Processo agli antifascisti a Pavia. «Per sette anni alla sbarra per aver detto: di qui non passeranno»

di Anna Dichiarante   21 dicembre 2023

  • linkedintwitterfacebook
cariche polizia

Caricati e manganellati dalla polizia, poi imputati e assolti in primo grado per aver impedito che un corteo neonazista attraversasse il centro della città. «Almeno è servito a evitare che sfilino al di qua del Ticino anche in futuro»

Qualcuno si è laureato, qualcuno s’è trasferito, qualcuno ha avuto un figlio. Perché la vita va avanti in sette anni. Tanti ne sono trascorsi prima d’incassare una sentenza che stabilisse che non si può essere condannati per aver rivendicato: no pasarán, non passeranno. «In effetti, almeno nel cuore della città, i fascisti non sono più passati», dice Mauro Vanetti, 44 anni, ingegnere del software, tra coloro che si sono trovati indagati e imputati dopo il 5 novembre 2016.

Cioè la sera in cui, a Pavia, è in programma un corteo dell’associazione Recordari. Un misto di CasaPound, Forza nuova e skinhead avrebbe attraversato il centro storico, partendo dal Municipio, avrebbe sfilato lungo il ponte coperto e raggiunto il quartiere Borgo Ticino: qui, nel 1973, il camerata Emanuele Zilli morì in un incidente stradale. Una commemorazione tra simboli nazisti e tamburi a scandire la marcia. Perciò, i movimenti di sinistra lanciano un appello a radunarsi in Borgo, nel piazzale intitolato a Ferruccio Ghinaglia, ucciso dagli squadristi nel 1921. Ma la Questura nega il permesso alla contromanifestazione e autorizza il corteo. Così Anpi, Arci e le altre realtà raggruppate nella Rete antifascista formano un presidio all’imbocco del ponte, dove avrebbero comunque incrociato i militanti di estrema destra. Per evitare il contatto, però, la polizia devia questi ultimi e carica gli antifascisti.

«Da tempo – spiega Vanetti, all’epoca riferimento della Rete – ci domandavamo come ostacolare un’iniziativa che proseguiva da anni, si era trasformata in una parata e attirava gente da tutto il Nord. Abbiamo convocato delle assemblee, molto partecipate, e deciso di riunirci in piazzale Ghinaglia. Ci siamo poi fermati al di qua del ponte perché la polizia aveva bloccato l’accesso». E subito scatta la prima carica, seguita, dopo mezz’ora, dalla seconda: «Non abbiamo ceduto, siamo rimasti pacifici e non ci siamo mossi. Alla fine, il bilancio è stato di tre compagni medicati al pronto soccorso. Uno, ricercatore universitario, ha rimediato una ventina di punti alla testa e ha visto pure archiviare la sua querela per lesioni».

Destino diverso hanno le denunce per otto reati, dalla resistenza a pubblico ufficiale fino all’istigazione a delinquere, fioccate nei giorni successivi a carico di trenta persone presenti al presidio. Vanetti compreso: «Praticamente tutti quelli che sono stati riconosciuti, esclusi il sindaco e alcuni politici locali che hanno precisato di essere venuti per controllare la situazione. Un elenco da maxi-inchiesta di mafia…». Comincia, allora, una vicenda giudiziaria sfociata lo scorso 15 dicembre nell’assoluzione in primo grado.

Nel 2018 la Procura di Pavia chiede e ottiene l’archiviazione per 23 indagati. «Cade l’accusa di resistenza. Secondo la legge, i reparti antisommossa avrebbero dovuto intimarci per tre volte di disperderci prima di usare la forza. Invece, ci hanno attaccati direttamente. Gli ordini a cui avremmo dovuto obbedire erano dunque illegittimi o, quanto meno, non chiari; il rifiuto di eseguirli era motivato». Sopravvivono, via via, l’oltraggio a pubblico ufficiale e la violazione del Testo unico delle leggi sulla Pubblica sicurezza per avere tenuto una manifestazione proibita: agli attivisti della Rete vengono inflitte, con decreto penale, delle sanzioni pecuniarie. Ma i loro difensori fanno opposizione e nel 2019 inizia il processo. All’udienza finale, il giudice accoglie la richiesta del pm e assolve gli imputati per oltraggio applicando la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Per la trasgressione del divieto, interviene la prescrizione.

Anche per Vanetti termina un incubo. «Siamo soddisfatti del risultato. Ma restano i paradossi del caso. La Questura sostiene di aver autorizzato il corteo di Recordari perché il preavviso dato dagli organizzatori era precedente a quello della Rete. È falso. Le date dei fax dimostrano che era il nostro a precedere di un giorno quello spedito dai neofascisti. E poi, è accettabile che si ricorra a un criterio cronologico per scegliere tra Anpi e skinhead? Inoltre, in base all’articolo 17 della Costituzione, è libera ogni manifestazione che non sia esplicitamente vietata. Ebbene, noi non ci siamo mai radunati nel luogo precluso dalle autorità. Quanto alle cariche di alleggerimento, sono il mezzo che gli agenti possono adottare qualora rischino di soccombere: è stato lo stesso giudice a escludere che in quell’occasione abbiano corso un simile pericolo».

«Mi pare assurdo che per sette anni lo Stato abbia sprecato risorse economiche e umane per perseguire qualche espressione di stizza gridata da chi cercava di ripararsi dalle manganellate. A me sono state contestate frasi con cui deridevo in modo colorito la strategia fallimentare dei poliziotti».

Frasi costate mesi di preoccupazione. «Provengo da una famiglia di avvocati e faccio attività politica, sono abituato alle querele utilizzate per intimidire l’avversario», continua Vanetti: «Affrontare un’indagine e un processo è snervante. Bisogna sostenere spese per migliaia di euro, che difficilmente si recuperano; noi, per fortuna, siamo stati assistiti da legali amici e ora abbiamo avviato una raccolta fondi, anche su PayPal, a nome della Rete per ripagarli del grande impegno. Chi di noi è impiegato nel settore pubblico ha temuto per il posto, tutti abbiamo perso giornate di lavoro per partecipare alle udienze».

Dal livello personale a quello politico. «In Italia c’è una situazione di diritto che non si è mai tramutata in una situazione di fatto: la messa al bando dei rigurgiti di fascismo, dall’apologia alle varie forme di ricostituzione del partito, è vera solo sulla carta. Mentre i funzionari Digos identificano chi plaude all’antifascismo alla Scala di Milano, che cosa si aspetta per dichiarare fuorilegge Forza Nuova o CasaPound? A Pavia, il corteo per Zilli non è più autorizzato a sfilare in centro. Ma le denunce che arrivano ogni anno per i saluti romani, puntualmente, finiscono nel nulla».