Scappato a 15 anni dal suo paese devastato dalle bande armate, è finito in Libia dove è stato vittima di pestaggi. Ora grazie al progetto “Pagella in Tasca” ha ottenuto il visto per continuare gli studi nel torinese

Gli occhi vispi, il sorriso e il fare disinvolto sono scomparsi da Moubarak. Non appena, seduto sul tavolo, con i piedi sopra la sedia, ha iniziato a raccontare: «Ho provato a attraversare il mare tre volte: dalla Libia verso l’Europa. Gli stessi a cui avevo dato i soldi per salire sul gommone ci hanno portato indietro. Non conoscevo nessuno a Misurata, anche trovare da mangiare era difficile, ancora di più un lavoro per guadagnare il necessario per un nuovo viaggio. Mi hanno picchiato tante volte», spiega mentre alza i pantaloni per mostrare i segni sulle caviglie. Poi la t-shirt per le cicatrici sui fianchi.

 

Moubarak ha 18 anni, vive a Casa Aylan, una casa-famiglia a Piobesi Torinese, piccolo Comune della città metropolitana di Torino, in Piemonte. Gli piace molto, va a scuola e un paio di sere a settimana a basket, «non sono bravo però mi diverto», ride. Dice che quando è arrivato in aeroporto, a Torino, ha capito subito di essere in un luogo diverso da quelli che conosceva. L’ha visto dall’alto: dalle case, dalle strade. E dalle persone che l’hanno accolto. Quando è scappato aveva 15 anni, nel racconto alcune date si confondono ma è chiaro che ha provato un dolore terrificante che non lo lascia in pace. E si chiede dove abbia trovato la forza per andare avanti. Da solo. Dal Sudan, attraverso il Ciad, fino alla Libia.

Moubarak ha conosciuto il Paese da Sud a Nord, si è sentito come in prigione. E dopo un paio d’anni, ha capito che non è un luogo sicuro. Ha ripreso la strada per il Niger. Tanto non aveva una meta, non puntava all’Italia, neanche all’Europa, «volevo solo andar via. Il villaggio del Darfur da cui vengo, è soggetto a continui attacchi delle bande armate. Quando arrivano devi fuggire nei boschi. Così un giorno sono scappato e basta».

 

In Niger è arrivato al campo per rifugiati di Agadez, gestito da Unhcr e da Intersos, che accoglie migliaia di persone, tra cui centinaia di minori non accompagnati. Come chiarisce Elena Rozzi, responsabile Intersos del progetto Pagella in Tasca, «i minori non accompagnati sono uno dei gruppi più vulnerabili ma, un paradosso, sono esclusi dalla maggior parte dei corridoi umanitari e dei programmi di resettlement perché, giustamente, le norme nazionali e internazionali prevedono più tutele. Gli standard elevati richiesti per il trasferimento dei minori rendono complicato che avvenga». Così, molti rimangono bloccati nei campi profughi o riprendono il viaggio da soli, senza tutele, spesso nelle mani dei trafficanti.

Fabio Bucciarelli

Secondo i dati Unicef nel 2020 erano 36,5 milioni i bambini con meno di 18 anni in fuga nel mondo. È il dato più alto fino a ora registrato, che non tiene conto della guerra in Ucraina. Molti di questi sono senza famiglia: il 76 per cento, ad esempio, di quelli che nel 2019 sono arrivati in Italia via mare. Per loro il rischio di violenza, abusi, sfruttamento, discriminazione è ancora più elevato. E anche di morire. Come si legge nel report dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono almeno 1.024 i bambini scomparsi nel tentativo di raggiungere l’Europa tra il 2014 e il 2022. Contribuendo a far sì che possa definirsi la destinazione più mortale per i migranti.

 

Ecco perché, spiega Rozzi, «per tentare di superare il paradosso per cui i minori non accompagnati sono esclusi dai corridoi umanitari, Intersos ha promosso con Unhcr Pagella in Tasca». La prima sperimentazione per far entrare in Italia i minori non accompagnati grazie al visto per studio. Un canale di ingresso regolare e sicuro che considera il diritto allo studio una prerogativa di tutti, come è scritto nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Fabio Bucciarelli

Pagella in Tasca si basa su una norma ordinaria che prevede il rilascio del visto a fronte di requisiti oggettivi e senza limitazioni di numero. È il risultato di un protocollo d’intesa che ha come firmatari, oltre al Comune di Torino e la cooperativa Terremondo, i ministeri degli Affari esteri, dell’Interno, del Lavoro e la Fondazione Migrantes. Per la prima volta sono state definite le procedure per gli ingressi di minori non accompagnati tra i 15 e i 17 anni attraverso il rilascio di un visto per studio non universitario, previsto dal Testo unico sull’Immigrazione ma che non era stato utilizzato per l’ingresso di rifugiati. In questo modo vengono accolti dalle famiglie affidatarie subito dopo l’arrivo, per favorire inclusione e integrazione.

Fabio Bucciarelli

Così è andata per i primi cinque che sono arrivati nel 2021. Tra cui Moubarak che oggi vive a casa Aylan con quattro fratelli, ognuno di uno Stato diverso del mondo, e con Alice e Federico, i genitori affidatari. «Anche i quattro ragazzi che sono arrivati nel 2022 saranno accolti in famiglia», spiega Rozzi. «Li abbiamo conosciuti sempre nel campo di Agadez. Sono stati selezionati grazie all’impegno per lo studio: Mahjoub ha 17 anni e vuole fare l’ingegnere. Abdel, 17, studierà economia». Ma sono una goccia nel mare: a fronte di 6.290 minori non accompagnati entrati in Italia nei primi sei mesi del 2022, sono 35 quelli del progetto Intersos. Almeno finché non sarà strutturale. Un tentativo per assottigliare il numero di chi mette in pericolo la vita pur di allontanarsi dai luoghi in cui lascia famiglia e amici. Con il rischio di restare senza un posto da chiamare di nuovo casa.

LEGGI ANCHE

L'edicola

Ustica: la verità sulla strage - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 11 aprile, è disponibile in edicola e in app