e non sempre queste strutture riescono a coprire i bisogni del territorio (in media c’è un consultorio ogni 35.000 abitanti).
«In Italia gli psicologi assunti dal Servizio sanitario nazionale sono circa cinquemila: lo 0,7 per cento dei dipendenti pubblici», spiega David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop). A questi si aggiunge qualche migliaio inserito nel sistema attraverso rapporti di consulenza e contratti a partita Iva. I numeri sono in calo da anni: nel 2019, secondo i dati raccolti dal ministero della Salute, 2009 psicologi lavoravano nei Dipartimenti di salute mentale; tre anni prima erano 2.115. La situazione è destinata a peggiorare: l’età media degli assunti è di 59 anni.
«Nel 2013, su 100 mila abitanti, gli psicologi disponibili erano 9,5. Nel 2018 sono diventati 8,5», aggiunge Daniela Rebecchi che per 18 anni ha coordinato i servizi di psicologia dell’Ausl di Modena ed è ora al tavolo ministeriale sulla salute mentale. «Con l’aggiornamento dei Lea (i livelli essenziali di assistenza), nel 2017 la psicologia è diventata un servizio territoriale», continua Rebecchi. Il ministero ha fornito indicazioni generali, ma come prevede la Costituzione ha lasciato l’organizzazione in mano alle Regioni: questo ha contribuito a creare un’offerta poco omogenea. Un problema che si aggiunge al deficit di personale: ci sono territori in cui le liste di attesa superano i sei mesi. Se, come sottolinea Rebecchi, nel pubblico «gli psicologi fanno quello che possono» il risultato è una selezione dei casi. I disagi meno gravi non vengono presi in considerazione, perché le ore a disposizione sono poche. Chi rimane fuori può rivolgersi ai privati, spendendo anche 80 euro a seduta.
«Negli ultimi anni gli organici hanno iniziato a diminuire sempre di più: chi va in pensione non sempre viene sostituito». A parlare è Daniele Audisio, responsabile del Centro di salute mentale (Csm) di via Procaccini 14, a Milano, e supervisore del servizio per lo sviluppo dell’autonomia socio lavorativa di “Progetto Itaca”, un’associazione che promuove programmi di informazione e riabilitazione. I Csm sono i servizi per l’assistenza diurna dei Dipartimenti territoriali dedicati alla salute mentale. Dovrebbero essere il punto di riferimento per il disagio psichico: realtà in cui trovare psicologi, psichiatri, infermieri e assistenti sociali. Spesso non è così, visto che per mancanza di personale anche qui sono presi in carico i casi più complessi. La struttura di via Procaccini è una delle poche sul territorio metropolitano in cui viene garantita la presenza di uno specialista che svolga il servizio di psicoterapia. «Di solito negli altri centri in cui ho lavorato c’erano soltanto psicologi part-time per qualche ora alla settimana. Da noi invece c’è una psicologa assunta che insieme ad altri quattro consulenti gestisce un gruppo terapeutico».
Nonostante il centro di via Procaccini sia tra i più forniti, secondo Audisio, è comunque in sofferenza. Nei servizi territoriali gran parte del lavoro viene svolto dagli specializzandi. «Senza di noi il sistema crollerebbe». Selene Amici è all’ultimo anno di specializzazione, il quarto. Sta svolgendo il tirocinio in psicoterapia dell’età evolutiva in un ambulatorio di Torino dedicato alla neuropsichiatria infantile. Gli specializzandi in psicoterapia, a differenza dei medici, non ricevono alcun compenso durante gli anni di apprendistato. Si è parlato più volte di prevedere anche per loro uno stipendio, ma per adesso nulla è cambiato.
Amici, insieme alla sua tutor, ha visitato tre ambulatori in quattro anni: gli specialisti vengono mandati dove c’è bisogno. «I casi più pesanti te li porti dietro, ma non puoi farlo sempre». Spesso quando c’è un trasferimento, si rischia di dover abbandonare i propri pazienti. Anche per questo motivo, secondo Amici, nelle strutture pubbliche è impossibile portare avanti percorsi di psicoterapia ma solo sostegni sporadici.
Nella gestione delle liste d’attesa ai terapeuti viene chiesto di chiudere i casi il più in fretta possibile. Ed è per questo motivo che alla fine sono gli stessi psicoterapeuti a consigliare di ricorre al privato. Secondo il presidente del Cnop David Lazzari il nodo non sono i finanziamenti ma il modo in cui sono gestiti: «Il governo spende più di tre miliardi all’anno per i servizi di salute mentale, ma queste risorse vengono usate soprattutto per l’assistenza psichiatrica e per i casi più gravi».
Bisognerebbe iniziare a immaginare un’assistenza psicoterapeutica di prossimità. Lazzari aveva proposto al ministro della Salute Roberto Speranza di sviluppare i consultori. Ora tutto dipende dai risultati del 25 settembre. Intanto le Regioni si stanno muovendo autonomamente: la Lombardia, replicando il modello campano, ha preparato un progetto di legge per istituire lo psicologo di base, che effettui consulenze gratuite. Chiarisce Lazzari: «La gente non è sana o malata: ha delle difficoltà da risolvere. Anche sulla salute mentale deve essere fatta opera di prevenzione».