Sanità

«Vaccini per tutti e mascherine all’aperto: il Covid non è ancora sconfitto»

di Gloria Riva   28 settembre 2022

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La fine della pandemia non è vicina. Bisogna immunizzare anche chi vive nei paesi poveri. Fino al 90 per cento della popolazione mondiale. Parla Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri

Per mesi è stata l’oggetto indispensabile da portare sempre con sé. La mascherina. Oggi è quasi difficile trovare una fra la folla. Il crollo di attenzione verso il Covid viene certificato dai dati della campagna vaccinale: solo un over sessantenne su cinque è corso a fare il richiamo vaccinale, come gli è stato consigliato. Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e professore per chiara fama all’Università degli Studi di Milano, hanno ragione gli italiani a cantare vittoria? Siamo fuori dalla pandemia? La variante B.5 è stata l’ultima?

«La fine dell’epidemia da Sars-coV-2 è legata a due cose. La prima è che, come per la poliomielite, se non vacciniamo almeno il 90 per cento della popolazione mondiale non possiamo dire di aver sconfitto il Covid perché il virus potrebbe diffondersi e mutare facilmente nei paesi poveri, dove moltissimi non sono vaccinati, e riproporsi in forme anche più aggressive, specie per i bambini. La seconda è che il mondo dei sanitari e dei medici deve iniziare a dialogare con matematici, ingegneri, veterinari, agronomi e più in generale con esperti della salute degli animali, degli insetti e delle piante per arginare il salto di specie del virus. Ad esempio il Covid è passato ai cervi negli Stati Uniti e quando il virus si diffonde agli animali selvatici l’evoluzione del virus diventa molto difficile da controllare e ci si deve preoccupare parecchio. Entrambi questi fattori non si sono verificati, quindi è probabile che continueremo a sentir parlare di Covid».

 

Nelle scorse settimane l’Fda e l’Ema, ovvero l’agenzia regolatoria americana e quella europea per i medicinali, hanno approvato i vaccini bivalenti di Pfizer BioNTech e quello di Moderna che coprono la variante originaria di Wuhan e la variante Omicron B.1. Entro fine mese, in seguito a un’analoga approvazione dei due enti, sarà sul mercato europeo anche il vaccino bivalente che offre una copertura per la variante Omicron B.4 e B.5, ovvero le ultime in circolazione. Cosa devono fare gli italiani? Correre a vaccinarsi o attendere l’arrivo delle nuove fiale?
«Quello che sappiamo è che i nuovi vaccini (sia quello che copre per la variante originaria di Wuhan e B1, sia quello per B.4 e B.5) offrono sostanzialmente una protezione simile a quella precedente e non garantiscono una super protezione rispetto al booster che abbiamo utilizzato fino a poco tempo fa. I test di efficacia avevano dimostrato che i vecchi vaccini riducevano il rischio della malattia di più del 90 percento. Questi studi sono stati fatti su migliaia di pazienti che hanno ricevuto o un vaccino o un placebo per osservare chi si infettava e chi no. Di norma ci vogliono anni per compiere questi studi, ma nel caso del vaccino contro il Covid, grazie a Stati Uniti ed Europa che hanno investito miliardi per concludere velocemente la fase di studio, è stato possibile ottenere i risultati in meno di dodici mesi. I nuovi vaccini bivalenti, invece, sono stati testati in piccoli gruppi perché non era più etico dare a metà dei candidati il placebo e vedere se si infettassero o meno, dopo tutto quello che abbiamo scoperto sul Covid e sulla capacità del vaccino di risparmiare 20 milioni di morti fra Europa e Stati Uniti (e se l’avessimo distribuito anche al resto del mondo il conto sarebbe stato di gran lunga superiore). Quindi si è deciso di considerare la risposta immune dei partecipanti al trial scientifico, in particolare di calcolare la presenza di anticorpi neutralizzanti nel sangue e compararla agli anticorpi presenti in persone che avevano ricevuto il vaccino convenzionale, cioè quello precedente. È stato dimostrato che chi ha ricevuto il nuovo vaccino bivalente ha solo una volta e mezzo più di anticorpi immunizzanti rispetto a chi ha avuto quello precedente».

Quindi è meglio attendere il nuovo vaccino?
«Alcuni studi dicono che un dosaggio maggiore di anticorpi immunizzanti nel sangue equivale a una migliore protezione nei confronti del Covid. Di quanto migliore, però, non lo sappiamo e comunque l’aumento di una volta e mezza degli anticorpi non è un dato impressionante. Facciamo un esempio. Immaginiamo una popolazione dove la metà delle persone è già protetta contro l’infezione perché è stata vaccinata o ha preso il Covid. Se diamo il nuovo vaccino bivalente alla restante parte della popolazione arriviamo al 90 per cento di protezione dai sintomi. Se invece diamo una dose del vaccino più tradizionale arriviamo a 86 per cento. A livello individuale, secondo un recente studio pubblicato da Nature, la probabilità di contrarre la malattia severa se si assume il vecchio vaccino o quello nuovo è praticamente la stessa, con una variazione dell’uno per cento fra l’uno e l’altro antidoto. A livello di protezione collettiva, il report su “Nature” dice che, su mille persone che partecipano alla campagna vaccinale basata sul nuovo antidoto bivalente si verificano in media otto ospedalizzazioni in meno rispetto a un’identica campagna vaccinale basata sulla fiala tradizionale. L’avere meno ospedalizzazioni e malattie severe sarebbero da sole un buon motivo per raccomandare una vaccinazione a tutti coloro che hanno più di 12 anni».

E se l’autunno dovesse portare con sé una nuova variante e quindi un nuovo picco di infezioni?
«Di fronte a uno scenario del genere i vaccini basati sulla variante Omicron, quindi i nuovi antidoti da poco approvati, potrebbero dare una protezione maggiore rispetto a quelli basati solo sul ceppo originario di Wuhan».

Quindi cosa consiglia agli italiani?
«Il vaccino più importante è quello che si riesce ad avere. A chi ha più di cinquant’anni e ai fragili, alle persone che per qualche motivo hanno il sistema immunitario compromesso o che hanno una malattia autoimmune, ai trapiantati e ai malati di tumore, il booster va fatto subito, con il primo vaccino disponibile».

In realtà la campagna vaccinale in corso è pesantemente sotto tono. Le persone candidate a riceverla sono 17,1 milioni, ma al momento solo tremila persone l’hanno ricevuta. La verità è che del Covid non si parla più e c’è molta meno paura di contrarre la malattia.
«C’è meno attenzione, è vero. Ma fare la quarta dose è fondamentale perché a distanza di due mesi dall’ultima iniezione del ciclo vaccinale completo, composto da tre dosi, gli anticorpi cominciano a diminuire per poi ridursi drasticamente a distanza di quattro mesi. Certo, restano in circolazione le cellule T e B della memoria, ma non esistono sufficienti studi e certezze tali da assicurarci che siano in grado di riprodurre gli anticorpi necessari. Inoltre la quarta dose, l’abbiamo osservato da studi sulla popolazione di Israele e pubblicati su riviste scientifiche, fa risalire gli anticorpi a livelli di un mese dopo la terza dose. C’è quindi un’indicazione per i pazienti fragili a farla subito, mentre gli altri possono certamente attendere qualche settimana in più».

All’opposto le istituzioni e il servizio sanitario stanno continuando a concentrarsi molto sul Covid.
«Per diverse ragioni c’è un’attenzione spropositata sulle morti da Covid. Nel mio ospedale, il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la terapia intensiva diretta da Luca Lorini ha 80 letti e tra il primo di giugno e il 31 agosto in questo reparto sono deceduti 60 pazienti. Di questi, tre sono morti per Covid altre 24 persone sono decedute per motivi che non sono neanche stati aggravati dal Covid (per esempio incidenti stradali, infezioni o emorragie cerebrali) ma con tampone positivo. Quindi ufficialmente il conto dei pazienti morti di Covid è di 27 persone su 60, ma in realtà sono solo tre i morti per Covid. In questo momento l’enfasi sul Covid sottrae attenzione e risorse alla cura di altre malattie e alla prevenzione da altri virus. Questo non significa che possiamo dimenticarci del Sars-CoV-2, che è un patogeno in grado di mutare tantissimo e potrebbe presto presentarsi una nuova variante, magari anche più aggressiva delle precedenti. Il Covid è una malattia sulla quale non è possibile fare previsioni e se qualcuno ha delle certezze su questo virus non credeteci».

Nei trasporti è indicata la mascherina, suggerirebbe di indossarla altrove?
«Anche all’aperto quando ci sono aggregazioni di tante persone che festeggiano o parlano ad alta voce».

Come dobbiamo comportarci nei confronti dei bambini, per loro c’è qualche rischio in più?
«I bambini vanno vaccinati, perché possono ammalarsi, e vanno usate regole di buon senso perché è vero che vanno tenuti al riparo dalla malattia ma la vita in società e l’educazione è parte importante del loro sviluppo. La scuola deve poter restare aperta e per questo è importante l’areazione delle aule, visto che il virus si diffonde attraverso l’aria. Come? Aprendo le finestre o installando sistemi di areazione per liberare l’aria dal virus. Altri paesi europei, Germania in testa, hanno già dotato gli istituti scolastici dei sistemi di areazione, mentre in Italia siamo ancora indietro. Ma è in questa direzione che bisogna andare, possibilmente prima dell’arrivo dell’inverno».