Pubblicità

Bufere più frequenti e tronchi indeboliti: gli alberi in città sono diventati un grosso problema

Bombe d'acqua, trombe d'aria, alluvioni che colpiscono piante in crisi per il cambiamento climatico. Da Milano a Parigi, da Roma a Lisbona, il riscaldamento globale trasforma una grande ricchezza in un incubo. Ecco come lo affrontano le città europee

Cinquemila: a Milano le tempeste di luglio e agosto hanno distrutto cinquemila alberi. A Roma nello stesso periodo (e senza bisogno di bufere) ne sono caduti centocinquanta, con rischi per l’incolumità di cittadini e turisti che hanno spinto la procura ad aprire un’indagine per disastro colposo. Incidenti di questo genere diventano sempre più frequenti con l’aumento del riscaldamento globale: nubifragi e trombe d’aria più forti e più frequenti si abbattono su alberi indeboliti dal calore e dalla siccità. 

 

Una tendenza che è diventata emergenza in questo annus horribilis scandito, mese dopo mese, da record di temperatura che lo stanno portando a diventare l’anno più caldo mai registrato: lo ha dichiarato di recente Samantha Burgess, vicedirettrice di Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea. Al calore si affianca un altro doppio record pericoloso: perché al numero sempre crescente dei giorni di siccità si affianca, quando finalmente arriva la pioggia, la sempre maggiore intensità delle precipitazioni.

 

Non è un problema solo italiano: metropoli di tutto il mondo si stanno chiedendo come adattare il verde cittadino al cambiamento climatico. Parigi progetta di piantare 170 mila alberi entro il 2026 scegliendoli non per la bellezza ma per la resistenza: tra questi, alcuni classici delle città mediterranee, come nocciolo di Costantinopoli, leccio e bagolaro. Ma a Madrid solo un quinto delle piante destinate a infoltire il Bosque Metropolitano è sopravvissuto alla prima estate.

 

Sul fatto che gli alberi ad alto fusto stiano diventando sempre più importanti per la qualità della vita in città non ci sono dubbi: aiutano ad abbassare la temperatura e combattono lo smog. A Milano, per esempio, è stata rilevata una differenza di quasi tre gradi (da 33.9 a 36.5) nella temperatura media estiva tra le zone ricche di alberi e le altre. Oltre all’ombra e al velo di umidità che protegge dal caldo, le foglie producono ossigeno, assorbono anidride carbonica e catturano polveri sottili. 

 

 

Pietro Bruni, anima di Yougardener, uno dei blog più seguiti del settore, nel volume “Il pollice verde non esiste” (Mondadori) caldeggia querce, betulle e soprattutto gli aceri che «secondo dati Cnr elaborati da Coldiretti sarebbero capaci di “mangiarsi” 190 kg di anidride carbonica l’anno». Gli agronomi hanno iniziato a misurare gli alberi più adatti rispetto ai tre aspetti più importanti: resistenza alla siccità e al vento, e capacità di filtrare le diverse sostanze inquinanti. 

 

Le classifiche vedono in salita il ginko biloba – del resto l’albero che è sopravvissuto alle bombe atomiche in Giappone ha sicuramente qualità di resilienza non comuni – e in discesa il pinus pinea, il «pino di Roma» accusato di avere radici troppo corte per affrontare trombe d’aria e bufere: e in effetti, fece notare tempo fa sul Corriere della Sera Fulco Pratesi, i pini nati in vivaio non possono avere quel fittone centrale che in natura àncora il fusto alla terra con una radice profonda quasi quanto l’altezza dell’albero. Tra le specie regalate dal Comune di Bologna nella campagna “Adotta un albero” ci sono aceri e platani, carpini e frassini ma anche la zelkova giapponese. 

 

In realtà però l’albero ideale non esiste, «e se esistesse andrebbe comunque limitato perché la varietà è essenziale», commenta Luigi Sani, agronomo fiorentino attivo in tutta Italia sulla stabilità delle strutture arboree. «Per fare un esempio, il platano ha grandi qualità, e da Firenze a Roma è adatto alle città. Ma in primavera produce nuvole di polline: se ci fossero solo platani, come se la caverebbero gli allergici?». Per non parlare di malattie o altre avversità, come il punteruolo rosso che anni fa ha decimato le palme che erano l’orgoglio dei viali di Palermo: di recente, complici un rallentamento dell’infestazione e i fondi del Pnrr, sono state ripiantate, scegliendo però varietà diverse da quelle preferite dagli insetti. 

 

Parlare di ginko biloba o di zelkova giapponese apre un altro fronte: quello delle «specie aliene» che invadono le città. Senza voler dare spazio al campanilismo da operetta di chi ha gridato allo scandalo quando in piazza Duomo a Milano sono comparse palme e banani («Sono in uno spazio sponsorizzato da un’azienda privata», si è giustificato il sindaco Beppe Sala), favorire l’uso delle piante tipiche di ogni zona non è solo una moda paesaggistica, ma anche una garanzia di maggior salute per le piante. 

 

Alla lunga però il passaggio è inevitabile, perché sta già succedendo in natura: «Colleghi di Milano mi dicono che, nei boschi, alcune specie tipiche dell’area stanno lasciando il posto ad alberi che fino a ieri erano considerati tipici delle mie parti», conferma Sani. E già si immaginano oleandri, melangoli e ciliegi migrare dalle strade di Roma a quelle di Torino per lasciare il posto a tamerici e jacaranda.

 

Adattare le città al cambiamento climatico però richiede prima di tutto una gestione accurata del verde che già c’è: «Un albero sano è perfettamente in grado di badare a se stesso, se gli diamo le cure necessarie e non lo ostacoliamo con potature insensate. Già solo curare la terra che lo circonda in modo da far arrivare meglio aria e acqua alle radici basta a ridargli vigore», continua Sani. E fa l’esempio di un albero secolare curato recentemente a Parma: «Abbiamo spostato la terra e arieggiato le radici per un giorno: è bastato questo, senza nessun trattamento nutritivo o ammendante, per fargli riprendere vigore». 

 

Alberi sani sono più capaci di adattarsi al clima ma vanno gestiti con cura. E questo significa censimento, controllo costante, trattamenti  necessari: significa una cura continua e una disponibilità di spesa notevole. Che è più facile ottenere se si valuta il valore del verde urbano: se si calcola con precisione il suo valore economico, è più facile accettare che una fetta notevole del bilancio comunale venga dedicato alla manutenzione.  

 

Ma come si calcola quanto vale un albero? Ci ha provato all’Università di Lisbona Ana Luisa Soares. Adattando alla sua città il software americano iTrees, l’architetta paesaggista ha calcolato che i 41 mila alberi della capitale portoghese costano ogni anno quasi due milioni di dollari ma producono servizi per quasi 8 milioni e mezzo. 

 

In particolare, ha dichiarato al Guardian, «per ogni dollaro investito dal Comune, i cittadini ricevono 4,5 dollari di benefici». Ogni albero produce 6,20 dollari di risparmio energetico, 0,33 per la riduzione del carbonio, 5,40 per la pulizia dell’aria e quasi 50 per la riduzione dell’impatto dei temporali. Senza calcolare l’incremento di valore degli appartamenti nelle zone che aumentano il verde urbano.

 

Un aspetto particolarmente critico nella gestione degli alberi cittadini è la potatura: «Sempre più spesso si vedono studi che mostrano come nella maggior parte dei casi meno si pota meglio è», commenta Sani. Un esempio è la capitozzatura, il taglio drastico della chioma: «Si pensa che renda l’albero meno vulnerabile dal vento e quindi meno pericoloso ma è vero il contrario. I rami sottili in alto sono quelli che, muovendosi, disperdono la forza del vento. Un albero capitozzato si comporta come un palo incastrato per terra e quindi cade. Del resto è ovvio, da un punto di vista darwiniano: se un tronco alto e una chioma folta facilitassero la caduta in caso di vento forte, gli alberi si sarebbero evoluti in modo da ridurre il pericolo».

 

Dopo ogni incidente c’è chi invoca l’abbattimento indiscriminato e la sostituzione con piante più basse e chi invece scende in piazza o lancia campagne social per impedire i tagli. È successo a Roma dopo che ad agosto due pini sono caduti all’improvviso in piazza Venezia. I primi rilievi hanno dato la colpa ai recenti lavori di rifacimento del marciapiede, che avevano tagliato le radici superficiali. 

 

L’abbattimento immediato di tutti i pini dello stesso giardino ha provocato proteste veementi, riprese anche dal New York Times. «La decisione di tagliare un albero va presa seguendo una procedura chiara», commenta Sani, che alla valutazione del rischio della caduta di un albero ha dedicato diversi libri. «Bisogna valutare il livello di rischio e decidere se questo è ragionevolmente accettabile: è un calcolo che si fa in tutto il mondo e per ogni genere di rischio, non solo per gli alberi».

 

Milano intanto guarda avanti: Sala ha annunciato che le cinquemila piante distrutte saranno sostituite e l’assessora all’Ambiente Elena Grandi ha lanciato un bando per artigiani e associazioni di artisti per utilizzare il legno per opere d’arte o di design da collocare nei parchi cittadini: «Con questo bando vogliamo lasciare alla città, proprio nei parchi, un promemoria di quella notte e dare a tutti e tutte un’occasione per riflettere sul presente e sul futuro, sull’impatto del cambiamento climatico per la nostra città», ha spiegato Grandi. 

 

A Roma, invece, non c’è bisogno di promemoria: l’inchiesta in corso ha bloccato la rimozione dei tronchi. Perfino a Villa Borghese, dove uno dei viali più frequentati è tagliato in due da un ramo di robinia caduto a fine agosto tra Piazza di Siena e il Globe Theatre.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità