L’app pensata per i contatti di lavoro, a vent’anni dalla nascita, viene spesso usata a scopo non professionale. E uno studio rivela che il 91 per cento delle utenti ha ricevuto almeno una volta attenzioni inopportune

Quando nel 2003 un’intuizione di Reid Hoffman portò alla nascita di LinkedIn, il suo ideatore aveva ben chiaro l’obiettivo della piattaforma: sfruttare l’onda lunga dei principali social media per crearne una versione business-oriented, in cui a fare rete e a confrontarsi nel mondo virtuale fossero soprattutto professionisti. Ma perché ciò funzionasse era necessario mantenere la fruibilità e una certa dose di informalità intrinseca ai social. Ecco, quindi, che nel modellare LinkedIn non sono stati intaccati molti degli strumenti mutuati da Facebook, come il profilo personale con foto e bio, la formula del feed, la possibilità di chiedere il contatto di altri utenti, l’uso di una chat diretta e così via. Ma, a distanza di vent’anni, uno studio rivela che questa piattaforma non è esente dai rischi degli altri social e viene utilizzata come strumento per rivolgere attenzioni inopportune alle utenti, fino alla richiesta di appuntamenti online o all’invio di messaggi espliciti.

 

Secondo il report di Passport-Photo Online, che ha intervistato un campione di oltre un migliaio di donne, circa il 91 per cento degli utenti di genere femminile su LinkedIn ha ricevuto almeno una volta avance o messaggi inappropriati in privato. Nella maggioranza dei casi si tratta di proposte d’incontri romantici o a sfondo sessuale; nel 25 per cento dei casi, poi, ciò avviene con frequenza quotidiana oppure ogni due giorni, mentre in un altro 20 accade settimanalmente. Il 43 per cento delle professioniste contattate su LinkedIn, inoltre, si è trovato a dover affrontare il mittente informandolo di aver oltrepassato il limite, magari segnalandolo agli amministratori della piattaforma. Non si tratta di semplici tentativi di flirtare su LinkedIn, perché – sempre secondo lo studio – quasi il 74 per cento delle donne diventate almeno una volta oggetto di attenzioni indesiderate ha preferito ridurre la propria attività sulla piattaforma appunto a causa di un comportamento inappropriato. In un contesto in cui la parità di genere sul posto di lavoro è lungi dall’essere raggiunta, vedersi costrette a sparire virtualmente – con tutto ciò che comporta in termini di discriminazione e opportunità perse – per le molestie è un’ulteriore zavorra. In fondo, LinkedIn può fornire una grande quantità di informazioni sulle tradizionali metriche di successo di una persona, come il titolo di studio, la qualifica o il potenziale stipendio.

 

«È divertente come la mia casella di posta sia invasa da messaggi di ragazzi che cercano di flirtare con me più che da quelli di persone che cercano di fare networking», racconta un’utente con una punta d’ironia. «A volte iniziano chiedendo di poter fare una videochiamata, oppure invitandomi a pranzo in località come Venezia o Monte Carlo – racconta un’altra utente, attiva nel settore della comunicazione – ma su cinque approcci tutto sommato innocenti ce n’è stato uno più sgradevole. È successo lo scorso autunno, il mittente si è presentato come imprenditore con toni molto seri. Mi ha fatto una proposta lavorativa, ha chiesto il numero di cellulare e ha iniziato a scrivermi su WhatsApp. Sin dai primi messaggi ho capito che c’era almeno un altro tipo di interesse: sono stata tempestata di domande personali, poi ha iniziato a inviarmi sue foto di ogni genere, persino in accappatoio». Ancora una testimonianza, dal Nord Est: «Un paio di persone mi hanno contattata e il loro profilo era anche il linea con il mio settore. Hanno iniziato ringraziandomi per il collegamento, ma dal momento in cui ho risposto con gentilezza hanno cominciato a darmi del tu e a chiedermi cosa facevo di bello, se fossi sposata e via dicendo». Che l’approccio professionale nasconda altri interessi è una prassi sempre più diffusa: «Un tizio con cui avevo lavorato anni prima – racconta un’altra imprenditrice – mi ha contattata su LinkedIn e invitata a pranzo con una scusa. Mi ha fatto una lunga proposta, molto concreta, ma appena ha capito che sono sposata e ho un figlio ha iniziato a tagliare corto e poi è letteralmente sparito. L’ho anche incrociato in un ristorante dove pranzavo con mio marito e ha fatto finta di non conoscermi».

 

Ma non ci sono soltanto richieste di appuntamenti online o d’incontri sessuali a definire il lato oscuro di LinkedIn: un altro 30 per cento delle intervistate ha subìto richieste di informazioni personali o intime e oltre una su dieci si è vista inviare contenuti espliciti non richiesti. Nata per il business, ora la piattaforma rischia di avvicinarsi sempre più a Tinder. Al punto che alcuni anni fa è nata addirittura un’applicazione ad hoc, BeLinked, che consente di trovare singleproprio attraverso LinkedIn. Ovviamente l’app appartiene a un’azienda diversa dal colosso americano della piattaforma, ma si aggancerebbe a quest’ultima per scovare profili interessanti da incrociare, prendendo come parametri gli interessi professionali, le ambizioni e gli obiettivi lavorativi futuri degli utenti. Dal canto suo, LinkedIn è ben consapevole del fenomeno e cerca di limitarne la portata: ormai da qualche anno, infatti, invia un promemoria agli utenti per ricordare loro l’opportunità di effettuare conversazioni di livello professionale e tenere toni adeguati in post, commenti e messaggi. Inoltre, invita tutti gli utenti a segnalare «qualsiasi atteggiamento o contenuto inappropriato», in modo da arginare i comportamenti inadatti e recuperare l’uso per cui la piattaforma era stata pensata in origine.