Silvio Berlusconi salvato dall’ordinanza che annullò i verbali: senza qualifica di testimoni, addio reati. Per i pm è la disfatta più grave dopo il caso Eni-Nigeria, deciso dagli stessi giudici

Se non c'è più il testimone, non c'è nemmeno il reato di falsa testimonianza e neanche l'accusa di corruzione del teste. L'assoluzione piena di Silvio Berlusconi e degli altri imputati nel terzo processo sul caso Ruby, decisa oggi dalla settima sezione del tribunale di Milano, è dovuta a un'eccezione procedurale, sollevata dalla difesa, che il collegio giudicante aveva accolto già nel novembre 2021: un'ordinanza che ha dichiarato «inutilizzabili» quasi tutti i precedenti verbali delle ragazze che partecipavano alle cosiddette serate «bunga-bunga» nella villa di Arcore. Da quel momento sono sparite dal processo proprio le testimonianze che la Procura considerava false e reticenti, oltre che comprate con la corruzione, versando alle stesse ragazze, in totale, oltre dieci milioni di euro.

La sentenza
Silvio Berlusconi assolto, il tribunale scagiona tutti gli imputati del processo Ruby
15/2/2023

La motivazione della sentenza è attesa tra novanta giorni, ma già oggi, subito dopo il verdetto, il presidente vicario del tribunale, Fabio Roia, ha anticipato che il problema è proprio questo: le ragazze che erano sentite come testimoni dai pm della Procura, andavano invece considerate «indagate di reato connesso», fin dal 2012, perché già allora erano emersi «indizi non equivoci a loro carico».

«La falsa testimonianza può essere commessa solo da chi legittimamente riveste la qualità di testimone», scrive il giudice Roia. «Se invece viene assunto come testimone un soggetto che non poteva rivestire tale qualità, la possibilità di punire per dichiarazione false è esplicitamente esclusa dall’articolo 384 comma 2 del codice penale». Di conseguenza è caduta anche l'accusa di corruzione in cambio di quelle false testimonianze.

Tiziana Siciliano e Federico Cecconi

Il tribunale ha applicato un principio fondamentale che la procura non ha mai contestato: un testimone è obbligato a dire tutta la verità, per cui nei processi è il solo a deporre sotto giuramento, mentre l'indagato (come l'imputato) ha diritto non solo di tacere, ma anche di mentire (almeno in Italia). La questione veramente controversa era un'altra: in quale momento le ragazze andavano iscritte nel registro degli indagati? A partire da quando non potevano più essere sentite come testimoni? Con l'ordinanza decisiva i tre giudici del tribunale hanno stabilito che il gong era suonato già nel marzo 2012. Quindi tutte le testimonianze raccolte nella prima fase delle indagini, guidate dal pm antimafia Ilda Boccassini, sono state dichiarate inutilizzabili con effetto retroattivo, col senno di poi. Solo le ultime deposizioni di due ragazze, verbalizzate alla fine delle indagini, quando ormai erano emerse le prove dei pagamenti di Berlusconi, sono rimaste valide, perché a quel punto erano state sentite come indagate.

 

Il processo Ruby è uno dei tanti che, da sempre e in tutta Italia, si risolvono in questioni di tempistica. Il momento esatto in cui diventa obbligatorio iscrivere una persona nel registro degli indagati è regolato dal codice con una norma generale, che nei casi dubbi si presta a interpretazioni e applicazioni molto diverse. La prassi delle procure cambia da una città all'altra. E nei diversi gradi di giudizio ogni magistrato può dire la sua. Per questo i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno fatto il possibile, fino all'ultimo, per convincere il tribunale a ritirare l'ordinanza salva-tutti.

 

Proprio il fatto che la decisione chiave sia legata alla tempistica, però, spinge ad applicare lo stesso metro al collegio giudicante, come fanno notare diversi magistrati della procura, che collegano la sentenza su Berlusconi ai feroci scontri tra magistrati che avvelenano da anni il palazzo di giustizia. L'ordinanza fatale che ha annientato le testimonianze sul caso Ruby, infatti, è stata emessa ben tre anni dopo l'inizio del dibattimento (poi sospeso e rinviato anche per l'emergenza Covid), quando ormai era esplosa la battaglia legale tra i pm anti-corruzione e i giudici del processo Eni-Nigeria: gli stessi del caso Ruby. I magistrati della procura avevano addirittura trasmesso a Brescia un verbale d'accusa contro il presidente della settima sezione, poi scagionato. E i vertici del tribunale erano insorti contro la richiesta del pm Fabio De Pasquale di sentire l'avvocato-indagato Piero Amara proprio in quel processo, davanti allo stesso presidente. Alla fine la settima sezione ha assolto tutti gli imputati della maxi-inchiesta Eni-Nigeria. E oggi è arrivato il grande bis, con un'assoluzione calata come una pietra tombale sulla procura di Milano.