Il caso

Maremma in vendita: la Provincia di Grosseto cede un’oasi naturale. E scoppia la polemica

di Pietro Mecarozzi   9 febbraio 2023

  • linkedintwitterfacebook

La Diaccia Botrona è tra i più preziosi ecosistemi a livello nazionale, un habitat incontaminato che, sulla carta, da circa due anni ha un nuovo proprietario: la Pioppa srl

Tutto ha un prezzo. Anche un’oasi naturale. Per la Diaccia Botrona, per esempio, ci sono voluti 6 milioni e 290 mila euro. Si tratta della cessione di 950 ettari di terreni ricadenti nella riserva naturale della Diaccia Botrona (200 ettari) e nella contigua zona del Padule Aperto (750 ettari). Siamo nella Maremma grossetana e la Diaccia, classificata come zona umida d’importanza internazionale, è tra i più preziosi ecosistemi a livello nazionale: secondo i dati della Lipu (Lega italiana protezione uccelli), ogni anno ci sono tra i 10 e i 30mila uccelli che vengono a svernare in queste paludi comprese alcune specie rare e simboliche come l’oca selvatica e la gru. Un habitat incontaminato che, sulla carta, da circa due anni ha un nuovo proprietario: la Pioppa srl, una joint venture creata ad hoc tra il Gruppo Farchioni e Bonifiche Ferraresi.

Una compravendita contestata da ambientalisti e popolazione (55mila le firme nella petizione per mantenerla pubblica), che adesso rischia anche di scatenare un terremoto politico. «Sono costretto a chiedere le dimissioni del presidente della Provincia, Francesco Limatola. È diventato presidente dopo aver stretto un accordo politico col Movimento 5 Stelle, che prevedeva di non vendere i terreni pubblici di Diaccia Botrona e area contigua», ci svela Giacomo Gori, consigliere comunale pentastellato. «Si tratta di una decisione arrivata a margine delle ultime scelte fatte dell’amministrazione provinciale sul tema, con cui praticamente si è portata a termine la vendita già a fine 2022».

L’Espresso ha potuto consultare i file contenenti le disposizioni provinciali, e alcune mail intercorse tra l’azienda Pioppa e l’ente: gli atti parlano di un affare chiuso, al quale manca solo la firma del notaio. «Hanno preferito il profitto, nonostante la mole di documenti presenti sulla scrivania della Provincia che, in punta di diritto, forniscono una soluzione alternativa per uscire dall’impasse contrattuale», continua Gori.

Ma andiamo con ordine. Dopo cinque aste andate deserte, nell’ottobre 2021 la Provincia di Grosseto, allora guidata dall’attuale sindaco del capoluogo maremmano Antonfrancesco Vivarelli Colonna, ha trovato l’accordo con la cordata dei due colossi dell’agrobusiness, noti in particolare per l’adozione di sistemi di coltivazione intensiva. Non è una pratica inusuale quella di vendere lembi di riserva naturale in Maremma: sempre nel 2021, per circa 19 milioni di euro è stata acquistata una tenuta di 800 ettari, che comprende la bellissima spiaggia di Cala di Forno, nel cuore del Parco naturale della Maremma, da Patrizio Bertelli, amministratore delegato della holding Prada. A vendere il gioiello naturalistico, anche in questo caso, è stata la famiglia Vivarelli Colonna, ex proprietari della tenuta.

Nel frattempo, lo scorso 24 novembre in Provincia avrebbe dovuto esserci una conferenza per ufficializzare l’accordo sulla vendita della Diaccia. Ma la conferenza è saltata. L’intero affare è stato infatti architettato dalla giunta di Antonfrancesco Vivarelli Colonna, che non ricandidandosi alla presidenza della Provincia ha lasciato la vertenza all’attuale esecutivo, guidato da Francesco Limatola. L’asta a favore della Pioppa srl è stata battuta allo scadere del mandato di Vivarelli Colonna, che ha fatto perno sul rapporto di lunga data che lo lega a Federico Vecchioni, amministratore delegato di Bonifiche Ferraresi. Le carriere istituzionali dei due, entrambi imprenditori agricoli con proprietà in Maremma, si sono spesso incrociate, sia per i ruoli assunti in passato in Confiagricoltura, sia per quelli ricoperti alla Camera di commercio di Grosseto.

«Ci siamo ritrovati una trattava già chiusa, con parametri del tutto svantaggiosi per noi. E il danno economico derivante da una rinuncia sarebbe stato troppo grave», spiega Limatola. Si tratterebbe di somme rilevanti, come scritto nel parere pro veritate che la Provincia ha chiesto allo studio di Firenze dell’avvocato Parlapiano. Per tale motivo è pronto il dietrofront: il Consiglio Provinciale sarà chiamato ad approvare la riacquisizione da parte della Provincia dei 200 ettari di riserva vera e propria (che andranno in gestione al Comune di Castiglione della Pescaia, che li avrà in comodato d’uso gratuito), e che quindi rimarranno pubblici. Nella transazione saranno applicate alla Provincia le stesse condizioni dell’aggiudicazione e sarà previsto un pagamento dilazionato compatibile con il bilancio provinciale. Una mossa poco comprensibile, in quanto già nel bando della Provincia era stato specificato che tutta la zona umida nei confini dell’area protetta sarebbe rimasta in concessione a un’istituzione pubblica. Quindi i 200 ettari, anche senza comprarli di nuovo (per circa un milione di euro), sarebbero finiti in gestione al confinante comune di Castiglione della Pescaia, che si era già fatto avanti per tutelare la riserva.

Per i restanti 750 ettari di terreni di zona contigua di proprietà privata, il piano territoriale di coordinamento (Ptc), di prossima approvazione, prevederà le norme di tutela previste per le riserve naturali e, in collaborazione con la Fondazione Capellino, che da sempre si occupa di biodiversità, sarà attivato un progetto di conservazione della biodiversità, si legge nel comunicato dalla Provincia. Il tutto con il bene placido dei privati, con il quale, secondo Limatola, ci sarebbe già un accordo.

È difficile credere che due colossi dell’agrobusiness mandino all’aria un investimento milionario per adottare un progetto di un ente terzo. Senza contare il fatto che la bozza del progetto della Capellino, che L’Espresso ha visionato, riguarda solo duecento ettari, e non settecentocinquanta. Una bella differenza.

Inoltre, dalla Fondazione fanno sapere che il loro obiettivo e tutelare l’ecosistema della Diaccia, ma in un «appezzamento di proprietà di un ente pubblico e non di un privato, e dove si possa intervenire per incrementare una biodiversità in pericolo». Tradotto: i duecento ettari di riserva naturale non contano, perché già in possesso di doti ambientali eccellenti; quindi la Provincia dovrebbe comprare o chiedere in concessione altri duecento ettari ai privati, per poi sviluppare l’iniziativa della Capellino. Passaggio non così scontato.

Nei prossimi giorni dovrebbe quindi chiudersi l’intera operazione, con il passaggio dell’area alla Pioppa srl, che potrà poi decidere se rivendere o meno alla Provincia (di fatto l’accordo non è ancora stato ufficializzato). «Si doveva intervenire subito, quando la finestra per la revoca era ancora aperta. Invece si è fatto di tutto, con atti propedeutici, per andare nella direzione opposta» continua Gori.

Quanto all’aspetto ambientale e normativo: la Diaccia Botrona è una riserva classificata come zona umida d’importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar ed è inclusa nella Rete Natura 2000 promossa dall’Ue. La domanda sorge quindi spontanea: ma un posto del genere può essere messo in vendita? La Diaccia è passata qualche anno fa dalle mani del demanio a quello della Provincia di Grosseto seguendo il cosiddetto federalismo demaniale: un percorso di delocalizzazione delle proprietà dello Stato agli enti territoriali per avviare progetti di valorizzazione tramite utilizzo oppure alienazione. L’ente ha scelto la seconda via, e avrebbe dovuto disfarsi del bene, in teoria, entro tre anni, lasciando al Demanio il 25 per cento dell’incasso. Alternativa? Restituire tutto allo Stato.

Detto ciò, la mission della cordata Bonifiche Ferraresi-Farchioni rimane ancora nebulosa. Entrambe le società non hanno risposto al nostro sollecito, mentre Antonfrancesco Vivarelli Colonna ha rifiutato un’intervista sull’argomento.