Il 10 ottobre si celebra in tutto il mondo il World Health Mental Day ovvero la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Dovrebbe aiutare a sensibilizzare, ad aumentare la consapevolezza sui problemi di salute mentale. Nella pratica, malgrado gli allarmi sul fatto che la depressione, l’ansia e i disturbi comportamentali siano in aumento anche fra gli adolescenti, salvo rare eccezioni è ancora un tabù parlarne.
Dario D’ambrosi, direttore del Teatro Patologico, è stato premiato in tutto il Mondo per il suo metodo, anche presso le Nazioni Unite. «La malattia mentale non si conosce a sufficienza. Ringrazio Fedez e gente come lui che hanno parlato con coraggio di queste problematiche perché abbattendo questo tabù si combatte la vergogna anche per le famiglie. I ragazzi in difficoltà hanno una perla che brilla nel loro corpo mescolata con la sofferenza, il dolore, la paura, l’ansia e la solitudine. Ma se riesci a tirarla fuori, come successe ad Alda Merini, Dino Campana, Vincent Van Gogh, scopri che c’è una meraviglia assolutamente autentica e originale».
Perché si prova quasi fastidio a parlarne?
«C’è ancora molta vergogna e da parte dei genitori si vive questo rapporto con un profondo senso di colpa, ma non hanno colpa di niente. Piano piano qualcosa sta cambiando e bisogna ricordarlo. Noi siamo il primo Paese al mondo di aver chiuso i manicomi, il primo Paese al mondo ad aver creato un corso Universitario di teatro integrato delle emozioni rivolto a ragazzi con disabilità fisiche e psichiche. Quando stanno bene questi ragazzi stanno bene con le loro famiglie e migliorano il contesto sociale. Ho curato in questi quarant’anni 1.700 ragazzi disabili psichici».
Curato?
«Uso la parola curare certo, è la realtà».
E come?
«Il segreto sta nel lavoro del metodo dambrosiano che abbiamo pubblicato: il mio. Andare contro chi cerca di tenere soltanto sotto farmaci il ragazzo limitandolo a uno stato catatonico ed inerme perché così si pensa che si renda “innocuo”. Come se l’unica cosa importante fosse tenerli alla larga dal “dare fastidio”. Io utilizzo anche la rabbia, la violenza, attraverso i personaggi teatrali che loro interpretano. Scoprono la dimensione del loro dolore e scoprendo ciò riescono a gestirlo. Ed è allora che alzano la testa e vivono la quotidianità anche sorprendente per chi li circonda».
Ricordi il primo attore che è arrivato sul tuo palco?
«Il primo attore si chiamava Gianluca era molto violento, autodistruttivo: si graffiava la faccia fino a farsi uscire il sangue. Questa forza l’ha riversata nei personaggi che interpretava, come Riccardo III e Amleto dove la follia era molto simile alla sua voglia di esprimere quella rabbia. È stato un esempio per tanti ragazzi. L’ultimo arrivato è un ragazzo autistico che adora il concetto di bomba atomica. Lui dice che il teatro è una bomba che non ammazza, ma fa cambiare le idee che sono da sterminare: come il pregiudizio».