Il caso

Un’altra studentessa universitaria si è suicidata. Schiacciata dal peso di non aver sostenuto un esame

di Chiara Sgreccia   2 marzo 2023

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Aveva detto ai genitori che sarebbe andata all’Università per consegnare la tesi, ma le mancava ancora una verifica. «Basta contare i morti»

Era uscita di casa per andare all’università. Almeno così aveva detto ai genitori Diana Biondi, studentessa di Lettere moderne all’università Federico II di Napoli. Sarebbe andata «prima in facoltà, poi in biblioteca», si legge nei tanti post diffusi sui social da familiari e amici dopo la scomparsa avvenuta lo scorso 27 febbraio. Il padre non vedendola rientrare a casa in serata aveva subito sporto denuncia alla stazione dei Carabinieri di Somma Vesuviana, comune della città metropolitana di Napoli, dove la 27enne viveva con la sua famiglia. Così erano partite le ricerche.

 

Ma nella serata del primo marzo i Carabinieri hanno trovato un corpo senza vita. Quello di Biondi che, secondo i primi accertamenti, si sarebbe lanciata nel vuoto, non lontano da casa. Poco dopo essere uscita: aveva detto ai genitori che sarebbe andata all’università per ritirare la tesi, invece per la laurea le mancava ancora un esame, quello di latino. Così, proprio nel giorno del suo compleanno, sembra che Biondi abbia deciso di suicidarsi per non aver rispettato i tempi del percorso di studi.

 

Almeno tre universitari che si sono tolti la vita nel 2022, anche per il malessere causato dal non rispettare i tempi imposti dal percorso di studi. Le motivazioni sono sempre complesse e personali ma la pressione sociale percepita dagli studenti ha avuto un peso. Due in un solo mese, gennaio, nel 2023. Entrambi nel messaggio di addio avevano parlato di fallimento. Definito le loro vite un insuccesso per la pressione che sentivano nel dover rispettare i ritmi dettati dalle sessioni d’esame, nel confronto con i compagni, con i genitori e con gli amici. Per l’incertezza prodotta dal mondo del lavoro precario dove perfino chi eccelle fa fatica ad entrare.

 

Ed è proprio il peso dell’eccellenza, della performance, della competitività che si allarga ad ogni ambito della vita a schiacciare sempre più persone. Lo denunciano gli studenti da mesi nelle piazze, nelle scuole e suoi social, l’aveva spiegato a L’Espresso Laura Parolin, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia: «Tra le ragioni per cui gli studenti soffrono c’è il peso dell’eccellenza. Come se essere eccellenti, o eccezionali, fosse l’unico segnale possibile di successo. Questo tipo di educazione lascia fuori non solo ciò che non funziona ma anche tutto quello che è medio, normale. Generando la sensazione, in chi non raggiunge il massimo, di aver fallito. E, come conseguenza, l’incapacità di tollerare l’insuccesso. Che invece costituisce un valore nel processo di crescita personale, perché permette di ripensare, ripartire, ricostruire».

 

Le cause sono strutturali. Ma l’Università, in quanto luogo di formazione, dovrebbe essere uno spazio di crescita e di dibattito, per alleviare il malessere che, come hanno dimostrato numerose ricerche, vivono sempre più persone. Per questo, per rispondere a un bisogno urgente degli studenti, l’editoriale indipendente Aestetica Sovietica lancia un appello alla cittadinanza e alla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini: «Basta contare i morti. Serve l’attivazione immediata di un tasto per l’aiuto psicologico sulle piattaforme online di tutte le università italiane. Per dire “io ci sono”». Per ricordare a tutti che la persona viene prima della laurea.