Una data, canonizzata dalla Seconda Internazionale del 1889 in poi, che minava le certezze borghesi e che doveva esercitare pressione sui governi per conquistare le otto ore. E che via via si è caricata di significati diversi, fino al ridimensionamento simbolico

«Alle sette in punto il signor cavaliere Bianchini saltò giù dal letto e, affacciandosi alla finestra, ebbe due dispiaceri: vide che il cielo era tutto azzurro e che il muratore Peroni non era andato al lavoro». Così Edmondo De Amicis iniziava il suo “Primo Maggio”, romanzo scritto nei primi anni Novanta dell’Ottocento, ma lasciato nel cassetto (lo pubblicò Garzanti solo nel 1980). In quel «romanzo socialista», come lo definì il filologo Sebastiano Timpanaro, l’autore di “Cuore” coglieva nella serialità la vera forza di quella festa autoproclamata: ora c’era un giorno fisso che, ogni anno, sarebbe ritornato a minacciare le certezze borghesi dei Bianchini di tutto il mondo.

Le manifestazioni per il 1° maggio del 1890 si erano svolte imponenti negli Stati Uniti e in tutta Europa. A Londra, invece, quella data si era celebrata il 4, una domenica. Ai cortei avevano preso parte centinaia di migliaia di lavoratori: la manifestazione «è stata semplicemente sconvolgente», scrisse Friedrich Engels, «io ero alla tribuna 4 (un grande carro merci) e potevo abbracciare con lo sguardo solo una parte […] ma fin dove arrivava l’occhio erano tutti stretti stretti attorno all’altro».

Era stato il Congresso della Seconda Internazionale, riunitosi a Parigi nel 1889, a stabilire per il 1° maggio dell’anno successivo una manifestazione internazionale allo scopo di esercitare pressione sui governi, perché riducessero la giornata lavorativa a otto ore. Da par suo, l’American Federation of Labor aveva già fissato, sempre per il 1890, una grande manifestazione per ricordare il massacro di Chicago, avvenuto nei primi giorni del maggio 1886, quando presso Haymarket Square, dopo giorni di scioperi e proteste per le otto ore, gli scontri tra polizia e manifestanti erano culminati in un eccidio, seguito da una coda di arresti ed esecuzioni.

Certo, negli Usa il 1° maggio coincideva con il Moving-Day, il giorno in cui scadevano contratti e affitti. Tuttavia, sull’inizio del mese di maggio si era giocata, da molto prima della nascita del movimento operaio, una partita simbolica delicata. Come ha ricordato Adriano Prosperi, attorno al mese di maggio si era scatenata già in età moderna una lotta culturale e politica tra la Chiesa cattolica – e in seguito le chiese riformate – e le sopravvivenze di antiche feste pagane o precristiane legate alla fertilità dei campi: ci volle la determinazione di un Carlo Borromeo, solo per fare un esempio, per sostituire quelle ritualità con riti cristiani o adattare quelli vecchi a esigenze nuove.

Ma qualcosa di quegli elementi rituali e simbolici presenti nella sfera religiosa fu trasmesso anche alla celebrazione della nuova festività laica: «La propaganda è preghiera», scriveva a inizio Novecento lo storico socialista Ettore Ciccotti, mentre Filippo Turati avrebbe definito il 1° maggio «la Pasqua della nostra fede».

Canonizzata come festa dei lavoratori, la giornata del 1° maggio si è caricata di significati diversi nei decenni, consentendoci di rileggere, come una cartina al tornasole, passaggi centrali della storia più recente, italiana e internazionale. Il suo radicale ridimensionamento simbolico degli ultimi anni dice molto della polverizzazione e della svalutazione del lavoro, che ha travolto non solo le generazioni più giovani.

 

*CALENDARIO CIVILE

Quello di Francesco Torchiani è il sesto degli interventi sulle date fondanti della Repubblica affidati all’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Il primo, sul 12 dicembre, è uscito sul n. 49 del 2022. I successivi su 27 gennaio, 10 febbraio, 8 marzo e 25 aprile sono usciti rispettivamente sui nn. 3, 5, 9 e 16 del 2023. I prossimi saranno su 2 giugno e 4 novembre. Tutti sono pubblicati qui.