La macchina dell’accoglienza
Migranti, lo scandalo dei mediatori culturali senza stipendio
Formalmente autonomi, prestano la loro opera per gli enti pubblici, attraverso le cooperative che si aggiudicano gli appalti. Ma da mesi non sono retribuiti. Il caso della Synergasia che vince gare nonostante qualche irregolarità
«Ho lavorato per le prefetture di Novara e Verona, ma soprattutto di Brescia, come interprete e mediatrice. Mi sono stati pagati i biglietti del treno, ma non le ore di lavoro. L’unica prova che ho è una dichiarazione della prefettura di Brescia che attesta che ho lavorato per un totale di 187 ore».
Sharmin Akter viene dal Bangladesh. Parla il bengalese e l’urdu, e per questo inizia a lavorare per gli enti pubblici italiani. In Italia si contano 1.150.627 persone provenienti dagli Stati africani settentrionali e occidentali, il mediatore interculturale è perciò una figura fondamentale. Gli ambiti di intervento di questa figura professionale sono ampi: spaziano dal sistema educativo e formativo, salute, giustizia, pubblica amministrazione, sicurezza e accoglienza di primo livello fino al settore privato no-profit.
In Italia la figura del mediatore è “gestita” da cooperative attraverso una serie di gare d’appalto che mettono a disposizione delle prefetture, degli hotspot o delle Asl i lavoratori del settore. Si tratta, di fatto, di un rapporto lavorativo di tipo subordinato. In cosa consiste questa subordinazione lo dice l’articolo 2094 del Codice civile, stabilendo che in cambio della retribuzione il lavoratore si impegna a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto. Nei fatti, però, i mediatori interculturali messi a disposizione degli enti pubblici da parte delle cooperative in Italia vengono inquadrati come lavoratori autonomi e occasionali, guadagnando a fronte di significative responsabilità, anche in termini giuridici, in media solo 12,5 lordi all’ora.
Chi tutela i lavoratori?
A difendere i lavoratori in attesa di stipendio è il Coordinamento dei mediatori interculturali d’Italia, che ha raccolto contratti e ricevute firmate dai mediatori che sperano ancora di vedere un accredito sul proprio conto. Il Coordinamento – come spiega a L’Espresso la sua portavoce Roberta Ruà – ha intenzione di dar vita a una vertenza nazionale per far sì che le cooperative sociali risarciscano i mediatori. «Pagamenti erogati saltuariamente, sono da tempo una costante per i lavoratori che prestano servizio a chiamata presso istituzioni di vitale importanza». I sindacati di base e il coordinamento puntano il dito contro gli enti pubblici, i quali «non assumono direttamente, ma appaltano al Terzo settore la gestione del personale con appalti al ribasso». Abbiamo chiesto ripetutamente al ministero dell’Interno se, data la situazione, ci sia almeno l’intenzione di internalizzare il servizio di mediazione, così da riconoscere l’importanza cruciale del ruolo e la professionalità dei lavoratori del settore, ma non hanno risposto. «Riteniamo grave che gli enti pubblici si lavino le mani di fronte a questa vicenda, di cui, almeno in parte, sono stati informati», dicono dai sindacati Adl Cobas e Clap che, insieme al Coordinamento, hanno voluto rendere pubblica la situazione di un nutrito gruppo di mediatori interculturali, la maggior parte dei quali dipendenti della cooperativa Synergasia di Roma.
Sull’orlo del fallimento
Sharmin a partire da marzo 2022 ha lavorato per 12 mesi per la Synergasia. Lei, come centinaia di altri mediatori interculturali che hanno prestato servizio per la stessa onlus, è ancora in attesa dello stipendio: «Ho ricevuto solo la notula del primo mese, ma il resto dei soldi, duemila euro circa, non li ho mai ricevuti. Synergasia ha anche smesso di rispondermi al telefono», spiega Sharmin. «Molti miei colleghi non hanno ricevuto nulla. Una mia amica deve ricevere ancora 700 euro», conclude.
Synergasia lavora in diverse regioni d’Italia. È specializzata nell’offerta di lingue rare, che negli ultimi anni, grazie al mutamento delle tratte migratorie, risultano sempre più richieste dagli enti pubblici. La cooperativa sociale è leader del settore e fa incetta di appalti da quando è nata, nel 2010. Lo deve all’esperienza del suo presidente, Jamil Ahamade Awan, un 64enne di origini indiane. Awan conta infatti, su 25 anni di collaborazione con la Caritas diocesana di Roma al fianco del suo fondatore, Monsignor Luigi Di Liegro. La cooperativa continua a impiegare regolarmente i propri mediatori all’interno delle commissioni territoriali che esaminano le domande di protezione internazionale, ma gli stipendi dei dipendenti, compresi quelli amministrativi, risultano in forte ritardo.
L’Espresso ne ha chiesto conto direttamente al presidente Awan, il quale, dalla sede romana della società, ammette lo stato di sofferenza della cooperativa: «Il nostro Durc risulta irregolare a causa di alcune anomalie su un rateizzo del 2020, ma le abbiamo regolarizzate. Dovremmo ricevere 500mila euro dalla Pubblica amministrazione, credito che potremmo utilizzare per saldare i debiti, ma l’Inps non riesce a sostituirlo e quindi resta questo blocco». Il Durc, cioè il Documento unico di regolarità contributiva cui fa riferimento Awan, è un certificato che attesta la regolarità del soggetto che lo richiede nei confronti di Inps, Inail o le casse edili nel caso di aziende che applichino i contratti dell’edilizia ed è indispensabile per le aziende che vogliono partecipare a gare d’appalto pubbliche. Si tratta, quindi, di una dichiarazione di conformità riguardo a obblighi contrattuali come quelli contributivi e previdenziali.
«Siamo bloccati da ottobre per la burocrazia. Ho deciso anche di abbandonare alcune realtà perché se non posso pagare è inutile accumulare crediti e allo stesso tempo debiti», afferma Awan, il quale solo in un secondo momento affronta la questione degli stipendi arretrati: «Sono 4-5 mesi che non riesco a pagare i collaboratori, ma è tutto scritto, è pur sempre un lavoro pubblico», dice. E sugli arretrati di un anno: «Sono la minoranza, saranno una ventina, ma le assicuro che sono sempre stati pagati regolarmente», sostiene.
I ritardi sugli stipendi e un Durc irregolare però non hanno impedito a Synergasia di continuare a partecipare e vincere appalti: «Stiamo lavorando con la commissione territoriale di Milano, di Torino e con il ministero dell’Interno». Non solo, a ottobre del 2022 Synergasia si è aggiudicata anche l’appalto per i servizi di interpretariato e traduzione presso la commissione territoriale della prefettura di Treviso per un lavoro da svolgere in un periodo che va dal 1° novembre 2022 al 31 dicembre 2023. L’importo totale corrisposto alla Synergasia sarà di euro 290.660. E di questi pochi finiranno in tasca dei mediatori culturali, con tempistiche che sono ancora tutte da capire.
Dopo alcuni giorni dal primo contatto, il consulente del lavoro della cooperativa comunica che il Durc è stato regolarizzato. Tuttavia, ricontattato per conferma e per capire come sia stato possibile aggiudicarsi gli appalti in presenza di tale irregolarità negli ultimi 4 mesi, Awan non ha più inteso dare risposta.