Oggi la guerra è un lungo elenco di terre martoriate e disuguaglianze imposte, e al torpore che sopraggiunge come risposta, gli algoritmi sembrano aver apparecchiato già un antidoto. Parlare di pace è, quindi, diventato una questione di spazi. A Pomaia, borgo toscano a 40 chilometri da Pisa, dagli anni Settanta si parla di pace attraverso il buddhismo tibetano, che in queste colline toscane ha messo le radici da quasi cinquant’anni. Qui è nato l’Istituto Lama Tzong Khapa, il centro studi punto di riferimento per i monaci e le monache buddhiste di tutto il mondo. Oggi questa sorgente di pace prospiciente il Mar Tirreno si appresta a diventare anche un luogo sacro perché, sulla collina acquistata dai monaci diversi anni fa, sarà costruito il primo monastero buddhista tibetano d’Italia. Massimo Stordi, presidente dell’Associazione Monastica Sangha Lhungtok Choekhorling, spiega: «Sono monaco dal 1983 e ho visto tanti monaci e monache ordinati che vagavano perché non riuscivano a trovare un posto che potesse accoglierli. Attualmente, le nostre sedi sono in Nepal e per molti è stato difficile trovare uno spazio. Fino a oggi».
Il buddhismo in Italia si radica dalla metà degli anni Settanta. L’idea di un monastero è nata vent’anni fa ed è diventata realtà solo di recente: «È stato un iter molto lungo, fatto di ricerche sul posto e burocrazia», puntualizza Stordi. Da pochi giorni l’amministrazione comunale ha acceso il semaforo verde su questo progetto pionieristico, una pietra miliare per la società buddhista italiana e non solo: «Non va dimenticato che il tempio vuole essere un contributo anche per la stessa cittadinanza, e riqualifica una zona già sensibile». Costruito da zero sulla roccia, come i tradizionali monasteri dell’altipiano himalayano, l’edificio sorgerà nell’alveo di una cava, allo scopo di risanare la ferita inferta al territorio stesso con lo sfruttamento del terreno. Come spiega il progettista del monastero, l’architetto Gino Zavanella, la costruzione in sé assolve allo scopo del monastero, che è realizzare la pace e l’armonia universale secondo il Dharma, l’insegnamento del Buddha: «Il nostro obiettivo era non violentare la collina. Per questo, abbiamo studiato gli spazi che l’escavazione della cava aveva già creato per trovare la giusta posizione del tempio. Il nostro intento era di non smuovere neppure un metro cubo di terra, e ci siamo riusciti». La realizzazione del monastero è stata resa possibile grazie all’impegno dei primi monaci, che avevano eletto le colline di Pomaia come luogo ideale dove trovare la pace, spiega Zavanella: «La collina è stata benedetta dallo stesso Dalai Lama e i monaci hanno già tentato di ammorbidire il duro intervento segnato dalla cava, piantando degli ulivi, smorzando così gli spigoli del terreno».
“Trovare la pace” è il nome dell’evento di presentazione del progetto presso Palazzo Reale a Milano. Alla presenza della vicepresidente dell’Unione Buddista Italiana, Elena Seishin Viviani e di personalità del mondo buddhista, come il presidente Massimo Stordi, un dialogo a sottolineare l’importanza della vita contemplativa oggi, nelle nostre società frammentate, fra Ghesce Thubten Chonyi, abate di Lhungtok Choekhorling e del monastero e del convento di Kopan in Nepal, ed Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose e casa della Madia: «Enzo Bianchi è stato una delle figure religiose di oggi a realizzare un monastero di tradizione cattolica del nostro Paese: ha avuto la capacità e la forza per sostenere la visione di realizzare un monastero. Io stesso l’ho visitato in passato e questo evento è l’occasione per ricordare l’importanza di sviluppare un dialogo interreligioso», spiega Stordi.
Il dialogo è la chiave di volta del monastero, con un’area di 97 ettari che si apre alla comunità locale con un progetto importante: il parco della contemplazione e della pace, un’ampia area verde intessuta da una fitta rete di sentieri dove poter meditare o, più semplicemente, trovare pace attraverso la contemplazione e il silenzio: «I monaci hanno voluto questo spazio aperto a tutti i cittadini perché chiunque possa camminare e meditare», spiega l’architetto Zavanella. «Lo scopo di una realtà buddhista è aiutare gli altri, e quest’area vuole rappresentare un contributo per tutta la cittadinanza. Stiamo accendendo un faro, una luce che possa essere di aiuto, incoraggiamento e guida per coloro i quali sentono il bisogno di condividere un sentiero spirituale. L’importante per noi è che l’essere umano possa sviluppare consapevolezza, compassione. La vita comunitaria, specie quella monastica, è una condizione ideale», puntualizza Stordi.
Nel mondo occidentale, anche la contemplazione rischia di diventare una scelta individuale, come accade nelle varie forme di mindfulness. In questo contesto, l’Associazione Monastica Sangha Lhungtok Choekhorling e la Fondazione Sangha Ets auspicano di poter trasmettere il valore sociale di una comunità monastica che pratica la contemplazione come scelta di una comunità, promotrice di pace, armonia e benessere. Il 10 marzo ricorrono 66 anni dalla rivolta di Lhasa, la storica protesta del popolo tibetano contro l’occupazione cinese dell’altipiano, repressa in modo brutale e con un’assimilazione forzata che perdura ancora. Rispondere con la pace, sottolinea il presidente Stordi, è la risposta del buddhismo a queste ferite, come il monastero farà adagiandosi sulla cava: «La società progredisce se alleniamo gli occhi alla compassione e all’amore verso l’altro. Questo è lo scopo del buddhismo: abbracciare tutti».